21 maggio 2019
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Biografia di Giampiero Galeazzi
Giampiero Galeazzi (Gian Piero G.), nato a Roma il 18 maggio 1946 (73 anni). Giornalista. Telecronista sportivo. Conduttore televisivo. Ex canottiere. «Il calcio mi ha dato la popolarità, il tennis è stato lo sport che ho seguito di più, il canottaggio l’ho praticato: voglio bene a tutti e tre come si può voler bene a dei figli» • «Giampiero, tu sei romano di nascita, ma i tuoi genitori sono del Nord… “Questo è il motivo per il quale sono laziale, perché mio padre mi portava a vedere solo la Lazio, mentre a scuola erano tutti romanisti”. Dove hai studiato? “Al San Giuseppe De Merode e poi a Villa Flaminia”» (Mirta Lispi). «“Mio padre è stato campione di canottaggio. Vinse gli europei nel 1932, nel due senza. Poi continuò facendo l’allenatore alla Tevere Remo, e poi alla Canottieri Roma. Per cercare di curare un braccio che mi era rimasto bloccato dopo un incidente, mi fece fare canoa. E così divenni un fiumarolo. Stavo sempre in riva al Tevere. Ho imparato anche a nuotare, nel Tevere. […] Io cominciai con la canoa, poi passai al canottaggio perché ero troppo alto. Nel 1964 vinsi il campionato del mondo juniores. […] Sempre in barca. A scuola e in barca, in barca e a scuola. Sempre. Non avevo tempo per cazzeggiare dopo la campanella della fine delle lezioni. E la mattina, alle sei, andavo a correre due ore a Villa Borghese. E, la sera, palestra”. […] Rapporti col padre? “Lui campione, io campione. A casa gli portavo l’acqua con le orecchie, obbediente, ma in acqua ero abbastanza aggressivo e gli rispondevo. Ero un rompicoglioni”. Ti occupavi di politica? Era il ’68. “Io pensavo alle Olimpiadi. Non avevo certo in mente Capanna che faceva l’insurrezione all’Università. Che il mondo stava cambiando, lo leggevo sui giornali. Comunque politicamente ero uno di rottura, non sono mai stato conservatore”. […] Eri magro? “Ero uno stecchino”» (Claudio Sabelli Fioretti). «Campione del mondo junior, olimpionico in Messico nel ’68. Cinque vittorie negli assoluti. Dovevo prende le medicine pe ingrassà. 1 e 93 per 90 chili. Ero trasparente». «Giocavi anche a pallone. “Naturalmente. Ma durante un torneo di squadre locali, a Maccarese, dove guadagnavo 200 mila lire a partita, mi sono rotto il ginocchio e non mi sono più ripreso. Ho dovuto finirla, con il canottaggio”. […] L’ultima gara? “A Parigi. Capii che non c’era più la gamba e non c’era più la testa. Meglio così. Se fossi stato competitivo sarei andato a Monaco alle Olimpiadi del 1972. E sarebbe cambiata la mia vita. A Monaco ci andai come radiocronista, con Guglielmo Moretti. Io l’ho presa come un segno del destino, questa gamba infortunata”» (Sabelli Fioretti). Nel frattempo, s’era laureato in Economia e commercio, con specializzazione in Statistica. «Titolo della tesi? “Metodo statistico applicato alle discipline sportive. Dovevo andare alla Doxa, ma non avevo voglia”» (Marco Cicala). «Per qualche mese ho lavorato all’ufficio marketing e pubblicità della Fiat. Ma il clima a Torino era pessimo, mi mancavano il sole di Roma, le mangiate con gli amici, le giornate al Circolo Canottieri, che era la mia casa». «“Era il 1970, un giorno dovevo andare a giocare un doppio di tennis con Renato Venturini, che lavorava alla radio. Andai a prenderlo nella sede di via del Babuino e mi presentò ai colleghi dello sport. Ero alto e massiccio, così Gilberto Evangelisti se ne uscì con la frase: Renà, ma chi è ‘sto Bisteccone?”