la Repubblica, 19 maggio 2019
Intervista a Giorgio Napolitano: «Votare per sconfiggere l’inganno degli anti-europeisti»
Giorgio Napolitano, è stato Presidente della Repubblica dal 15 maggio 2006 al 14 gennaio 2015, è nato a Napoli.
ROMA – I sovranisti e gli anti europeisti propongono «un’illusione se non un vero e proprio inganno». L’Unione europea è nata «dall’immane disastro della seconda guerra mondiale in reazione ai nazionalismi e alle tendenze reazionarie, fasciste e di destra che l’hanno provocato». Questo «patrimonio» non può essere disperso. A una settimana dalle elezioni europee il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, spiega così l’importanza del prossimo voto. Lo fa difendendo il progetto europeo e mettendo in guardia da chi «ipocritamente«si dichiara europeista e poi tradisce i valori della Ue. Avvertendo che un certo «strisciante avventurismo finanziario» può essere catastrofico per l’Italia e per il resto d’Europa. Sottolinenando che anche per la sinistra questa rappresenta la «sola speranza e la via di una nobiltà della politica». I presidenti eletti di 21 Paesi dell’Ue anche per questi motivi hanno di recente lanciato un appello al voto. L’Europa ha bisogno anche di una ampia partecipazione elettorale per risollevarsi? «Ho apprezzato e condiviso il solenne appello firmato dai 21 Capi di Stato, prima di tutto perché è un segno importante di unità: un’ampia partecipazione a questa prova è auspicabile, perché senza dubbio rafforza la legittimazione democratica e la capacità di incidere delle istituzioni europee. Un appello importante in questa fase così delicata del processo d’integrazione, nella quale sembrano avere maggiore risalto i motivi di divisione e di polemica tra alcuni governi nazionali rispetto a una necessaria assunzione di responsabilità di fronte a sfide globali. Forse ci si può chiedere se non ci sia ipocrisia o addirittura mistificazione da parte di chi si dichiara europeista, ma nei fatti e nei comportamenti concreti nega i valori e le politiche comuni dell’Ue». A chi si riferisce? «Credo che sia abbastanza chiaro e tutti lo possano intendere». Questo vuol dire che lei riconosce il rischio di una crisi nell’attuale assetto dell’UE. «Nel corso di una lunga e ricca esperienza politica, culturale e istituzionale sono stato sempre immerso nella problematica e nella dialettica politica e culturale europea. Posso pertanto osservare che ormai da tempo il disegno di integrazione europea mostra elementi di crisi, da un lato per gli attacchi e manipolazioni che subisce ad opera dei suoi nemici e dall’altro perché non riesce a superare gravi limiti nella sua capacità di risposta a nuove domande emerse nelle nostre società e nel mondo. Ma come si può affrontare il vero e proprio sommovimento del mondo attuale se non mettendo in campo tutto il prezioso potenziale delle energie europee?». È quindi un’illusione, quella dei sovranisti e degli anti europeisti in Italia e nel resto d’Europa, di poter affrontare la globalizzazione da soli? «C’è veramente da rinnovare e arricchire la riflessione su che cosa si sia verificato nel processo di globalizzazione, che ha visto innescarsi proprio in questi ultimi anni un enorme disordine internazionale, squilibri e fonti di conflitto quanto mai allarmanti. È un’illusione evidente, un vero e proprio inganno, lasciar credere che possa essere risolutiva e positiva la linea di condotta di quanti esaltano gli Stati sovrani come autosufficienti. Senza la presenza e l’azione della BCE, senza lo scudo dell’euro, sarebbe stato impossibile salvaguardare le basi di ricchezza dei nostri Paesi e i risparmi dei cittadini». Non ci sarebbe bisogno anche per questo di una politica estera davvero comune? «È insorta un’ostilità al multilateralismo, abbandonando la ricerca di intese negoziali. Negli Stati Uniti è prevalsa la tendenza a un unilateralismo divisivo, alla riapertura di vecchie contrapposizioni e addirittura al ritorno ad antichi, pericolosissimi scontri, come quello del rilancio della gara agli armamenti nucleari. Sebbene la politica estera e di sicurezza comune europea abbia fatto significativi passi in avanti, siamo ancora lontani da soluzioni unitarie e anche dal discutere la proposta