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 2019  maggio 21 Martedì calendario

Biografia di Novak Djokovic

Novak Djokovic, nato a Belgrado il 22 maggio 1987 (32 anni). Tennista. Attuale numero 1 della classifica Atp nel singolare (posizione raggiunta la prima volta il 4 luglio 2011 e l’ultima il 5 novembre 2018, per oltre 250 settimane complessive, di cui 122 consecutive). Tra i numerosissimi trofei conquistati: quindici titoli del Grande Slam nel singolare, di cui sette agli Australian Open (2008, 2011, 2012, 2013, 2015, 2016, 2019), uno al Roland Garros (2016), quattro a Wimbledon (2011, 2014, 2015, 2018) e tre agli Us Open (2011, 2015, 2018); cinque Tour Finals nel singolare (2008, 2012, 2013, 2014, 2015); trentatré Tour Masters 1000 nel singolare; una medaglia di bronzo olimpica nel singolare (2008); una Coppa Davis con la Nazionale serba (2008). «Sono ambizioso sin da ragazzino. Il sogno più grande era vincere Wimbledon e diventare numero uno del mondo. Quando ci sono riuscito, ho continuato a sognare sempre più in grande» • «I miei genitori, Srdjan e Dijana, sono ex sciatori. Sulla montagna di Kopaonik gestivano una pizzeria. Nel 1991, quando avevo quattro anni, accanto al ristorante costruirono un campo. Mi piace lo sci, però con il tennis è stato amore a prima vista» (a Gaia Piccardi). «Venne folgorato da Sampras sulla via di Wimbledon. “Avevo 4 anni e lo vidi vincere uno dei suoi sette Championship. È stato il mio idolo: guardandolo mi è venuta la motivazione per diventare come lui, il migliore al mondo”» (Roberto Perrone). «Un’allenatrice, Jelena Gencic, […] lo vide per la prima volta quando aveva cinque anni, incollato alla recinzione del campo da tennis, nella località montana di Kopaonik. […] Gencic chiese a quel bambino che la guardava con tanto d’occhi se voleva provare. […] Gencic restò così colpita dal suo talento che corse subito dai suoi genitori per dire che sarebbe potuto diventare un campione. […] Chiese di seguire personalmente il bambino. “Lei aveva visto la scintilla nei miei occhi. Mio padre le credeva, e credeva in me”» (Peter Aspden). «Lo invitò a venire il giorno dopo. Lui si presentò con un borsone “pieno di tutto quello che avrebbe usato un professionista: racchetta, bottiglia per l’acqua, asciugamano arrotolato, maglietta di ricambio, polsini e palline, tutto in ordine e ben piegato”. “Tua madre ti ha preparato bene la borsa”, disse Jelena. “L’ho preparata io. Io voglio giocare a tennis, non mia madre”, rispose Nole. […] Per tutti questa frase è la miglior spiegazione di ciò che Djokovic sia. Lo è anche per Nole stesso, che l’ha citata nella sua autobiografia [Il punto vincente, Sperling & Kupfer 2013] come inizio di qualcosa che l’avrebbe cambiato per sempre. Perché quello fu l’inizio di una vita infinita di allenamenti, ma soprattutto il principio di una costruzione identitaria che avrebbe fatto della forza di volontà, del talento educato, alimentato, coccolato, della forza cercata e trovata il suo centro» (Beppe Di Corrado). «L’allenatrice diventò il suo mentore, introducendolo non solo al tennis, ma anche alla poesia, alle scienze e alla musica classica. Quando Jelena Gencic morì, durante i French Open del 2013, lo fecero sapere a Djokovic solo dopo il terzo incontro, e fu un colpo durissimo per lui. “Era come una madre per me”, dichiarò in conferenza stampa quella settimana» (Aspden). «Il contesto, poi. Lo ha scritto e detto, Novak: “La guerra è stata fondamentale”. “Per settantotto notti di fila la mia famiglia e io ci