Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  maggio 21 Martedì calendario

Biografia di Claudia Koll

Claudia Koll (Claudia Maria Rosaria Colacione), nata a Roma il 17 maggio 1965 (54 anni). Attrice. «Da testimone della Resurrezione, non ripenso più al mio passato di attrice, né alle luci della ribalta» • Ascendenze romene per parte paterna, ungheresi per parte materna • Figlia di due medici. «Subito dopo la mia nascita, mia mamma ed io abbiamo rischiato di morire, e […] sono stata affidata a mia nonna, non vedente». Sua madre «dopo che mi ebbe partorito ricevette una trasfusione di sangue infetto e rimase per sei mesi tra la vita e la morte. Quando poi mamma fu finalmente guarita, andammo con tutta la famiglia a rendere grazie alla Madonna di Pompei. Sempre come ringraziamento alla Madonna sono stata battezzata con il nome completo di Claudia Maria Rosaria». «Mia nonna è stata il più grande esempio di fede nella mia famiglia. La vedevo recitare quotidianamente il rosario e parlare direttamente con Dio». «Sono cresciuta accanto a lei. La nonna la notte legava il mio braccio al suo con un filo per sentire se mi muovevo nel sonno. Non mi lasciava mai». «Quando lei stava dinnanzi al televisore e ascoltava gli sceneggiati, io le raccontavo cosa vedevo. L’esperienza di raccontarle quello che accadeva, e vedere il suo volto illuminato, ha generato in me la voglia di comunicare con le persone e di regalare emozioni. Penso che sia da ricercare in questo vissuto il seme della mia vocazione artistica» (a Mauro Harsch). A scuola «"ero molto ribelle, ci andavo poco, mi annoiavo e, avendo la fortuna di avere due genitori medici, mi firmavo da sola anche i certificati. La disciplina, l’ho imparata all’università: era necessaria, studiando Medicina. E anche la danza, che ho studiato per anni, è una cosa che impone il rigore". Quando ha lasciato l’università per fare l’attrice? "Durante l’università studiavo anche recitazione all’insaputa dei miei. Al quarto anno ho scelto, e non è stata una decisione facile. I miei genitori furono molto comprensivi: mio padre, tenerissimo, veniva a vedermi a teatro e parlava con i registi, chiedeva loro se ero brava"» (Maria Pia Fusco). «Dopo aver partecipato ad un laboratorio su Stanislavskij, mi sono resa subito conto di quale era la mia strada. Volevo conoscermi e conoscere attraverso i personaggi la vita, mettendo in gioco il mio cuore e le mie emozioni. Andando avanti ho conosciuto anche l’attrice Susan Strasberg, figlia del regista teatrale e insegnante di recitazione Lee Strasberg, con il quale fondò l’Actors Studio. Ho cominciato a studiare con lei e ho portato avanti un po’ il discorso della verità nell’immedesimazione, lavorando sulle ferite che ci portiamo nel cuore». Non riuscì però a giungere alla fama («Negli anni Ottanta io non riuscivo nemmeno a fare i provini») fino al suo incontro con Tinto Brass, che, dopo aver offerto senza successo la parte alla giornalista Cristina Parodi, la scelse per il ruolo della disinibita protagonista di Così fan tutte (1992), folgorato dal suo fondoschiena al punto di ritrarlo in primo piano anche sulla locandina del film. «Nella sua vita ha incontrato molte “sliding doors” e le ha infilate arditamente, senza preoccuparsi di cosa avrebbe detto la gente: “Sono abituata ai pettegolezzi, a 14 anni dicevano che il professore d’inglese era innamorato di me”. La prima porta scorrevole è stato “il caro Tinto”: “Se non saltavo lì dentro prima che si chiudesse, la mia vita non sarebbe cambiata”, diceva nei primi anni ’90, il linguaggio spesso sboccato, le morbide curve