. E così trovò anche lavoro. “Venturini raccontò che ero stato campione di canottaggio, così quelli della radio mi chiesero di portare i risultati delle gare, e piano piano mi inserirono in redazione. Lavoravo dalle 8 del mattino alle 8 di sera, portavo il cappuccino a Ciotti, leggevo i risultati della C la domenica. Insomma, feci la gavetta, al fianco di maestri come Guglielmo Moretti, il mio santo protettore, Enrico Ameri, lo stesso Ciotti, Rino Icardi, Claudio Ferretti”. Fino a quando si ritrovò all’Olimpiade di Monaco. “E per un altro colpo di fortuna feci la mia prima radiocronaca di canottaggio. Mirko Petternella era stato trattenuto al palazzetto per la scherma, e così debuttai io. Con questa frase: ‘Qui c’è molto vento, le bandiere sembrano di legno’. Pensi che cazzata… Dallo studio, Roberto Bortoluzzi disse: ‘Sì, Galeazzi, vai avanti’. Avrà pensato: se questo è l’inizio, annamo bene… Invece me la cavai”» (Roberto Pelucchi). «“Seguivo il canottaggio, e poi quando ci fu l’attentato dei fedayn di Settembre Nero andavo in giro per il villaggio olimpico a raccogliere testimonianze sull’omicidio degli atleti israeliani. Una tragedia, ma io ero pieno d’euforia: me pagavano per fà quello che me piaceva: raccontare lo sport e i suoi protagonisti”. Racconti partecipati, narrati con voce calda e suadente, al punto da farlo promuovere alla televisione» (Massimiliano Castellani). «“Non volevo lasciare la radio, stavo da dio ed ero stato assunto. Un giorno, però, mentre facevo una radiocronaca di rugby a Rovigo, ricevetti una telefonata della segretaria di Emilio Rossi, nuovo direttore del Tg1. ‘Si presenti domani mattina’. Avevano bisogno di un redattore perché tutti gli altri erano passati al Tg2 con Maurizio Barendson. Tito Stagno, ‘l’uomo della Luna’ e capo dello sport, aveva fatto il mio nome al direttore, e così accettai”. Non senza problemi. “Moretti, mio capo alla radio, mi disse a brutto muso: ‘Il giorno che ti troverò sanguinante per strada, non ti soccorrerò’. Ameri, invece, fu più clemente: ‘Hai fatto bene: qui sei il 35°, al Tg1 potrai essere il numero uno’. In effetti, conducevo i notiziari, facevo ‘a modo mio’ i servizi per La Domenica Sportiva. Soprattutto potevo fare le telecronache di canottaggio e, con Guido Oddo, quelle di tennis, altro sport che conoscevo bene”. Proprio nel periodo di massimo splendore degli italiani, tra l’altro. “Stare nella ‘buca’ del Foro Italico durante gli Internazionali d’Italia è stata una grande palestra professionale. Peccato aver saltato la trasferta in Cile in occasione della vittoria azzurra in Coppa Davis nel 1976. La tv non mandò inviati – ma la radio sì – per protestare contro il regime di Pinochet, quindi Oddo e io facemmo le telecronache dal ‘tubo’. La sera della vittoria del doppio, però, durante la differita Guido vide che Panatta e gli altri azzurri alzavano la coppa e anticipò il risultato, rovinando la sorpresa. Apriti cielo: ricevemmo decine di telefonate di telespettatori imbufaliti”» (Pelucchi). «Le telecronache nel canottaggio l’hanno resa inconfondibile. “Gli Abbagnale, Rossi e Bonomi… non mollo mai il respiro. […] Era come se fossi in barca con loro, era un "tre con". Era un modo per salire anche io sul podio. Poi, dopo la telecronaca collassavo”. A Seul ’88 l’hanno anche buttata in acqua. “Un bacino freddo e fetido, ce l’avevano con questo pazzo che urlava per l’Italia”. […] La telecronaca degli Abbagnale ha rischiato di non esistere. “In Rai avevano proclamato sciopero generale. Quando l’ho saputo, ero a mangiare il solito tortellino, a Seul, e pensai: ci siamo fatti migliaia di km per venire a ubriacarci insieme a mignotte asiatiche e soldati americani. Tornai in albergo alle 6 del mattino e scoprii che mi cercavano, c’avevo du’ chili de bigliettini alla porta: sciopero rientrato. Nemmeno il tempo di lavarmi, saltai su un taxi e mi scordai anche il badge per entrare allo Stadio Olimpico. ‘E mò?’