siamo nascosti nel rifugio antiaereo del palazzo di mia zia. Ogni sera alle otto una sirena annunciava il pericolo, allora tutti uscivamo di corsa dalla nostra casa. I boati si susseguivano fino all’alba: quando gli aerei volavano bassi, il frastuono era terribile. Mi allenavo in luoghi di Belgrado ogni giorno diversi, e li sceglieva Jelena. Lei era sempre con me, mi aiutava a vivere normalmente. Andavamo dove c’erano stati gli ultimi attacchi, pensando che probabilmente in quella zona non avrebbero bombardato di nuovo. Giocavamo senza rete, sul cemento pieno di crepe”» (Di Corrado). «Con l’ingenuità del bambino che ero, trovai il lato positivo di quella situazione: la scuola era chiusa, e potevo giocare a tennis quanto volevo». «Ho festeggiato i miei 12 anni a Belgrado proprio nei due mesi dei bombardamenti Nato. Il rumore degli aerei militari copriva la voce dei miei amici che cantavano Happy Birthday: sono cose che non dimentichi» (a Sara Faillaci). «Lei è dovuto andar via. "In Germania. Era il ’99: da Niki Pilic, il mio papà del tennis, e ci sono andato solo grazie a Jelena Gencic, la mia mamma del tennis, che mi raccomandò citando perfino Monica Seles. Mi hanno fatto da genitori, mi hanno accettato da bambino"» (Paolo Rossi). «Il bimbo crebbe via via sino a diventare, nel 2005, il primo under-18 tra i primi cento giocatori professionisti del mondo, e a diciannove anni il primo under-20, con la prima finale Slam perduta contro Federer allo Us Open» (Gianni Clerici). «Era l’aprile del 2006, l’inizio della stagione sulla terra rossa. Roger Federer aveva 25 anni e sembrava arrivare da un altro pianeta; per lui Gianni Clerici aveva coniato un neologismo, “federerissimo”, termine che indicava un colpo più perfetto del solito. Al primo turno del torneo di Montecarlo, il numero uno del mondo doveva affrontare un ragazzetto serbo magro come un chiodo, non ancora ventenne. Era il numero 90 e qualcosa del ranking mondiale, un po’ troppo poco per impensierire uno che fino a quel momento aveva perso una sola partita (in finale contro Nadal). Ci si aspettava la solita esibizione di poco più di un’ora, ma non fu così. Il ragazzino guardava colui che stava dall’altra parte della rete come si guarda un avversario normale, non il signore del tennis. Non solo: mentre il pubblico assisteva a una partita alla quale non era preparato, quel ragazzo, sfrontato ma per niente ingenuo, con una smorzata dietro l’altra riuscì a vincere un set. La prima partita tra Federer e Novak Djokovic, […] la vinse al terzo set il giocatore svizzero. Era naturale che andasse così, nel 2006. Quell’anno Federer giocò 92 partite, perdendone solamente 5, una percentuale di vittorie del 94,84 per cento. Federerissimo. In molti si chiedevano se il numero uno del mondo fosse il giocatore più forte di tutti i tempi, alcuni rispondevano di sì. Roger Federer è imbattibile? No, non lo era. Se ne sarebbe accorto anche lui proprio a Montecarlo quello stesso anno, e poi a Roma e a Parigi: tre finali e tre sconfitte consecutive. Rafael Nadal, con tutto il rispetto di cui era capace, sapeva come si batte un campione, il migliore di tutti. In quegli anni il tennis era una questione tra loro due. Tra il 2006 e il 2010 i due tennisti si sono affrontati 18 volte, dando vita alla rivalità più bella del tennis: la grazia contro il suo esatto contrario. Nadal vinceva quasi sempre, Federer rimaneva il più forte. Novak Djokovic intanto cresceva; era diventato il terzo giocatore al mondo, guardava i due campioni da vicino, a volte