stampate sui manifesti di tutta Italia. Ma presto lo avrebbe rinnegato. “Quando le chiedono di me reagisce come se l’avessero offesa a morte – lamenta oggi Brass –. Un comportamento stupido e poco riguardoso. Mica sono un delinquente infrequentabile”. Poi è arrivato Pippo Baudo, Festival di Sanremo 1995, anno di record d’ascolti e dello squilibrato che voleva buttarsi dal tetto dell’Ariston: Anna Falchi è la bionda, Claudia la bruna, Pippo tripudia definendo la contesa che giocosamente oppone le due “come la Fiat contro la Ford”, alludendo alla “carrozzeria”. Falchi ride divertita, lei abbozza, un misto di alterigia e provocazione: “Le donne, se vogliono ottenere qualcosa nella vita, non possono non usare il linguaggio del corpo”. Ma è abile a infilare, subito dopo il festivalone, la terza porta scorrevole, Nino Manfredi e la fiction Linda e il brigadiere, che le dà il successo nazionalpopolare. Manfredi fa il generoso: “’Sta ragazza, Claudia Koll, di cui m’avevano parlato malissimo, è piena di buona volontà”. Per lei è una nuova svolta: “Ho imparato a essere una dura: arti marziali, pesi, difesa personale”. È il periodo in cui Koll si definisce “una donna decisa ma anche una gran romantica” e dice di venerare Eleonora Duse. “Ho comprato una collezione di sue fotografie appartenuta a Marilyn Monroe e il baule con i vestiti che la Divina, nella sua vita da zingara di lusso, non abbandonava mai”. Linda e il brigadiere ha molto successo, ma la Koll intanto ha scoperto il teatro, chiede tempi e spazio, e la Rai non glieli concede: viene fatta morire e sostituita con un’altra Linda, Caterina Deregibus, “più bella e più brava – dichiara secco Manfredi –. La Koll sul set mi chiedeva sempre consigli”. Gli ascolti della fiction crollano, Claudia intanto ha infilato la porta di Mediaset nei panni di Valeria medico legale: “Mi sono stati utili i miei studi di Medicina. Sono arrivata al quarto anno, e poi vengo da una famiglia di medici, conosco la loro psicologia. Quando maneggiano i cadaveri, i medici tendono a scherzare, altrimenti il loro lavoro diventerebbe impossibile. E poi non è male riflettere un po’ sulla morte: viviamo in una società che tende a rimuoverla, e invece la fine arriva per tutti, bisogna farci i conti”. Le prime avvisaglie che la Koll fosse sulla via di Damasco sono già tutte lì, ma la ragazza confonde ancora le acque. “Flirto di continuo perché mi diverte provare le mie capacità di seduzione – provoca –. Chi sta con me dimostra grande coraggio”. Oscilla fra capricci da star – pretendendo sul set una roulotte per sé, l’altra per la palestra, una personal coach americana e il parrucchiere personale per l’applicazione delle extension – e le dichiarazioni pensose, come quelle all’epoca della fiction L’impero, in cui era una deputata: “Le donne in Parlamento sono poche non perché non le votano, ma perché poche sono le donne disposte a sacrificare tutto per il potere: grinta, concretezza, determinazione sono indispensabili per affermarsi”. Grinta, concretezza, determinazione che alla Koll non mancano. E arriva l’ultima “sliding door”, la più inattesa. Un momento di grande sofferenza personale, “e ho incontrato Gesù. Ha guarito le mie ferite, nessuno poteva aiutarmi a parte lui. Mi sono sentita come il figliol prodigo: accolto dal padre senza essere giudicato. Dalla sofferenza alla fede il passo è breve, dalla fede alla compassione, pure. Come attrice sento la responsabilità di annunciare tutto questo alla gente, soprattutto ai giovani”» (Raffaella Silipo). «Quando è iniziata la sua conversione? “Nel 2000, quando ho passato la