la Repubblica, 21 maggio 2019
Il ritorno del dottor Hannibal
Senza ombra di dubbio, si può affermare che Thomas Harris, creatore di uno dei mostri più terrificanti della letteratura, sia tra gli scrittori dei nostri tempi dall’immaginazione più tenebrosa. Il suo famigerato serial killer Hannibal Lecter divora gli organi delle sue vittime dopo averli cucinati a puntino e in un caso ha divorato un uomo vivo, mangiando carpaccio di cervello con tartufi e capperi. Di conseguenza, sentirlo ripetere «non penso di aver mai inventato niente», mentre percorriamo in automobile la 79esima Street Causeway a Miami che ci porta oltre l’isoletta di Bird Key dove è ambientata una scena clou del suo ultimo romanzo Cari Mora, per certi aspetti è molto inquietante.
Forse, la cosa più sorprendente di questo nuovo libro, il primo dopo tredici anni, è che Harris sia disposto a parlarne. Per la prima volta dal suo debutto, avvenuto nel 1975 con Black Sunday, ha scritto un romanzo in cui Hannibal Lecter non compare. La protagonista, Cari Mora, è una rifugiata colombiana che lavora come custode di una residenza a Miami Beach, appartenuta in passato a Pablo Escobar, il signore della droga. Vive nella paura costante che i funzionari dell’immigrazione le revochino lo status di rifugiata temporanea sotto protezione, e finisce col trovarsi alle prese con due reti nemiche di criminali che si contendono un tesoro che si dice sia nascosto o sepolto sotto la tenuta. «Il personaggio di Hannibal mi viene in mente spesso e talvolta mi chiedo che cosa stia combinando. Tuttavia, volevo occuparmi di Miami, della gente che vive e lotta in questa città, delle aspirazioni che vedo in chi vi arriva» dice Harris. «Da loro trapela un desiderio fortissimo di una vita diversa».
Quasi tutti i giorni, Thomas Harris inizia a lavorare attorno alle otto e mezza di mattina. Scrive ininterrottamente fino alle 14 o alle 15, quando pranza e schiaccia un pisolino. Ci sono giorni in cui scrive un unico paragrafo. Quando si sente bloccato su un brano particolarmente difficile, scrive a mano. Descrive la scrittura come un processo perlopiù passivo, qualcosa che gli succede, più che qualcosa che fa. I suoi romanzi iniziano con una scena che gli frulla in testa: da lì cerca di immaginare che cosa possa essere accaduto prima e cosa possa succedere dopo. Parla dei suoi personaggi come se esistessero davvero, nel mondo reale, e come se conducessero vite parallele indipendenti dai suoi libri. Il suo lavoro può essere faticosamente lento. «Ci sono volte in cui devi sgobbare, stringere i denti e sudare» dice. «Ci sono giorni in cui vai in ufficio e ti ritrovi completamente solo. Non si presenta nessuno dei tuoi personaggi e non ti resta altro da fare che startene lì, da solo. E ti senti un idiota. In altri giorni, invece, si presentano tutti, e sono tutti pronti a lavorare. Quello che devi fare è soltanto presentarti in ufficio ogni giorno. Se si presenta un’idea, vuoi esserci e accoglierla».
Harris ha scritto il suo secondo romanzo, Il delitto della terza luna – in cui Hannibal compare per la prima volta – mentre assisteva il padre in fin di vita in Mississippi. Stephen King ha paragonato quel libro al Padrino e più avanti ha definito Hannibal il «mostro immaginario più grande dei nostri tempi». Harris dice di essersi sentito innervosito dal carisma del suo malvagio protagonista. Una volta ha scritto di «non sentirsi a suo agio alla presenza del dottor Lecter, e per nulla sicuro che egli non riuscisse a vederlo». Da quel momento in poi, tuttavia, Thomas Harris non è più riuscito a sottrarsi alla sua creatura.
Hannibal è diventato un improbabile fenomeno della cultura pop con il romanzo di Harris del 1988 Il silenzio degli innocenti. Ha venduto milioni di copie e nel 1991 è diventato un film con Jodie Foster e Anthony Hopkins. La pellicola ha vinto cinque premi Oscar. Per anni, Harris non lo ha mai guardato. Poi una sera, due anni dopo la razzia di Oscar, ha acceso la televisione per vedere le previsioni del tempo ed è capitato su un canale via cavo. «Ho sentito un dialogo che mi è parso subito familiare» dice. «Così ho continuato a guardarlo e l’ho trovato un film stupendo».
Col passare del tempo, i fan hanno iniziato a stancarsi del cannibale. Hannibal Lecter. Le origini del male è stato un insuccesso sia commerciale che di critica. Nel 2006, l’editore ne ha ordinato una prima tiratura di un milione e mezzo di copie, ma il romanzo ha venduto soltanto 300 mila libri nell’edizione cartonata. Un adattamento televisivo di Hannibal è diventato un fenomeno cult per un ampio seguito di spettatori, ma dopo tre stagioni è stato cancellato dalla Nbc.Negli anni, i giornalisti e i biografi hanno elaborato varie teorie sul perché Harris ha smesso di parlare in pubblico del suo lavoro. Lui dice di averlo deciso perché non gli piaceva e non ne aveva bisogno. «Sono fortunato, i miei libri abbiano sempre trovato tanti lettori senza che io dovessi promuoverli, e preferisco che le cose rimangano così» ha detto. I suoi conoscenti talvolta gli chiedono come faccia a immaginare storie così terrificanti. Quando gli chiedo una riposta, Harris mi fissa, come se fosse ovvia. «Rispondo che non invento proprio nulla. Basta guardarsi attorno, sono tutte cose accadute sul serio». E, a questo punto, mi rivolge un sorriso un po’ tirato, a labbra strette, come per farmi capire, cortesemente, che è tutto quello che ha da dire in proposito.
©2019, The New York Times
(Traduzione di Anna Bissanti)