gli capitava di batterli. “Pensi che Roger e Rafa siano più forti di te?”, gli domandarono durante una conferenza stampa. “No”, rispose lui, “hanno solo più esperienza”. Nel 2008, dopo la semifinale degli Australian Open vinta da Djokovic contro Federer, Dijana, la mamma di Nole, in favore di telecamera disse sorridendo: il re è morto. Era questione di un anno o poco più, poi suo figlio sarebbe diventato il più forte giocatore del mondo. Era quello che ripeteva lui fin da quando aveva otto anni. […] Una macchina da guerra, ecco ciò che doveva diventare. Nel 2011, a ventiquattro anni, sembrò esserci riuscito. In quella stagione vinse 10 titoli, tra cui Australian Open, Wimbledon e Us Open, tre dei quattro slam. 70 vittorie e solamente sei sconfitte in tutta la stagione, a luglio era diventato il numero uno del mondo. Ce l’aveva fatta, eppure non gli bastava ancora. Dal 2011 […] Novak Djokovic non ha fatto altro che migliorare: lo yoga, la meditazione, un’attenzione maniacale per tutto quello che mangiava, e poi Boris Becker come suo secondo allenatore. Novak Djokovic voleva diventare il più forte di tutti, ci stava riuscendo. […] Nel 2015 ha vinto 11 titoli. […] Dopo una stagione con il 93,18 per cento di vittorie e quel grande slam mancato per una sola partita (la finale del Roland Garros contro Stanislas Wawrinka), tutti hanno capito che Djokovic era diventato praticamente invincibile» (Giorgio Mecca). Nel 2015 «il giocatore di Belgrado aveva concluso la stagione con ottantadue vittorie e soltanto sei sconfitte. Aveva vinto Australian Open, Wimbledon e Us Open, sei tornei Master 1000 e le Atp Finals. Chi avrebbe potuto fermarlo? Dentro al campo, nessuno. Gli mancava soltanto la terra rossa del Roland Garros: sarebbe arrivata l’anno dopo, in finale contro Andy Murray» (Mecca). «Da quando Novak Djokovic completò il Career Grand Slam nel 2016 – conquistando il Roland Garros, l’unico Slam che mancava alla sua collezione di trofei – ebbe inizio una parabola discendente di risultati per il tennista serbo: Nole perse le motivazioni e il tennis per continuare a volare alto» (Federico Bazan). «In realtà, per vincere finalmente anche Parigi, dopo tante delusioni, Novak aveva sacrificato molto, inclusa la vita privata, aveva tirato troppo la corda sia del fisico che della mente, e all’improvviso ne pagava il prezzo. Perdeva già al terzo turno contro Querrey a Wimbledon, si arrendeva già all’esordio all’Olimpiade di Rio sia pur contro Del Potro, cedeva a Wawrinka nella finale degli Us Open, lasciava addirittura la corona di numero 1 del mondo nelle mani del “gemello” Andy Murray. Che batteva subito, all’alba del 2017, a Doha, tanto per ribadire chi era veramente il più forte, anche se salutava gli Australian Open già nel secondo turno, sorpreso dal numero 117 del mondo, il veterano Denis Istomin, regalandogli il record di unico “over 100” dal quale sia stato eliminato negli Slam» (Vincenzo Martucci). «Diete vegetariane e poi vegane, guru, santoni, preghiere. E poi Boris Becker e Andre Agassi in panchina, il divorzio dall’allenatore che lo ha fatto diventare il più forte giocatore del mondo, Marian Vajda, due figli e molte ombre sul matrimonio. Il problema minore sembrava essere un’operazione al gomito destro che lo ha tenuto fuori per cinque mesi. Al suo ritorno, ci sono state sfuriate dentro al campo, palline scagliate con violenza contro la rete, occhiate cariche di odio, racchette spaccate e sorrisi amari, rabbia che non portava da nessuna parte. Djokovic non sembrava neanche