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 2019  maggio 20 Lunedì calendario

I lussi (malcelati) dei populisti al caviale

Solo il tempo potrà chiarire se la cacciata dal governo di Vienna del vicecancelliere Heinz-Christian Strache si sarà rivelata una tempesta destinata a produrre i suoi effetti collaterali giusto tra i confini austriaci oppure se, al contrario, l’apparentemente innocuo tavolino di una lussuosa villa di Ibiza – tutto imbandito di champagne e vodka di primissima scelta – sarà ricordato come l’incredibile incubatore dei più oscuri presagi destinati all’universo sovranista del Vecchio Continente. L’unica certezza – confermata dalla storiaccia dello Strache attirato da una sedicente nipote di un oligarca russo in una trappola talmente comoda da fargli scappare la promessa di favori e appalti pubblici in cambio di finanziamenti illeciti per il suo partito – è che il demone del lusso sfrenato, quando si trova in presenza dei leader populisti, riesce spesso a trovare terreno fertile. 
Troppo facile sarebbe tirare in ballo il leader mondiale dei populisti, Donald Trump, nume tutelare dei fanatici del lusso già dagli anni Novanta, quando la sua fama di ricco per antonomasia gli faceva guadagnare particine e camei in film e serie tv dove interpretava, per l’appunto, se stesso nella parte del miliardario di professione. «Signor Trump, lei dal vivo sembra ancora più ricco», lo salutava la cugina di Willy il principe di Bel Air nell’omonimo telefilm, nella puntata in cui «The Donald» trattava l’acquisto di una lussuosa villa di Los Angeles. Decisamente meno «fiction», nell’epoca in cui Trump è il vero presidente degli Stati Uniti, il partito dei populisti col Rolex, finora rimasti chissà come al riparo dalla vulgata che vuole il lusso, in particolare quello sfrenato, appannaggio della sinistra da bere, dei radical chic, degli europeisti incalliti, magari foraggiati dalle banche, dai poteri forti, dai mecenati alla Soros. 
Grattando quella leggera patina retorica di chi predica «tutto al popolo sovrano» e agli stati-nazione, vengono fuori alberghi di lusso, champagne a fiumi, pesce crudo, vodka di qualità, come quella che ha stordito il leader sovranista austriaco Strache. L’ideologo del populismo mondiale Steve Bannon, in questi giorni di stanza a Parigi, non è riuscito a fare a meno dei cuscini soffici dell’hotel Bristol, dove la stanza più scarsa (e lui non ha scelto la più scarsa) costa 1.200 euro a notte. E che dire dell’astice servito subito dopo un impeccabile assiette di formaggi francesi a chilometro zero scelto qualche tempo fa dal partito di Marine Le Pen per una cena da 400 euro a testa al costosissimo Ledoyen di Parigi, alla quale secondo il settimanale Le Canard enchainé avrebbe partecipato (ma lui ha smentito) anche Matteo Salvini.  
Tra le spese rendicontate del gruppo dei sovranisti a Bruxelles, che si chiama «Europa per le Nazioni e la Libertà», sono spuntate l’anno scorso una cena di Natale da 13.500 euro e 230 bottiglie di champagne, oltre a un numero imprecisato di cene e cenette in cui il piatto più salato era sempre il conto. E non sarà un caso nemmeno se, volgendo l’occhio al populismo dell’Est, l’accusa principale rivolta in patria a Viktor Orbán è quella di essere una «cleptocrazia». 
Certo, forse le «pazzie» natalizie meritano un’indulgenza particolare. Che però non venne concessa, in Italia, all’ideologo del populismo (col Rolex) nostrano, Beppe Grillo, nell’anno 2016. «Voglio farvi gli auguri di Natale con un testo di Goffredo Parise, s’intitola Il rimedio è la povertà. È un po’ lungo ma ne vale la pena», scriveva il garante del M5S sul suo blog. Il tempo di arrivare alla parte del testo in cui Parise evidenziava che «povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione (mentre) superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”» che Grillo stava festeggiando il capodanno. Su un eremo francescano? No, a Malindi. Da perfetto populista, corrente Rolex.