il Fatto Quotidiano, 20 maggio 2019
Juncker ci costa 33 mila euro al mese
Ian Brossat, capolista del Partito comunista francese (Pcf), e la tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer, la nuova presidente del Cdu, hanno un punto in comune alle elezioni europee del 26 maggio, una trasformazione della funzione pubblica europea.
Durante un dibattito tra i capilista per lo scrutinio europeo, il 4 aprile scorso su France 2 e France Inter, il comunista ha detto di voler dividere per tre lo stipendio del presidente della Commissione Ue. “Bisogna diminuire lo stipendio di Juncker. Sapete quanto è pagato il presidente della Commissione europea? 32.000 euro al mese. È il doppio di quanto guadagna un lavoratore europeo in media in un anno. È una vergogna”.
Da parte sua, la leader della destra tedesca, rispondendo alla lettera sull’Europa di Emmanuel Macron, ha detto che la sua intenzione è di mettere fine ad alcuni “anacronismi”, tra cui l’esenzione dall’imposta sul reddito dei funzionari europei. Interrogarsi sulle remunerazioni dei politici e dei funzionari europei è legittimo, soprattutto nel contesto attuale, con le disuguaglianze che si accentuano sul continente e il fossato che continua a scavarsi tra cittadini e istituzioni europee.
Numeri da vertigini
Per il 2019, l’Ue ha stabilito di spendere 9,943 miliardi di euro, cioè il 6% del budget europeo totale, fissato a 165,8 miliardi, per pagare tra l’altro gli stipendi di circa 60.000 agenti. Lo stipendio mensile lordo del presidente della Commissione è del 138% più elevato dello stipendio dei direttori generali, i posti amministrativi più importanti della burocrazia europea. Cioè 27.903,32 euro lordi al mese – anche se il 45% di questo stipendio è prelevato alla fonte e ritorna subito nelle casse del budget europeo. Sempre per quanto riguarda Jean-Claude Juncker, a questa cifra bisogna aggiungere altri 4.185,50 euro di “indennità di residenza” (il 15% dello stipendio lordo) e 1.418,07 euro di “spese di rappresentanza”. Si arriva dunque ad un totale mensile lordo di 33.506,89 euro al mese.
Per il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, siamo sulle stesse cifre e gli altri membri della Commissione non sono da meno. Federica Mogherini, l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, riceve tra stipendio e indennità 31.731,63 al mese. I vice presidenti della Commissione cumulano tra stipendio lordo e indennità 29.977,34 euro. Poco meno gli altri commissari, tra cui il francese Pierre Moscovici, incaricato degli affari economici e monetari: 27.070,75 euro.
I deputati europei ricevono invece uno stipendio mensile di 8.757,70 euro lordi (6.824,85 euro netti) a cui si aggiunge un’”indennità di spese generali” pari a 4.513 euro, che servirebbe a coprire le spese di mandato: trasporti, bollette del telefono, affitto di un alloggio nella loro circoscrizione. Ma l’uso effettivo di queste indennità è poco sottoposto a controlli. I funzionari europei (soprattutto quelli basati a Bruxelles o nel Lussemburgo) ricevono anch’essi incentivi interessanti. Secondo l’ultima tabella retributiva, gli alti funzionari della Commissione (circa 12.000) percepiscono degli stipendi lordi che vanno da 4.787,36 a 20.219,80 euro al mese. Tra loro, poco meno di cinquemila, hanno stipendi lordi al di sopra dei 10.000 euro.
La carica dei funzionari
Un rapporto del Senato francese del 2013 indicava che il reddito medio di questi alti funzionari era di 6.500 euro netti. Come i commissari, anche i funzionari, se non sono basati nel loro paese di origine, percepiscono un’“indennità di dislocazione” che rappresenta il 16% dello stipendio. Un incentivo che conservano durante tutti gli anni passati nelle istituzioni europee. Senza dimenticare l’indennità di trasferimento, pari a due mesi di stipendio, che ricevono al momento dell’insediamento nelle istituzioni.
Lo statuto europeo prevede anche la copertura sociale e gli assegni familiari. Anche l’antenato dell’Ue, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), sin dagli anni 50, aveva instaurato una politica salariale molto generosa per i suoi primi funzionari. Come ricordano Jean-Luc Feugier e Marie-Hélène Pradines nel libro Fonction publique européenne en perspective, questi stipendi erano allineati “ai livelli delle remunerazioni dei dirigenti del settore industriale siderurgico e minerario, settori particolarmente redditizi all’epoca”. Lo scopo? Incoraggiare ingegneri, economisti, interpreti, giuristi a raggiungere l’avventura della costruzione europea, che implicava di trasferirsi in Belgio o in Lussembergo.