l’ombra di se stesso. […] In poco più di due anni, il tennista serbo aveva perso tutto, non riusciva più a rimanere concentrato per più di mezz’ora. […] Djokovic […] aveva passato più di duecento settimane da numero uno al mondo, adesso era scivolato fuori dai primi venti» (Mecca). Nella primavera del 2018, dopo essere uscito sconfitto al secondo turno sia da Indian Wells sia dai Miami Open, «per cercare di ritrovare serenità, almeno dal punto di vista tecnico, il serbo ha richiamato in panchina il coach dei mille trionfi, Marian Vajda, […] dopo il periodo Becker, la parentesi Agassi e la meteora Stepanek» (Gianni Valenti). «Subito dopo aver perso ai quarti di finale del Roland Garros contro Marco Cecchinato, Djokovic aveva ammesso di non essere sicuro di giocare la stagione sull’erba. Era arrabbiato, confuso, demoralizzato: non si ricordava più come si vince una partita di tennis» (Mecca). «Il k.o. con Marco Cecchinato […] lo induceva a una vacanza con la moglie, da soli, passeggiate e scalate, […] dopo qualche incomprensione familiare e con due figli a casa da crescere. Da lì in poi, Nole ha ritrovato la voglia di allenarsi e di dedicarsi come prima al tennis, ma soprattutto ha dato un calcio […] al famoso “pace e amore” predicato dall’amico-guru che gli aveva annacquato la proverbiale cattiveria agonistica. Al Queen’s, a giugno, è quindi tornato a superare un “top 5” dopo quasi diciotto mesi, Dimitrov nel secondo turno, pur cedendo in finale a Cilic dopo aver avuto match point» (Martucci). «A Londra, […] da testa di serie numero 12, ha sconfitto Kyle Edmund, Kei Nishikori, e in semifinale Rafa Nadal dopo cinque set e più di cinque ore di partita. Durante le settimane del torneo si è arrabbiato con gli arbitri, con gli avversari e con gli organizzatori del torneo, che gli avevano negato il campo Centrale. Ha dovuto alzare la voce, ricordare loro che non esistono soltanto Nadal e Federer, anche lui ha vinto Wimbledon, anche lui meritava il palcoscenico più bello del mondo. In semifinale contro Nadal, Djokovic si è ricordato il motivo per cui continua a giocare a tennis. Ha urlato e imprecato e lanciato sguardi carichi di odio, ha avuto paura di perdere e poi di vincere, però la sua testa è sempre rimasta dentro alla partita. Nadal, con i piedi in campo, provava ad aggredirlo, il serbo rispondeva a tutto, tirando ancora più forte. […] In finale contro Anderson, reduce dalla maratona vinta contro John Isner 26 a 24 nel quinto set, Djokovic ha vinto in tre set. Vincendo si è tolto di dosso due anni di rancore e di cuore in gola; le sconfitte nei primi e nei secondi turni, la distanza dai migliori, la tentazione del ritiro, l’idea che il tempo per lui fosse finito per sempre» (Mecca). «E, da lì in poi, ha pigiato sul pedale dell’acceleratore senza più rialzare il piede, aggiudicandosi […] Cincinnati, Us Open, Shanghai e fermandosi solo in finale a Parigi-Bercy e Masters. Una corsa trionfale, segnata […] dal netto successo su Federer nella finale di Cincinnati e dal rientro al numero 1 del mondo, a Bercy, grazie alla rinuncia di Rafa per l’ennesimo infortunio. Poi, quest’anno, dopo il ko con Bautista Agut nelle semifinali del torneo d’assaggio di Doha, Djokovic, […] armato di senso dell’anticipo, gambe e geometrie impeccabili, ha scardinato qualsiasi sicurezza: dal qualificato Krueger all’attaccante di ritorno Tsonga, dal delizioso rovescio a una mano del rampante Shapovalov al potente Medvedev, dal sempre rotto Nishikori al recuperato Pouille, al solito Rafa. La cosa preoccupante