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 2019  maggio 21 Martedì calendario

Le polemiche per la fine del Trono di spade

Persino Stephen King aveva azzardato un pronostico sul finale, sbagliando su tutta la linea. L’ultima puntata de Il trono di spade, la sesta dell’ottava stagione, è stata trasmessa domenica in America (quando in Italia erano le 3 del mattino), costringendo milioni di fan europei a passare la notte in bianco per il fuso orario; e quindi a piangere per la fine della loro serie preferita, dopo otto anni e 73 puntate. Dopo la replica di ieri sera su Sky Atlantic, l’intera stagione è disponibile in streaming.
MENO SPOILER POSSIBILEAvevamo lasciato l’armata di Daenerys Targaryen (Emilia Clarke), rimasta con un solo drago a disposizione, radere al suolo la città di Approdo del Re, dove Cersei Lannister (Lena Headey) rifiutava d’inchinarsi alla nuova regina. Gli uomini guidati da Verme Grigio si sono macchiati di quelli che da noi si chiamerebbero crimini di guerra, e che persino nel mondo oscuro e spietato creato da George R.R. Martin appaiono come atti disumani. Evitando gli spoiler, possiamo citare i colpi di teatro geniali, come la sequenza in cui Daenerys sembra avere le ali di un drago, mentre il suo uccellaccio superstite si agita dietro la sua silhouette, e il regno si avvita verso la tirannia; possiamo citare la grande prova di attore di Peter Dinklage, nel ruolo di Tyrion Lannister, il rampollo amante del vino e affetto da nanismo che convince i compagni a una svolta necessaria.
I commenti dei fan, sui social, si sono divisi tra favorevoli e contrari. C’è chi ha chiesto, scontento del finale «lamentoso» o «edulcorato» un remake dell’ultima stagione; e chi invece ha gradito immensamente la sceneggiatura della coppia Weiss-Benioff, che ha dovuto fare a meno dei due ultimi libri della saga, ancora in lavorazione. Proprio questo, però, è il problema. Lo stesso George R.R. Martin ha detto a Rolling Stone che «naturalmente», ha avuto una «reazione emotiva» al crescente divario che si è aperto tra i romanzi e la serie: «Voglio dire, avrei preferito che seguissero esattamente la mia strada? Certo». In un’altra dichiarazione, l’emulo americano di Tolkien ha parlato di «traumatiche» differenze tra la visione della produzione e il suo impulso creativo. Nei fatti, mancano all’appello due volumi (su sette), The Winds of Winter e A Dream of Spring. Il primo sarebbe a buon punto, mentre il secondo è ancora da scrivere. Martin avrebbe voluto continuare; ma la Hbo ha preferito puntare su altre serie che riprendono i suoi personaggi, cinque in tutto tra prequel e spin-off. Non era possibile legare ulteriormente al progetto autori e attori, finalmente liberi di scegliere i copioni che vogliono. Kit Harington e Peter Dinklage non resteranno di certo disoccupati.
I NUOVI SOGGETTITre progetti stanno «andando avanti in maniera soddisfacente», conferma Martin. Il prossimo prequel prevede nel cast Naomi Watts e Josh Whitehouse, e si svolgerà migliaia di anni prima delle vicende del Trono, e quindi del viaggio di Ned Stark ad Approdo del Re; racconterà, stando alla produzione, «la discesa del mondo dall’età dell’oro degli eroi alla sua ora più buia». Non sarà la coppia Weiss-Benioff ad occuparsene: per loro si apre il mondo di Guerre Stellari, con il nuovo film atteso per il 2022.
Resta il fenomeno di un evento televisivo collettivo che ha unito gli Stati Uniti come durante il Super Bowl; e a cui domenica notte persino il sito del Guardian ha dedicato una diretta notturna, come si fa soltanto con le elezioni importanti. Ci si può chiedere quale sia il segreto di un tale successo (18,4 milioni di spettatori soltanto domenica negli Usa), e di una simile esplosione di commenti sui social. Perché restiamo incollati a seguire una saga di stampo medievale, in cui pochi potenti tramano nell’ombra, alle spalle della popolazione, per attrarre sempre maggiore potere, ricchezze e piaceri terreni? Forse perché, biologicamente, restiamo gli stessi dal tempo del Medioevo, e dentro di noi si agitano le stesse emozioni, le stesse pulsioni inconfessabili dei tempi della Guerra delle due rose; e il pubblico di oggi è ancora lo stesso che applaudiva le tragedie più sanguinarie di Shakespeare.