Tuttavia non è corretto dire, come sostiene la conservatrice tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer, che i funzionari europei non pagano le tasse. Certo, sono esonerati dalle tasse del paese in cui prestano servizio. Ma oltre a dover pagare le tasse locali, sono sottoposti all’imposta europea sul reddito. Un’imposta progressiva di 14 fasce di reddito – con tassi che variano dall’8% al 45% -, prelevata alla fonte. A ciò si aggiunge una “tassa di solidarietà” pari al 6%. Nel 2019 l’imposta sul reddito ha contribuito per 1,6 miliardi di euro al budget europeo.
Ma Bruxelles resta povera
Non pagare la tassa sul reddito nel proprio paese di residenza non è un privilegio esclusivo dei funzionari europei. Esiste un’antica tradizione che risale alla Società delle Nazioni, l’antenato dell’Onu, per la quale i funzionari internazionali sono esenti dall’imposta sul reddito. Se gli alti funzionari dell’Ue pagassero la tassa sul reddito belga, sarebbero tutti sottoposti ad un tasso di imposizione del 50% (il Belgio è uno dei paesi dell’Ue dove la tassazione sui redditi è la più elevata).
Non siamo stati sorpresi dal fatto che la dozzina di ufficiali, assistenti parlamentari e funzionari che hanno risposto alle domande di Mediapart, dietro anonimato, per i fini dell’inchiesta, si sono mostrati piuttosto a disagio a parlare dei loro compensi. Molti ritengono che i discorsi sui loro stipendi nutrono facili critiche contro le istituzioni europee. Fanno notare che i loro stipendi sono stati gelati tra il 2011 e il 2014, durante gli anni della crisi economica, e ricordano che le istituzioni europee hanno dovuto tagliare la massa salariale del 5% nello stesso periodo. Altri sottolineano che le indennità sono fissate dagli Stati e che la tabella retributiva e gli altri vantaggi sono pubblici.
Molti inoltre ritengono che questi livelli di stipendio siano giustificati. Sono loro che lavorano sulle direttive europee, preparano i negoziati commerciali, vigilano sulle fusioni dei grandi gruppi e verificano che le sovvenzioni europee siano distribuite correttamente. Un altro argomento avanzato per giustificare le alte retribuzioni: uno stipendio competitivo permetterebbe di evitare la pratica della porta girevole nel privato, studi legali o agenzie di lobbying.
Ma questo discorso non funziona perché il fenomeno è molto diffuso tra commissari, deputati e funzionari, non appena lasciano il loro posto.
Ma alcuni punti restano comunque poco chiari: se delle indennità di espatrio possono essere giustificate quando il funzionario si trasferisce all’estero con la famiglia, è normale conservare questo bonus del 16% dello stipendio per dieci o vent’anni? “Mi considero sempre un espatriato”, tenta di giustificare un funzionario. “Spero che il vostro articolo parlerà anche dei diplomatici degli Stati membri in servizio a Bruxelles, come il personale della Nato”, ha risposto un portavoce della Commissione, Alexander Winsterstein.
Secondo uno studio dell’Authority alle relazioni con l’Europa e le organizzazioni internazionali della regione di Bruxelles, la presenza delle istituzioni internazionali rappresenterebbe circa 120.000 posti a Bruxelles e una manna finanziaria di 5 miliardi di euro all’anno tramite il pagamento dell’Iva (soprattutto nel settore alberghiero e la ristorazione). Ma impressionante è il contrasto tra l’amministrazione europea pagata molto bene e gli abitanti della regione di Bruxelles, dove le autorità fanno fatica a ridurre la disoccupazione e la povertà. Molti diplomatici, funzionari e lobbyisti non hanno contatti con il resto della popolazione e vivono in quartieri ben precisi. “Andrebbe posata la questione dei contributi finanziari delle istituzioni internazionali alle città dove sono stabilite”, sostiene il belga Marc Botenga, capolista del Ptb, il partito del lavoro belga. “Bruxelles è una capitale europea, ma non vuol dire che gli abitanti di Bruxelles e i belgi vivono meglio”.