per gli avversari è che sembra più forte e completo di prima. E ritrovare il suo punto debole sembra più complicato» (Martucci). Quella degli Australian Open, il 27 gennaio 2019, «era la finale più attesa: dopo l’eliminazione a sorpresa di Federer agli ottavi di finale, Novak Djokovic e Rafa Nadal si riaffrontano in finale: […] l’attesa rivincita dopo il fantastico precedente del 2012, una battaglia interminabile vinta al 5° set dal serbo dopo 6 estenuanti ore di gioco, senza dubbio il match più emozionante tra i due. È la sfida numero 53 di una delle più avvincenti rivalità della storia del tennis: conduce 27-25 Djokovic, avanti sulle superfici veloci, mentre è netta la prevalenza dello spagnolo sulla sua amata terra rossa. Di fronte, due straordinari interpreti del gioco da fondo campo: il ritmo incessante dei colpi mancini di Nadal contro la difesa impenetrabile di Djokovic, probabilmente l’avversario che riesce a imbrigliare con maggiore efficacia la diagonale di sinistra dell’iberico ribaltando il gioco con il suo fantastico rovescio bimane. […] Superando in tre rapidi set Rafa Nadal con il risultato di 6-3 6-2 6-3, […] trionfa ancora Djokovic con il settimo sigillo a Melbourne, vittoria storica che gli consente di staccare Roger Federer e Roy Emerson, appaiati con sei successi, e gli restituisce la consapevolezza di una netta supremazia nel circuito, ritrovata dopo l’annus horribilis 2017. […] Il campione serbo conquista così […] il quindicesimo Major in totale, rafforzando il primato nella classifica mondiale. L’obbiettivo di raggiungere e superare Nadal a 17 e Federer a quota 20 Slam ora non è più un miraggio» (Antonio Prisco). Il 12 maggio successivo, «Novak Djokovic festeggia al meglio la 250a settimana della sua carriera al numero 1 del mondo, conquistando per la terza volta, dopo i successi nel 2011 e nel 2016, il Mutua Madrid Open. […] È il 33° Masters 1000 della carriera: il serbo raggiunge Rafa Nadal in vetta alla classifica dei tennisti che ne hanno vinti di più. Soprattutto, a due settimane dall’inizio del Roland Garros, mostra di essere tornato quello visto da luglio dello scorso anno sino a gennaio, quando aveva dominato gli Australian Open. […] Senza strafare, Nole ha dominato questo torneo: non ha perso nemmeno un set, nonostante abbia affrontato il tennista più in forma sulla terra rossa, Thiem, e quello che ha vinto più partite nel 2019, Tsitsipas» (Ferruccio Roberti). Una settimana dopo, però, nella finale degli Internazionali di Roma, «a Nadal riesce la prova del nove: batte 6-0 4-6 6-1 in due ore e 25 minuti Novak Djokovic e si ricandida da favorito in vista del Roland Garros. […] Quello del Foro è il primo titolo dell’anno per Rafa – che aveva perso la sua unica altra finale del 2019 contro Djokovic agli Australian Open –, il 34esimo della carriera in un Masters 1000, un record assoluto (Djokovic è a 33). Il bilancio fra il n. 1 e il n. 2 del mondo è ora di 28 a 26 per Djokovic, che va sotto nel conto delle finali romane giocate contro il Cannibale: 3-2. […] Nel primo set lo spagnolo ha letteralmente spazzato via Djokovic, che peraltro è arrivato alla finale con nelle gambe le due maratone notturne contro Del Potro e Schwartzman. Nei 140 precedenti set giocati fra i due non c’era mai stato un 6-0, ma già nel secondo set Nole è riuscito a reagire. […] “Io forse non ero al meglio oggi, ma non voglio togliere nulla alla sua vittoria, e comunque ho lottato. Nel secondo set ho iniziato a prendere le misure al suo gioco, nei primi game del terzo