Porta Santa. Accompagnavo un’amica che veniva dall’America ed era la mia coach sul set. Poi siamo andate in Puglia per il film, e lì, per la prima volta, mi sono trovata di fronte a delle difficoltà che non riuscivo più a gestire: prima ero sempre determinata, sicura, e invece non lo ero più”. Che cosa è successo? “Per esempio, in una scena drammatica sarei dovuta scoppiare a piangere ma non ce l’ho fatta, il cuore non rispondeva ai miei comandi: si era indurito. E mi sono chiesta: perché? La mia amica mi disse: ‘Se non c’è verità nella tua vita, come ci può essere nel tuo mestiere?’. E la sera, in albergo, pensai a Gesù, che dice che la verità rende liberi”. E che cosa ha fatto? “Ho capito che la menzogna mi stava spegnendo dentro. E piano piano ho messo in discussione certi aspetti della mia vita, come il fatto che tutto ruotasse intorno a me, che fossi solo il centro di me stessa”. Quali altri aspetti ha messo in discussione? “La mancanza di autenticità, e quindi la necessità di compiere scelte più coerenti rispetto all’unità della persona. E poi, appunto, l’egoismo: ho capito che bisogna pensare anche agli altri, e ho cominciato con un ragazzo malato di Aids, ricoverato in un centro della Caritas”. Uno choc? “Dal mondo patinato del cinema in cui tutto deve essere bello… Lì, con quelle persone, ero obbligata a essere vera: erano tutti malati terminali. Un’esperienza forte, come i poveri in Africa: ho visto neonati senza guance, col visino scavato, bambini scheletrici, e tutto questo mi ha fatto crescere più di tante parole”. E che cos’altro è cambiato? “Beh, per esempio non spendo più tanti soldi in vestiti e scarpe. Mi piacciono, ma ho la consapevolezza che non si possa vivere pensando solo a quello”. La conversione è arrivata quando era al successo. Un caso? “Non credo, anche se fondamentale è stato il passaggio della Porta Santa. Certo è che ho saputo rinunciare a tante cose, perché ne ho anche sperimentata l’inconsistenza: quando avevo davvero bisogno, i soldi e il successo non mi hanno dato le risposte che cercavo, Dio invece sì”. Si è pentita del passato da attrice? “Ma io continuo a fare l’attrice, anche se non in tv o in tournée: ho ruoli meno visibili, ma non ho smesso”. Ma dei ruoli non proprio “casti” che ha interpretato? “Certo, è chiaro che, se potessi, certi errori non vorrei averli commessi”» (Eleonora Barbieri). Negli ultimi anni, allontanatasi sempre più dai riflettori, profonde il suo impegno nella gestione della sua associazione benefica «Le opere del Padre», «che opera in Africa e soprattutto in Burundi, dove sosteniamo e aiutiamo tanti bambini e tanti orfani, per aiutarli a ritrovare la speranza», e nella direzione della Star Rose Academy, una scuola fondata dalle suore orsoline che «aiuta i ragazzi a farsi una formazione completa: canto, danza, recitazione», frequentata anche da suor Cristina Scuccia prima di prendere i voti (e di partecipare al concorso televisivo The Voice of Italy). «Nella mia lezione, prima di iniziare a lavorare, invochiamo lo Spirito Santo e preghiamo. Ma non è mai una forzatura. Chi vuole partecipa anche alle adorazioni eucaristiche prima degli spettacoli» • «Vi è stata una rottura con il passato. Con le ipocrisie del passato. Questo non vuol dire che sia diventata una bacchettona. Sono pronta a tornare sulle scene, ma con opere di qualità culturale che siano coerenti con la mia scelta di vita. Quando mi propongono dei copioni di film o fiction, non dico mai “no” a priori. Li leggo attentamente. Qualche tempo fa mi hanno proposto di essere la protagonista di un film: avrei dovuto interpretare