Avvenire, 21 maggio 2019
Il problema delle moglie e di figli dell’Isis
I Paesi Bassi hanno deciso di aiutare le donne olandesi radicalizzate che si trovano attualmente nei campi di detenzione nelle zone liberate dallo Stato islamico, al nord della Siria, a rientrare in patria. Hanno deciso di aiutare loro e, soprattutto, i loro bambini. Il rischio è che queste donne finiscano in Iraq, dove potrebbero essere condannate alla pena di morte – vigente in quel Paese – come è accaduto, in passato, per parecchie di loro, straniere, rinchiuse nel carcere femminile di Baghdad dopo un processo lampo con l’accusa di aver sostenuto il terrorismo. Secondo i dati del Servizi di sicurezza olandesi (Aivd) si tratta di 35 donne e 85 bambini. Tre quarti di questi bimbi sono nati in zone di guerra, quindi la maggior parte ha meno di 4 anni.Negli ultimi mesi nei campi sono stati ammassati migliaia di donne e bambini provenienti da varie zone d’Europa oltre che dall’Iraq e dall’Asia. Le loro condizioni sono drammatiche: tutti i giorni si verificano liti violente e continuamente subiscono aggressioni da parte di fanatici che credono ancora nell’ideologia jiadista. Nel mirino ci sono soprattutto le donne che vogliono tornare a casa. E i più colpiti sono proprio i loro bambini, come hanno denunciato le organizzazioni umanitarie. Bambini che hanno già sofferto tanto durante la guerra, che sono stati usati come schiavi dal Daesh, che sono stati indottrinati, abbandonati, traumatizzati.i curdi, che controllano la zona, non riescono a gestire il caos che si è creato. Vogliono solo liberarsi di questa gente. Il più in fretta possibile. Per questo le organizzazioni americane e le agenzie Onu hanno lanciato un appello ai Paesi Europei affinché «si riprendano i loro jiadisti». Kosovo, Russia e Indonesia l’hanno già fatto (in parte). Il governo olandese sta cercando soluzioni, «fermo restando il principio che queste donne hanno scelto volontariamente di lasciare il Paese per combattere con l’Isis». L’idea è che queste donne con i loro bimbi raggiungano in qualche modo il consolato olandese in Turchia o nella città di Erbil, in Iraq, chiedendo protezione. Dopo di che saranno poste sotto la tutela del corpo di polizia militare (che si chiama “marechaussee”) e accompagnate nei Paesi Bassi.Il Ministro della Giustizia Ferdinand Grapperhaus ha spiegato di comprendere le reazioni di alcuni cittadini preoccupati per il fatto che vengano di nuovo introdotti nel loro Paese donne che hanno un recente passato di terrorismo, o quantomeno di contiguità con il terrorismo, e ragazzini cresciuti sotto l’egida del terrorismo, «ma non si può certo ignorare la loro esistenza – ha detto – e permettere che questi bambini patiscano nuove sofferenze». La maggior parte dei genitori e parenti di queste donne appoggiano in pieno la decisione del governo. Come ha sottolineato un padre in un’intervista al quotidiano AD, raccontando che sono passati cinque anni da quando sua figlia decise di partire per la Siria per lottare a fianco del Daesh, portandosi appresso i bambini. Questo genitore ha spiegato di capire perfettamente che la figlia dovrà subire un processo, e scontare una lunga pena in carcere, ma almeno, ha detto, lui potrà starle vicino, potrà occuparsi dei nipoti. E seguirli in un percorso di riabilitazione. Lontano dall’orrore di cui sono stati vittima così tante volte.