ho avuto le mie chance, poi lui mi è scappato via. È stata una buona settimana, considerato che nei quarti sono stato a un punto dalla sconfitta contro Del Potro. Il favorito n.1 per Parigi resta lui, poi tutti gli altri”» (Stefano Semeraro) • Sposato dal 2013 con Jelena Ristic, laureata in Economia aziendale alla Bocconi; due figli, Stefan (2014) e Tara (2013). «Devo tutto a Jelena, mia moglie. È lei che mi ha tenuto insieme quando stavo perdendo i pezzi. C’è stato un momento in cui non riuscivo più a trovare un motivo per giocare a tennis, non mi divertivo più, e dubitavo valesse la pena di sopportare fatica e dolore. Volevo smettere, dire basta, ero impaziente sia a casa che in campo. Mi cercavo, e non mi trovavo, ero nervoso: il mio gioco non era granché, e, quando stai nel pozzo, più ti affanni e più cadi giù. Maledicevo tutti, me stesso, ogni cosa: era sempre colpa del mondo; la sconfitta con Cecchinato l’anno scorso nei quarti al Roland Garros ha fatto il resto. Jelena è stata la mia cura, mi ha incoraggiato a non tormentarmi, mi ha detto che dovevo solo aspettare, e che la famiglia non l’avrei mai persa, lei era lì e ci sarebbe sempre stata. Bisognava solo avere pazienza, non distruggere quello che avevamo costruito. […] Prima […] in campo mi mancava la famiglia, a casa soffrivo di non stare in campo. Quando giochi male, i dubbi e il disagio si moltiplicano, tutto ti appare insopportabile. Ora che sono in pace, penso che ogni stagione porta sfide nuove. Dipende da te accettarle, cogliere l’occasione di migliorarti, oppure farti sconfiggere ancor prima di partire. Si chiama nevrosi, ed è una talpa che lavora dentro» (a Emanuela Audisio) • Cristiano ortodosso, non disdegna la meditazione, soprattutto prima di un incontro. «Credo nella trascendenza. Quando ti spingi oltre i tuoi limiti, e nello sport capita, è come se il tuo spirito uscisse fuori di te e tu fossi guidato da un pilota automatico. Mi è capitato contro Nadal nella finale dell’Australian Open 2012, che è durata quasi sei ore: a quel punto, per non sentire il dolore fisico ti estranei. È come un’esperienza extracorporea: sei lì, ma non ci sei, c’è una forza più grande di te che ti porta avanti» • Milanista • «Salutista, figlio di ristoratori e oggi a sua volta proprietario di ristoranti, alla dieta e alla cucina sana Djokovic ha dedicato un libro [Il punto vincente, cit.], rivelando di aver eliminato dalla tavola zuccheri, carne, glutine e di amare molto i frutti di bosco, le bacche, i semi di lino, di girasole e di sesamo» (Semeraro) • «Sono andato a scuola fino ai 18 anni, e ho sempre avuto il rimpianto dell’università. Ma ho letto e leggo tanto: psicologia – la facoltà che avrei scelto – e psicologia dello sport, e poi storie con approccio scientifico. Mi piace anche scrivere» • «“Ho sentito una storia che credo mi riguardi: quella del lupo che per salire in cima alla collina deve essere molto più affamato del lupo che è già in cima alla collina”. Fuor di metafora, Novak Djokovic, il ragazzo di Belgrado che giocava a tennis sotto le bombe Nato, ha la fame di chi non si è mai riempito davvero la pancia» (Piccardi). «Ci tengo a dirlo: io oggi sono cosmopolita e pacifista. Guardo al mondo come fratelli e sorelle. Ma sono grato e orgoglioso delle mie origini serbe, che ho abbracciato, accettato e amato. […] E oggi penso a come aiutare il mio Paese, cosa poter fare». Con la moglie ha costituito e gestisce una fondazione benefica a suo nome («Costruiamo scuole e diamo istruzione ai bambini serbi meno