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 2019  maggio 20 Lunedì calendario

Occhi digitali in città

«Durante il Carnevale, a Salvador in poche ore abbiamo analizzato un milione di volti, arrestato 33 criminali e ritrovato un bambino che si era allontanato dalla madre». Per Rui Costa dos Santos, governatore dello stato di Bahia in Brasile, non «c’è nulla di meglio» del riconoscimento facciale per garantire la sicurezza dei cittadini. Una visione condivisa dai molti che vedono in questa tecnologia uno dei tasselli per costruire le città del futuro. 
Non è un caso se durante lo Shenzhen Smart City Forum, una due giorni (14-15 maggio) sulle città intelligenti organizzato nella metropoli cinese dal governo di Pechino insieme a Huawei, tra i temi più discussi c’è stato proprio il riconoscimento facciale.

IL VEICOLO
«È semplice – spiega Andrew Watson consulente per la Pubblica Sicurezza Globale di Huawei – La telecamera riconosce il mio volto appena entro in un ambiente e fa scattare l’allarme». Il margine d’errore è minimo. «La qualità delle immagini e dello zoom permette di identificare un sospettato con precisione o anche di verificare chi c’è alla guida di un veicolo che ha commesso un’infrazione». Uno strumento potente ed efficiente che va controbilanciato con la corretta gestione dei dati raccolti.
«Noi – dice Watson mostrando la centrale operativa, il cervello creato da Huawei per le smart cities, già in uso in un centinaio di città nel mondo – lasciamo che li manipolino i nostri clienti e i partner locali, in modo che restino sempre nel Paese». Nonostante le rassicurazioni però, tappezzare città di sensori per creare un sistema nervoso o riempire le nostre vite di telecamere per controllare tutto ciò che accade, resta rischioso. Si possono creare delle situazioni limite come quella della scuola superiore numero 11 di Hangzhou, in Cina che utilizza un sistema intelligente per la gestione dei comportamenti: una rete di telecamere che scansiona ogni 30 secondi i volti degli studenti registrandone presenza, azioni e stati d’animo per aumentarne il rendimento. Distorsioni che negli Stati Uniti – dove il riconoscimento facciale è stato usato la prima volta per il Super Bowl del 2001 – alimentano numerose polemiche. Al punto che pochi giorni fa la città di Los Angeles lo ha messo al bando. Escludendo aeroporti e porti, né le forze di polizia né privati potranno dotarsi di questo genere di soluzione perché «pericolosa per la privacy» e «imprecisa» nei risultati.

LE ASSOCIAZIONI
Per alcune associazioni per i diritti civili si tratta di sistemi inaffidabili tarati su uomini bianchi che non sono in grado di identificare donne o persone di colore. Rimostranze che hanno travolto Rekognition, il software di Amazon in uso alle forze dell’ordine Usa – in un test ha abbinato il volto di 28 membri del Congresso a identikit di criminali – e che hanno già portato Microsoft a rifiutarsi di vendere la tecnologia alla polizia californiana e «a una capitale estera non specificata». 
Visioni contrapposte tra cui si inserisce una terza realtà, quella di chi rifiuta il riconoscimento facciale. Né loschi malviventi né complottisti, solo una rete di attivisti che si sta armando come può per non barattare la privacy con una maggiore sicurezza che ritengono presunta.

MAKE UP
Tra i metodi più caserecci c’è il make up ideato dal truccatore professionista Adam Harvey. Si chiama Cv Dazzle e consiste in una serie di trucchi appositi – derivati da una tecnica militare di camouflage per le navi usata nella prima Guerra Mondiale – capaci di alterare i lineamenti del viso per rendersi invisibili alle telecamere. Meno invasivi sono invece i Reflectacles: degli occhiali da sole capaci di riflettere sia la luce visibile che quella a infrarossi, trasformando il viso in una specie di riflettore. Al tema si sta interessando anche il mondo accademico. Un gruppo di ingegneri dell’Università di Leuven, in Belgio, con lo scopo di limitare la capacità dei governi di rintracciare e identificare i cittadini, gli studiosi hanno creato delle immagini colorate che sono in grado di ingannare il riconoscimento. In gergo si chiamano esempi contraddittori e tra non molto diventeranno delle t-shirt. Una sorta di mantello dell’invisibilità 2.0.