. Ma quella era la mia giornata: mi fecero entrare lo stesso. Arrivai in postazione senza manco il foglio partenti, ma tanto me li ricordavo a memoria”. […] Pure col calcio… pagine storiche. “Ogni domenica ero in giro per l’Italia. Facevo 2 minuti per La Domenica Sportiva, me dovevo fà un culo…”» (Tommaso Lorenzini). «Voce e volto inconfondibile dallo stadio Olimpico di Roma per 90° minuto. “Una squadra irripetibile quella, guidata dal carisma di Paolo Valenti. La domenica memorabile? Quando sulla pista dell’Olimpico se materializzò un taxi giallo assieme alla pantera della polizia per arrestare i giocatori coinvolti nello scandalo del calcioscommesse. Scene assurde, che però, me pare, se vedono ancora no?”. Mai più rivista invece in video la “strana coppia”: Giampiero Galeazzi e Beppe Viola. […] “Io ce mettevo er fisico e la grinta de chi se buttava dentro un pullman in corsa per una dichiarazione de Bearzot. Beppe c’aveva la scrittura e le idee di uno di un’altra categoria: prendeva la stoffa grezza che je portavo e ce cuciva un abito perfetto, de classe”. Tandem vincente fino a Spagna ’82, poi il fuoriclasse Viola morì. Ma anche Galeazzi è stato un fuoriclasse delle esclusive. “Finita Italia-Germania 3-1, urlo ‘Campioni del mondo!’ direttamente dal campo, ché c’avevo già Paolo Rossi sotto l’ascella. I poliziotti spagnoli me manganellavano – ride di gusto –, pensavano che stavo a strangolà Pablito… E il giorno dello scudetto del Napoli?”» (Castellani). «Il Napoli sta pe vince il titolo, prima della fine me fo chiude negli spogliatoi da Carmando, il massaggiatore. Dopo la partita, fori, ce stavano 200 giornalisti da tutto il mondo: Sudamerica, Giappone, Congo Belga; ma dentro c’ero solo io. La genialata fu far fare a Maradona le interviste». Nel 1994 la sua carriera ebbe una svolta imprevista. «“Uscivo la sera con Mara Venier e Renzo Arbore all’epoca dei mondiali in America. Facevamo il giro delle buche jazz di New York. Ogni sera se cambiava buca, Arbore sentiva la musica, io magnavo e parlavo con Mara: le bistecche più grosse, la birra più buona. Un giorno, attraversando una strada in mezzo al traffico, Mara me fa, senza giri di parole: ‘Faresti Domenica in con me?’”. All’epoca presentavi 90° minuto. “Pensai che ’sta paracula de Mara se voleva impossessà dei dieci milioni di spettatori di 90°. Presi tempo. Due giorni dopo, me chiama Brando Giordani, direttore di rete. “Qui c’è ’na bionda che te vole a tutti i costi”. Era Mara. “Le ho presentato una lista de Hollywood, ma vole solo te: che devo fà, Bistecco’”?”. Fu subito trionfo di ascolti. “I duetti con Mara erano naturali. Niente testo. Guai a damme un testo, a me: io non so’ attore. Facevo er 40 de share con la scena del letto”. La scena del letto? “Me presentavo con la valigia, ballavo e me dimenavo. Partiva la sigla de 90° e stavo già da Mara che m’aspettava sul letto, tipo Fregoli. ‘Che m’hai portato oggi?’. ‘Ecco qua, bella bisteccona mia’, e dalla valigia uscivano salami e reggipetti. Un successo clamoroso. Acchiappavo tutti, ero una bomba a mano. All’italiano je tocchi er letto…”. Reazioni in famiglia? “I figli non mi salutavano più. Specie il maschio, Gianluca. “Ma papà, sei un grande giornalista sportivo, a scuola me prendono in giro”» (Giancarlo Dotto). «Ne facevi di tutti i colori. Ti sei travestito da Tarzan, da tigre, da coniglio. “È stata una grande esperienza”. Una cosa che ti sei rifiutato di fare? “Vestirmi da donna. Mi sono rifiutato. Giucas Casella invece lo faceva, anche con i tacchi alti. E anche Luca Giurato si travestiva da donna”. I colleghi ti criticavano? “La rivista ufficiale della Rai, il Radiocorriere, mi definì il ‘giornalista giullare’. I colleghi dicevano che non ero più credibile come giornalista sportivo. Ma il pubblico reagiva positivamente. Quando vedevo Brando Giordani, il direttore di rete, gli chiedevo: ‘Ma che, faccio bene a fà ’sta cosa?’