fortunati») • «Non è solo la testa: Djokovic tira. Risponde veloce, lungo, si sposta, prende il campo, domina il gioco. Non è solo la concentrazione: Novak attacca. Serve laterale, sposta l’avversario, gli fa fare il tergicristallo, destra, sinistra, dritto, rovescio, contropiede. Anche a Federer, a Murray, a Nadal. È forte, con una forza tutta sua, diversa, ampia, totale. Perché, per differenziarlo da Federer e Nadal, con cui s’è spartito la gloria e i tornei, […] s’era creata quella categoria: campione mentale. Roger era la classe, il talento, l’eleganza. Rafa la potenza, la grinta, il coraggio. Djokovic la serenità, la capacità di gestire i momenti fondamentali, l’equilibrio. Per anni il tennis s’è convinto che fosse il terzo in una sfida tra due, una specie di affascinante guastafeste, la variabile diversa ma certa in grado di movimentare uno sport che stava diventando una diarchia. Non aveva ancora capito, il tennis. […] Djokovic […] è vero, forte, completo. È unico. […] È un cerchio che si chiude, uno che sa fare tutto, che sa giocare ovunque, che s’adatta a superficie, clima, avversario rimanendo se stesso. La precisione, la capacità di anticipare il movimento dell’avversario, la coordinazione, la rapidità delle gambe, la tenuta atletica, lo spirito da combattente. […] Novak, che il mondo del tennis e non solo conosce come Nole, è il personaggio più intrigante del tour proprio perché è sfaccettato, anomalo, particolare: mescola modi di essere che nella storia di questo sport fino ad ora non si sovrapponevano mai. Perché, se avevi lo showman alla McEnroe, sapevi che in campo il suo carattere sarebbe prima o poi venuto fuori. E allora liti, polemiche, follie, rabbia, ma poi esultanza, battute, risate. Con Nole il carattere è multiforme. Volete il miglior imitatore dei vizi e delle follie delle star del tennis? Djokovic si esibisce sul campo centrale di New York imitando la Sharapova, Nadal, Federer e tutti. Risate in diretta tv globale come mai accaduto. Dieci minuti prima, però, era concentrato sul gioco come un automa, con gli occhi sbarrati e l’aspetto di uno che stava calcolando qualunque possibile traiettoria del gioco per poterlo gestire a proprio piacimento. Nole è moderno, ecco. Di più: contemporaneo. Un talento naturale, ma arricchito dalla costruzione, dall’allenamento, dalla perseveranza. […] Djokovic è il risultato del se stesso cresciuto in quel modo, in quel posto, in quel periodo. Lo dice. Lo dimostra. È nella capacità di adattamento a ciascun contesto si presenti in un match. […] Il carattere si unisce al colpo preciso, a una tecnica di base che non prevede il genio di Federer ma la certezza di mettere la palla nel posto giusto dove si può fare punto oppure dove si può mettere in difficoltà l’avversario per fare il punto alla palla successiva. È la Serbia degli anni ’90. È una dote rara: per questo Djokovic è un campione che non c’era e che ora c’è. Diverso, speciale. Unico» (Di Corrado). «È raro guardare un campione del tennis, per sua stessa natura un esemplare esclusivo, e cogliere in esso caratteri appartenuti ad altri primi attori, finanche lontani nel tempo, tali da escludere che Djokovic possa averli conosciuti e frequentati. Lui, s’è detto più di una volta, è certo un eccellente imitatore, uno Zelig tennista che assorbe i caratteri dei colleghi, e quando ne ha voglia si sollazza nel riprodurli in stravaganti siparietti. Ma come abbia fatto Nole a impossessarsi della gommosa elasticità di un Milo Mecir, e da dove gli siano venuti la corsa leggera