Corriere della Sera, 20 maggio 2019
Alex, il tuffatore dei record
Fiordo di Furore, Costiera Amalfitana, anno 2013. «Era la prima volta che mi tuffavo da quelle altezze. Ero terrorizzato, mi dicevo: chi me lo ha fatto fare? Per tranquillizzarmi guardai un altro, fu ancora peggio. Scacciai i pensieri negativi e mi lanciai. È andata bene, mi dissi, non sono morto». Alessandro De Rose compirà 27 anni a luglio ed è l’unico atleta italiano dell’high diving, la specialità dei tuffi dalle grandi altezze. Una ristrettissima comunità di temerari che si dà appuntamento alla Red Bull Cliff Diving World Series, il campionato mondiale dove la piattaforma è su a 27 metri, un palazzo da 10 piani. Alessandro è arrivato quarto nell’ultima tappa di Dublino, il 2 giugno giocherà in casa a Polignano dove nel 2017 ha vinto stupendo tutti. «Quest’anno mi sono allenato bene. Sono sicuro di me stesso».
La determinazione è dote irrinunciabile in questo sport. Assieme alla preparazione ferrea e a una dose massiccia di coraggio. È nato a Cosenza, da sei anni vive a Trieste «per amore». Ha visto la prima volta Nicole a bordo vasca quando erano ancora bambini. Poi lui ha smesso per un po’ e ha ripreso a 17 anni. «Mi esibivo dai venti metri negli show dello Zoomarine di Torvajanica, ad agosto anche 5 volte al giorno». Sorride: «Facevo la scimmietta del circo».
Poi a Londra, a insegnare ai ragazzi la giusta tecnica. Quindi il ritorno in Italia. «È stata Nicole a spingermi verso le grandi altezze, a convincermi che ero bravo». È stata la sua allenatrice fino all’anno scorso, adesso ha smesso per completare l’università e arrotondare come cameriera. Anche Alessandro quest’inverno ha servito ai tavoli a pranzo e cena. «Scelta necessaria, abbiamo deciso di sposarci a settembre e di comprare casa». Giornate piuttosto impegnative. «Sveglia alle 7, tre ore di allenamento al mattino, turno di mezzogiorno al ristorante, altre tre ore di piscina al pomeriggio, poi di nuovo al ristorante fino all’una di notte».
L’high diving è una specialità dove non ci si può improvvisare. Esercizi di potenziamento in palestra, capriole e balzi da ginnasta, prove in piscina dalla piattaforma di 10 metri, la più alta a disposizione. Il resto è un lavoro di testa, concentrazione e ripasso mentale di ogni movimento. «La prima volta che lo fai non sai quanto tempo e spazio avrai a disposizione. Dopo sei anni so esattamente cosa mi aspetta. L’esperienza in questa disciplina conta moltissimo».
Prima di staccare i piedi dal trampolino Alessandro ha l’abitudine di baciare tre volte l’anello di fidanzamento. È l’unico rito a cui non vuole rinunciare. «Gli altri gesti li ho eliminati, ho capito che la scaramanzia non serve a nulla, i risultati si conquistano, non c’è nessuna forza superiore da invocare». Nell’attesa che arrivi il momento della prova si rilassa facendo il giocoliere. «Ho iniziato con i birilli, mi finivano in testa. Preferisco le palle».
Il momento più bello due anni fa a Polignano. «Quando sono entrato in acqua ho iniziato a gridare. Non sapevo di aver vinto ma avevo capito di aver fatto un tuffo perfetto. Ero davvero felice, una liberazione dopo vent’anni». Alessandro non vuole immaginare troppo come sarà il proprio futuro, preferisce concentrarsi su quello che lo aspetta a breve. «Il circuito della Red Bull World Series, il matrimonio a settembre e la luna di miele. Io e Nicole non abbiamo mai fatto una vacanza assieme». Spera che l’high diving venga maggiormente riconosciuto. «Sarebbe bello che diventasse una disciplina olimpica». E gli piacerebbe fare l’allenatore. «In Italia c’è un ragazzo promettente, vorrei dargli dei consigli».