il ruolo dell’assassina. Ora, il punto non era tanto questo aspetto: è ovvio che, trattandosi di finzione narrativa, bisogna saper comprendere il contesto. Il fatto è che, nella parte finale del film, la preside-assassina riteneva giusto aver ucciso dei ragazzi. Questo messaggio finale è incompatibile con i valori per cui mi batto. Sarebbe stato incoerente» • Celibe. «Ha detto che non ha tempo per un uomo. Sul serio? “Nel senso che ho una vita così piena, dedicata agli altri, che non sarebbe giusto fermarla: quella che ho cominciato è una missione, e avere un compagno vicino significherebbe dedicargli del tempo ulteriore. E non sono in grado”. […] Ma non ha mai pensato di farsi suora? “Certo, l’ho pensato, però poi ti chiedi: che cosa vuole Dio da me? E la risposta è diversa. Questo non significa che non metta Dio al primo posto nella mia vita. […] Insomma, ho una vita piena nel mondo: prendere i voti ed entrare in convento non è la scelta che il Signore mi ha chiamata a fare”» (Barbieri) • Nel 2008 è diventata madre affidataria di Jean-Marie, un ragazzo del Burundi all’epoca sedicenne. «Che mamma è? “Non lo so… Non è stato facile. All’inizio Jean-Marie non parlava italiano e rifiutava il cibo. Era in condizioni fisiche gravi, quando è arrivato era irriconoscibile a causa di una insufficienza renale. Ho dovuto combattere anche per farlo mangiare, a volte con la preghiera più che con i rimbrotti. Poi, piano piano, si è creata una relazione di fiducia: veniva con me nei miei viaggi, gli facevo le punture sulla pancia, come farebbe chiunque abbia in casa un malato. Piano piano, però”» (Barbieri) • Grande amica, fino all’ultimo, dell’attrice Laura Antonelli (1941-2015), che in un suo scritto indicò proprio la Koll tra le poche persone da avvertire in caso di morte • Nel 1997 confidò a Claudio Sabelli Fioretti la sua passione per il tango, definendolo «un pensiero triste in movimento. È languido, malinconico, però è anche violento. Il tango era un combattimento fra uomini, al di fuori delle fabbriche, poi passò nei bordelli, e gli uomini non volevano la donna più bella, ma quella che ballava meglio il tango» • Celiaca • «Bella, il sorriso aristocratico e tutto luce» (Fusco). «Viso dolce, […] bellezza eterea, quasi trasparente» (Alberto Mattone) • «“Il film di Brass non mi ha aiutata: sono rimasta due anni senza lavorare. A un certo punto ero arrivata perfino a pensare di iscrivermi di nuovo a Medicina. Mi aveva ostacolato la carriera”. Addirittura? “Io sognavo il cinema vero, di Bergman… Feci un grosso errore di valutazione: pensai che mi avrebbe fatta conoscere e invece lo impedì, perché tutti si fermarono al mio corpo, e le uniche chance di lavoro erano dello stesso genere. Così mi fermai per due anni, fino a che Baudo mi chiamò al Festival di Sanremo, che mi ha permesso di uscire dall’isolamento”» (Barbieri). «Il culo di Claudia Koll aveva delle implicazioni mistiche. Si capiva dove sarebbe andata a parare. C’era un’ombra di malinconia» (Tinto Brass) • «Si ritiene fortunata? “Non uso questa parola. Ringrazio Dio perché scrive sulle nostre righe storte, ama l’uomo e, anche se cadi, se lo sguardo è rivolto a lui, ti prende in braccio e ti risolleva”. […] Se si guarda allo specchio, che cosa vede? “La serenità sul volto, la luce. Mi vedo più luminosa di prima, vedo la gioia nel cuore di avere una vita piena, intensa, e ringrazio il Signore perché, se non l’avessi incontrato, la mia vita non avrebbe sapore”. Perché tutta questa gioia? “È la gioia di fondo nel fare il bene, di sapere che la mia vita non è sprecata, è vissuta”» (Barbieri).