di un Wilander, l’allungo sul dritto a colpire la palla quasi con uno schiaffo che faceva impazzire gli avversari di Lendl e l’istintiva capacità di cambiare il tracciato di un partita che fu l’arma prediletta di un Ríos davvero resta un mistero. Il segreto nascosto dietro una ricetta perfetta» (Daniele Azzolini). «Il gioco del […] campione si basa su una condizione tecnica straordinaria, anche per la capacità di assorbire e metabolizzare la fatica. Grazie allo straordinario perno delle gambe, Nole è in grado di colpire splendidamente palle per altri quasi perdute all´esterno delle righe laterali, e trasformarle in parabole rientranti di geniale geometricità. […] Bimane sul rovescio com´è ormai obbligatorio nell´Èra post-Federer, è in grado di giocare con una sola mano volée e drop micidiali, dissestando un tennis contemporaneo ormai legato alla linea di fondo. Ha acquistato in se stesso tutta la fiducia instillatagli da un´intera tribù, o meglio da un´intera nazione. Peccato che, come Ljubicic, non sia diventato dei nostri, quando l´Italia pareva l´America. Ma forse un tipo simile non ce lo meritiamo» (Clerici) • «Ha dichiarato che da bambino il suo mito era Sampras, il grande rivale di Agassi. “Sì, ma il mio gioco è più simile a quello di Agassi. Andre, oltre a essere un campione, ha rivoluzionato il mondo del tennis con le pettinature, i vestiti, i comportamenti anticonvenzionali, ed è entrato nel cuore della gente”» (Faillaci). «L’impressione è che all’inizio, stritolato tra due giganti, Federer e Nadal, avesse un bisogno quasi viscerale di piacere al pubblico per farsi accettare. “Sono arrivato a scardinare un binomio enorme dello sport mondiale. Per me era importante investire energie per salire al loro piano, dialogare, far capire alla gente che anch’io ero all’altezza dei tornei dello Slam. Vengo da un piccolo Paese dell’ex Jugoslavia, la Serbia, che negli ultimi anni non ha goduto di ottima stampa: mi sono affacciato al tennis preceduto da molti pregiudizi. Volevo affermare la mia originalità senza rinunciare alla mia personalità: ecco il perché delle imitazioni, delle parrucche, delle gag con il pubblico. Ma a un certo punto ho detto basta. Era una commedia, è finita”. […] È vero che uno dei suoi idoli da ragazzino era Alberto Tomba? “Tomba la bomba! Un mito! Come lui, nello sci, non ci sarà mai più nessuno. Papà era innamorato perso di Albertone. Tutta la famiglia Djokovic si riuniva davanti alla tv per vedere le sue gare. Facevamo un tifo indiavolato. Uno dei sogni della mia vita è ritrovarmi con Tomba in cima alla montagna di Kopaonik, dove sono cresciuto, e scendere in slalom insieme a lui. L’adrenalina di una discesa con gli sci me la ricordo bene: nemmeno il match point di una finale Slam regge il confronto”. Addirittura. E il suo amico Fiorello? […] “Grande Fiore! […] Andai a trovarlo in teatro, a Roma, e poi sul palco in un programma della vostra televisione. Lui ricambiò il favore venendo a vedermi giocare agli Internazionali d’Italia del Foro Italico. […] Fiore è un fenomeno, in tutte le cose che fa”» (Piccardi) • «Io sono grato della opportunità di poter giocare a tennis, lo sport che amo con tutto il mio cuore, ma non prendo niente per scontato. E così apprezzo di più la vita, perché non ho avuto tutto gratis». «Io ho la fede, che mi ricorda quanto sono benedetto. Ho preso atto della mia vulnerabilità, ma anche della mia forza. E non vedo altri posti dove posso evolvere se non in un campo da tennis. Quello che imparo dalla vita, io me lo gioco lì».