La Stampa, 20 maggio 2019
Formaggi da batteri umani e birra di ananas
Può modellare il mondo riunendo comunità, creando cultura, dando piacere. È il cibo, che evolve insieme all’evolvere dell’umanità. E allora: di che colore, aspetto e sapore lo vorremmo in futuro? Come dovrà modificarsi alla luce dei cambiamenti climatici e dell’aumento della popolazione mondiale?
Il Victoria and Albert Museum (V&A) di Londra risponde con l’audace FOOD: Bigger than the plate (fino al 17 novembre), mostra inaugurata nel momento in cui aumenta l’interesse globale per ambiente, salute e sostenibilità. La tecnologia si reinventa, gli investimenti alimentari crescono a dismisura dalla crisi del 2008 e le scelte collettive diventano fondamentali.
La tutela dell’ambiente
Le curatrici Catherine Flood e May Rosenthal Stone presentano 70 progetti preparati da artisti e designer insieme con chef, agricoltori, scienziati. Le opere sono divise in 4 sezioni: concime, agricoltura, commercio, mangiare. Sezioni per esplorare il futuro, con idee concrete e provocazioni.
E allora ecco comparire il salame di frutta, noci, fichi, frutti di bosco, datteri. Poca la carne, d’altronde sappiamo che non potremo ancora a lungo prendere da lì tutte le proteine. A ricordarcelo, il paté di insetti che compare in mostra, con carote, vermi e api. «È gustoso - garantisce l’autrice olandese Carolien Niebling - dovremmo abituarci a usare insetti nel cucinare pane e dolci. Sono ottimi con uva e fiori». «Selfmade» è invece il progetto di Christina Agapakis e Sissel Tolaas che hanno creato formaggi a partire da batteri del corpo umano prelevati da orecchie, lingua, ascelle, piedi. Ne presentano tre forme come «ritratti biologici».
Tema centrale è la tutela dell’ambiente, che dovremo sempre più tenere a mente quando si parla di alimentazione. E allora per l’agricoltura su piccola scala ecco il «Bicitrattore Aggrozouk» a pedali di Farming Soul, realizzato con scarti di fattoria, e i prodotti di Company Drinks, tra cui birra di ananas in bottiglie riciclate, prodotta in Brasile da energia solare.
Il designer Fernando Laposse inventa invece «Totomoxtle», il materiale intarsiato multicolore creato da bucce scartate di mais: sostiene la biodiversità e gli abitanti del villaggio Tonahuixtla in Messico. L’economia circolare è d’obbligo, e l’installazione «Urban Mushroom Farm» mostra come si possano utilizzare fondi di caffè per coltivare funghi commestibili.
L’integrazione città-campo
Altro problema del pianeta: i rifiuti. Almeno due creazioni raccontano come evitare di sovraccaricare la Terra di spazzatura: una è il sistema «Daily Dump» usato in India, con il compostaggio domestico che avviene in eleganti vasi in terracotta fatti a mano; l’altra è firmata da due italiani, Luca Cipelletti e Gianantonio Locatelli. Si intitola « Merdacotta» perché è terracotta fatta di escrementi bovini e argilla toscana, usata per mattoni, piastrelle, stoviglie.
Incuriosisce il monumento «Hedge H.U.G.», città sviluppata orizzontalmente con piccoli boschi e giardini sui tetti: integra agricolo e urbano, proponendo uno spazio cittadino sul terreno agricolo. «È un progetto molto interessante - spiega l’italiano Fabio Parasecoli, che insegna Food Studies alla New York University ed è consulente della mostra del V&A Museum -. Quest’opera esplora l’idea il costruire la città intorno alla produzione alimentare e non viceversa. È la campagna che vince nel progetto del design urbano perché ci sono integrazione, produzione e ambiente. Mi piace perché ci obbliga a interrogarci sulle nostre scelte collettive, ci spinge a ragionare su interventi futuri». Una mostra piena di oggetti bizzarri - sui tavoli domina «Brexit», una tazza da tè traforata e quindi superflua - che mette nel mirino la cultura del «getta e dimentica». E punta sul riciclo. Basta pensare che i primi 200 biglietti di ingresso alla mostra sono edibili, perché fatti di zucchero. Alla fine tra gli artisti sarà proclamato un vincitore: a sceglierlo sarà un sondaggio su Instagram.