. E lui: ‘Ma che, sei matto? È un successo!’”. […] Poi l’avventura è finita. “L’ultima Domenica in, la feci con Magalli. Fu Bartoletti, il capo dello sport, a farmi la guerra”. […] Stavi andando a Mediaset. “C’è mancato poco che andassi con Mara Venier a Canale 5. Mi fermai proprio all’ultima firma. Mi avrebbero dato un sacco di soldi. Io volevo continuare a fare lo sport, e loro volevano che facessi solo lo spettacolo con Mara. Ogni discussione aumentavano i soldi. Un miliardo, un miliardo e mezzo, due miliardi. Alla fine, dissi di no. […] Io sono sempre stato aziendalista. Ma quando ho smesso di fare Domenica in mi sentivo un po’ spaesato. In redazione non avevo ’na stanza, ’na sedia, ’na scrivania. Mi avevano messo da parte. Era la vendetta del sistema”» (Sabelli Fioretti). Negli ultimi anni le apparizioni televisive di Galeazzi, per lo più in veste di commentatore od opinionista all’interno di trasmissioni sportive della Rai (90° minuto, Notti mondiali, Notti europee), si sono progressivamente diradate. Tra il dicembre 2018 e il gennaio 2019 è stato, in due occasioni, ospite di Mara Venier a Domenica in, apparendo notevolmente provato e indebolito, soprattutto nella sua prima apparizione, in sedia a rotelle. Lo stesso Galeazzi, intervistato da Roberto Pelucchi per la Gazzetta dello Sport, ha però voluto fornire precisazioni sulle sue effettive condizioni di salute. «“Sui social m’hanno già fatto il funerale. Ma io sono ancora vivo, eh. Ho sbagliato a presentarmi in quel modo. La verità è che sono reduce da un’operazione al ginocchio sinistro, mi muovo con le stampelle. Lo studio era pieno di cavi e, per non rischiare, un assistente ha pensato bene di mettermi su una carrozzina”. E la gente ha pensato che fosse malato seriamente. Anche perché lei ha detto: voglio vivere bene gli ultimi 500 metri della mia vita. “Non ho il Parkinson, ho problemi di diabete. La salute va su e giù, come sulle montagne russe. Ho sbalzi di pressione, gonfiore alle gambe. Quando mi emoziono mi tremano le mani, ma non sono messo così male. A 72 anni ho anche perso un po’ di chili”. Eppure è bastato vederla in quelle condizioni per scatenare grandi manifestazioni di affetto. “Inaspettate. Mi sono arrivate decine di messaggi, sono stato travolto dalle telefonate. C’è persino chi mi ha segnalato medici e specialisti. Incredibile”. Si può stare tranquilli? “Certo, anzi, questo ritorno di popolarità mi aiuta. Mi sono reso conto che la gente non mi ha dimenticato. Ho unito due tipologie diverse di pubblico: sono stato Pippo Baudo e Sandro Ciotti messi assieme, una bomba atomica. Mi piacerebbe tornare a lavorare in tv”. […] Dove si vedrebbe nella tv di oggi? “A costruire programmi. Mi piacerebbe rifare in chiave moderna 90° minuto. Adesso nelle trasmissioni calcistiche ci sono troppi tecnici che parlano e poca mediazione giornalistica”. Se Mediaset chiamasse? “Io sono marchiato Rai. Non cambio”» • Un’autobiografia pubblicata presso Rai Eri nel 2016, L’inviato non nasce per caso • Sposato; due figli, Gianluca (1975) e Susanna (1978), entrambi giornalisti, rispettivamente al TgLa7 e al Tg5 • Grande tifoso della Lazio, al punto che il 14 maggio del 2000, nel mezzo della telecronaca di un incontro di tennis al Foro Italico, abbandonò la sua postazione per correre all’Olimpico, dove i biancocelesti stavano inaspettatamente conquistando lo scudetto. «Mi stavo addormentando in telecronaca per un match di due spagnoli anonimi, quando sento che la Juventus stava perdendo e la Lazio aveva già