La Stampa, 20 maggio 2019
La grande fuga degli elettricisti italiani
«Facevo il geometra a Terni ma a 26 anni, dopo la crisi del 2008, ho perso il posto, così, con mia moglie Cristina, conosciuta mentre era in Italia per l’Erasmus, ci siamo trasferiti qui, nella sua città natale, dove lavorando in due mettiamo insieme almeno 1500 euro e viviamo bene». Fabio Marini si stringe nel piumino nero necessario anche per maggio e mostra il distributore di benzina che ha rilevato nel 2009 e riadattato ad autolavaggio: siamo a due passi dal centro di Cluj, l’antica Clausenburg, il cuore della Transilvania nonché la prima tappa romena del capolavoro gotico di Bram Stoker “Dracula”.
Da almeno 5 anni il numero dei nostri connazionali che migra in questa cittadina dai fasti barocchi sopravvissuti al sovietismo e la disoccupazione all’1,3% ,cresce: i soliti grandi imprenditori che delocalizzano ma soprattutto ragionieri, elettricisti, carpentieri, studenti telefonisti nei call center, braccia più che cervelli in fuga, dove le braccia sono merce rara e richiestissima.
«Ci sono ottime chance, il sindaco ha fatto fruttare i fondi europei e i servizi funzionano, i cantieri si moltiplicano» ragiona Pier Giorgio Fontana, 53 anni, elettricista. Aveva una piccola azienda di impianti fotovoltaici a Faenza dove una decina di anni fa ospitò una ingegnera di Cluj per uno stage: quando lei, tornata a casa, ha iniziato a macinare commesse si è spostato per provare ed è rimasto qui.
La Transilvania è la punta di diamante di una Romania in crescita ma non così avanzata, un Paese da 19 milioni di abitanti e una diaspora di 5 milioni. «Abbiamo un problema di manodopera, manca la gente per costruire infrastrutture e futuro», racconta il 39enne padre Claudio Tutu nella sua parrocchia greco-cattolica di Gruja, crocevia di una comunità da 200 mila persone decimata sotto Ceaușescu. Lui e la moglie avvocato Melinda, plurilaureati, si sono specializzati in Italia e avevano le porte spalancate ma sono tornati perché, dice, «siamo sognatori». Altri, stima il centro dell’impiego locale, lo fanno perché c’è più mercato, il salario minimo è 470 euro e quello medio sui 630 euro in un contesto dove la vita costa meno, si trovano un paio di lavori a testa e l’affitto per 3 stanze non supera i 650 euro.
«Dal 2015 almeno 10 studenti rientrano ogni anno dall’Italia con le famiglie», conferma Alina Baraian, preside del liceo George Baraian che ha una sezione di lingua italiana. Nei corridoi si odono accenti familiari, veneto, emiliano, marchigiano, figli di un’Europa senza frontiere in cui si passa da un Paese all’altro con una facilità che, commenta il 16enne Dragos Lazaruk, «non dovremmo mai dare per scontata».
Le bandiere blu a dodici stelle sventolano sugli edifici di Cluj, molto più che in Grecia. Si respira zero simpatia per Mosca, molta per l’Europa e meno per l’America. Gli italiani, anche i nostalgici, si sentono a casa: le braccia in fuga, generalmente uomini che poi mettono su famiglia, ma anche i cervelli in formazione. Tra le 10 facoltà universitarie cittadine, tutte graduate, medicina e odontoiatria sono piene di connazionali e non perché, spiegano Gianvito Robertini di Benevento e la salernitana Elettra Sacco, siano facili: «Sono facoltà dure, devi imparare il romeno, ma non c’e il numero chiuso, si fa molta pratica e puoi laurearti senza perdere tempo».
Il trend tira. In carica da sei mesi, il console onorario Massimo Novali, un veterano di Cluj dov’è sbarcato negli Anni 90 per investire nel mobile e nell’antiquariato, riceve senza sosta. Le cifre ufficiali parlano di 1046 italiani ma è convinto che siano quattro volte tanti: «Vedo una quindicina di persone a settimana, il contro esodo dei romeni ma anche tanti italiani, l’ultimo, 50 anni, è arrivato da Livorno: non trovava nulla e qui in 4 giorni è stato preso in un cantiere stradale a 750 euro al mese». Mostra il telefonino dove un imprenditore locale gli ha appena chiesto 15 carpentieri e ferraioli da assumere a 1500 euro al mese più vitto e alloggio. Non a caso la domenica sera intere squadre edili di bergamaschi partono da Orio al Serio alla volta dei cantieri di Cluj e rincasano il venerdì, avio-pendolarismo: vicinissimo al centro, l’aeroporto conta 2,5 milioni di passeggeri l’anno.
«Provate a trovare un falegname a Cluj» scherza Carlo Airoldi, 55 anni, geologo all’università di Babes-Bolyai, al termine della conferenza di Piergiorgio Mori, docente del Baritiu, alla facoltà di storia e filosofia. Si parla dell’Italia del boom e Claudiu Padurean, giornalista della radio UP News, è venuto per un servizio sui possibili paralleli con la Romania di oggi, dove tra l’altro sta esplodendo l’high tech, almeno 20 mila specialisti che, neolaureati, prendono sui 3 mila euro al mese.
«Non che a qualcuno piaccia emigrare, ma se cerchi lavoro in una società non troppo diversa dalla nostra, qui, nonostante l’immagine distorta che se ne ha in Italia, ne trovi» nota il rodigino trapiantato a Cluj Stefano Dardani, 57 anni, responsabile della qualità per la Irsap caloriferi, un grande stabilimento tra le colline dove si susseguono le fabbriche tra cui la Delonghi, cambi turno all’alba grigia come nella Torino Anni 60 e 100 nuovi operai da assumere.
Il filobus che attraversa Cluj come un sogno di ieri fa vibrare le vetrine dei tanti ristoranti, tutti pieni. I nostri fanno volentieri tappa allo storico Club Italia del pioniere catanese Giuseppe Anastasio, 80 anni e mai un rimpianto. Ma non è provincialismo, pasta e mozzarella a Cluj si trovano al supermercato, è per due chiacchiere e poi via al lavoro.