battuto la Reggina. Scappo allo stadio, salgo in tribuna Monte Mario e tutti che m’abbracciano… Non c’era un collega: stavano tutti a Perugia per lo scudetto della Juve, e invece lo scudetto era lì, della mia Lazio. E io feci l’unico servizio Rai». «Qual è la differenza tra un romanista e un laziale? “Se la Lazio a un quarto d’ora dalla fine perde 2 a 0, il laziale si alza e se ne va. Se la Roma verso fine partita perde 2 a 0, il romanista dice: ‘Vinceremo 3 a 2’. Il laziale è meno morboso, meno attaccato alla squadra. Un romanista è capace di dare al figlio il nome dei calciatori”» (Sabelli Fioretti) • «Mio padre era socialista, mia madre aveva i dischi coi discorsi di Mussolini. Andavo a scuola al San Giuseppe De Merode, ambiente di destra. Poi all’università sono diventato di sinistra. Dopo ho votato Dc. E una volta Berlusconi. Adesso [dichiarazione del febbraio 2016 – ndr] di nuovo sinistra» • «La buona tavola è una delle sue passioni. Ogni tanto […] si rinchiudeva in un centro benessere. I risultati si vedevano appena, e, quando ritornava in Rai, la gag era sempre la stessa. “A Bistecco’ dove sei stato?”. “Da Mességué”. “E che, te lo sei magnato?”. Nel 2005, a Torre del Greco, per Italia-Spagna di Coppa Davis, alla fine della giornata, incrociammo un cameriere che portava un gigantesco vassoio con una montagna di piatti in equilibrio precario. “Grazie: è per noi?”, scherzammo. “Ma no, questa è la cena del dottore Galeazzi”» (Roberto Perrone). «Ha detto: “Non sono mai stato un gran mangione”. Scherzava. “No. La letteratura ha superato le mie gesta. Certo, tendevo a ingrassare. M’hanno fregato gli anni di Domenica in”. A quanto è arrivato? “174”. […] La stazza l’ha aiutata. Secondo un sondaggio, vent’anni fa lei era il corpulento più popolare d’Italia dopo Costanzo e Magalli. “Sì, ma sono un metro e 93. Costanzo e Magalli non ci arrivano manco a cavacecio”. Di quale piatto non può far a meno? “La pasta”. Grosse mangiate con Panatta a Parigi durante i Roland Garros… “Nella prima settimana del torneo ordinavamo sogliola alla mugnaia, asparagi, un petit peu de vin… Ma non durava. Poi ce buttavamo nei ristoranti napoletani”» (Cicala). «M’hanno rovinato dieci anni di Domenica in. Magnavo la sera e non venivo più al circolo a fare la partitella. Me so’ ritrovato in poco tempo addosso un set de valigie de 50 chili» • «“Andiamo ragazzi, la prua è italiana!” (Seul 1988, oro di Carmine e Giuseppe Abbagnale e Peppino Di Capua, 2 con). “Vai, Antonio, sei il più forte del mondo, andiamo a vincere!” (Sydney 2000, oro di Antonio Rossi e Beniamino Bonomi, K2 1000). Come scandiva i colpi dei remi o le pagaiate Giampiero Galeazzi, […] non lo faceva nessuno. […] La sua voce partiva composta, scandita, proprio come l’azione degli atleti, e li accompagnava colpo dopo colpo, facendosi concitata, frenetica, asmatica, esattamente come il finale di una gara, quando si va avanti solo con nervi ed emozioni. “Il canottaggio era il mio sport, e gli eventi sportivi che ho avuto più piacere di raccontare sono questi”. Galeazzi telecronista e inviato storico della Rai è un personaggio del giornalismo sportivo di un tempo in cui molti atleti diventavano giornalisti. Giornalisti, non opinionisti. […] Galeazzi faceva parte di quella schiatta di grandi telecronisti che ti coinvolgevano con le emozioni. Di queste ti ricordi per sempre, del resto no. […] Per tutti è Bisteccone, il giornalista alto e grosso che braccava i campioni e i (sedicenti) vip. Prima, durante e dopo la gara. “Se non hai i campioni, non puoi raccontare nulla: io sono stato fortunato”: grande verità da grande giornalista. Allora non c’erano sbarramenti, interviste concordate, giocatori e dirigenti scortati da un elemento dell’ufficio stampa, piccola vedetta burocratica pronta a intervenire se le domande risultano insidiose o le risposte ardite. Giampiero era il campione di un giornalismo dove non esistevano messe cantate, zone miste e tabellone degli sponsor, ma ti dovevi conquistare una dichiarazione con scarpe e gomiti. […] Galeazzi […] affrontava qualsiasi clima e qualsiasi tipo di servizio. In Islanda per una partita andò a spintonare i colleghi per un servizio sullo storico vertice Reagan-Gorbaciov. […] A bordo campo, sotto la pioggia o la neve, innaffiato d’acqua e spumante a ballare con Diego Maradona nello spogliatoio del Napoli, campione d’Italia nel 1987, sull’asfalto innevato dell’anti-stadio di Torino, inseguendo una battuta dell’Avvocato Agnelli» (Perrone). «Le tue telecronache viscerali sono da culto: tutto il corpo che partecipa, cuore, fegato, budella, polmoni. “Quando vedo una barca italiana, me sento là dentro. M’hanno istruito a dare le sensazioni. Non me tengo niente. Sono l’ultimo della grande generazione di telecronisti. Paolo Rosi, il più moderno degli antichi, l’eleganza di Giubilo nell’ippica, il ritmo di Adriano De Zan, i tempi televisivi di Nando Martellini”» (Dotto) • «A quale telecronaca è rimasto più affezionato? “A quella dell’oro di Bonomi e Rossi nel K2 1000 metri all’Olimpiade di Sydney: ‘Si guarda a sinistra, si guarda a destra, vince l’Italia!’. Anche se il mio nome sarà legato per sempre ai fratelli Abbagnale”. […] I telecronisti “urlatori” si difendono così dalle critiche: lo faceva pure Galeazzi… “Sì, ma Galeazzi urlava per una finale olimpica o mondiale. Adesso si urla anche per un gol in una partitella di quartiere”. Meglio i servizi per la Ds oppure le telecronache? “Io nasco e muoio telecronista. Non ero estroso come il grande Beppe Viola, però conoscevo lo sport e le sue dinamiche. Con i calciatori c’era una libertà diversa rispetto ad ora. Io ho inventato le interviste prepartita, alla discesa dai pullman, e appena finita la gara prendevo i giocatori sotto braccio e li confessavo a bordo campo, prima di tutti. Per non parlare delle docce di champagne che mi hanno fatto negli spogliatoi durante le feste per gli scudetti”. […] C’è qualche telecronista di oggi che le piace? “Pierluigi Pardo ha fatto il mio stesso percorso sul piano della simpatia, poi è romano, un gaudente. Sandro Piccinini mi piaceva, ora mi sembra troppo fabbricato. Fabio Caressa sembra che a volte veda altre partite, però non dimentico che nel 2006 in Germania fu l’unico a stingermi la mano dicendo: ‘Grazie Gian Piero, lei è stato quello che ha aperto una nuova strada nella telecronaca sportiva’”. […] Lei è stato in Rai per 42 anni: come ha fatto a cavalcare l’onda così a lungo? “Con la mia professionalità, con il mio entusiasmo. Non ho avuto padrini politici, io. Sandro Petrucci, collega del Tg1, diceva che avevo tre anime: quella popolare degli stadi di calcio, quella aristocratica del tennis e quella romantica del canottaggio”» (Pelucchi). «C’è un detto in Rai: “Tutto è permesso fuorché il successo”. Appena cominci ad andar bene, c’è qualcuno che te vole fregà. È un fatto umano, di tipica radice aziendale». «Oggi la vita sedentaria le pesa? “Non ero mai stato a casa. L’ho scoperta”. Nell’ultimo capitolo [dell’autobiografia citata – ndr] scrive: “Mi sono risvegliato in mezzo alle macerie del castello che avevo costruito in una vita di lavoro”. Che cosa si rimprovera? “Avrei dovuto pensare di più alla salute. Alla carriera. Ho lasciato la Rai da caporedattore, ma oggi so’ tutti direttori”» (Cicala). «La mia vita è stata tutto un incrocio del destino: il mio e quello con i tanti campioni che ho incontrato facendo ’sto mestiere, il più bello che c’è».