Juncker di estendere la procedura a maggioranza alle decisioni di politica estera. Penso che questo tema potrebbe costituire un obbiettivo della prossima legislatura europea». In linea più generale, non sarebbe utile una rifondazione tornando a una Unione a cerchi concentrici o a più velocità? «Già con la Dichiarazione di Roma, in occasione del 60° anniversario del Trattato, il nodo delle diverse velocità è stato affrontato positivamente. D’altra parte già oggi l’Unione è una comunità che vede i suoi Paesi membri partecipare in diversi formati, come l’Eurozona o lo Spazio Schengen, all’integrazione. La vera questione mi sembra essere se sapremo preservare appunto l’inclusività e l’unitarietà delle istituzioni comuni, se continueremo a rafforzare la capacità del Parlamento europeo di rappresentare i cittadini del nostro Continente in un rapporto più equilibrato con il Consiglio come istituzione di rappresentanza degli Stati». Considera compatibile con un serio europeismo il ricorso crescente alla demagogia e alla moltiplicazione delle promesse elettorali? «È responsabilità di tutti alimentare un dibattito sulle tante questioni europee, sforzandosi sempre di approfondire e cercando di mostrare ai cittadini quali soluzioni sostenibili si prospettano. Non si può addebitare alle istituzioni europee un eccesso di severità solo perché ci si preoccupa – come necessario – di evitare uno strisciante avventurismo finanziario che può essere catastrofico per la crescita presente e futura dei nostri Paesi. Speriamo di esserne tutti consapevoli, un voto espresso in Italia ha una portata europea». Questo vuol dire che non si può imputare alla politica economica europea se l’Italia non cresce, spingendo quindi verso maggiore deficit e ulteriore indebitamento? «Sarebbe sbagliato schematizzare il confronto politico tra chi vuole riforme dell’Unione Europea nel suo complesso e chi considera indispensabili riforme strutturali sul piano nazionale. È evidente che un Paese che si distingue, e non da poco, dagli altri nella zona euro per alcuni fondamentali indicatori negativi (bassa crescita,indebitamento eccessivo, peso della disoccupazione, scarsità di laureati) ha bisogno di continuare gli sforzi per modernizzare la propria economia tendendo alla massima coesione sociale. Penso che i sacrifici che gli italiani hanno fatto negli anni di più rigorosa conduzione delle politiche economico-finanziarie non possano essere vanificati se non si prosegue nel percorso di risanamento del bilancio pubblico. Come è possibile continuare a pagare di più per la spesa sugli interessi del debito che per l’istruzione?». Servirebbe dunque, in un’ottica europea, che l’Italia attui una vera politica per la crescita e l’occupazione senza ricorrere a palliativi. «Più sapremo continuare un processo di rinnovamento e di equo rigore, più saremo in grado di influire sulle politiche economiche al livello europeo. Si potrebbe lavorare a una proposta di revisione e trasformazione degli indirizzi di welfare in Europa, mirando a un nuovo modello comune per corrispondere a istanze sociali e a fenomeni di povertà ed emarginazione nei Paesi europei e in Italia. Ciò varrebbe ben più di promesse o concessioni disparate e parziali a questo o quel segmento sociale». L’Europa, però, si è dimostrata debole e poco “unita” sull’immigrazione. «Sì. E questo ha alimentato un fenomeno duramente regressivo, rispetto agli sforzi fatti nel nostro stesso Paese, già alla fine degli anni ‘90, per non separare la lotta all’immigrazione clandestina, o totalmente incontrollata, da un sistema di regole garantite per l’ingresso legale dei richiedenti lavoro o asilo. Ci sono resistenze incomprensibili verso un approccio complessivo al tema delle migrazioni, come quello proposto dall’ONU con il Global Compact. Il tema è delicato, ma certo è irresponsabile e non offre aiuto chi pensa di sfruttarlo a fini elettorali e di propaganda». Oggi soffia un vento di destra. Le forze democratiche, progressiste e di sinistra possono far leva sull’europeismo per contrastarlo e tornare più competitive? «L’Europa è nata dall’immane disastro della seconda guerra mondiale, in reazione ai nazionalismi e alle tendenze reazionarie, fasciste e di destra che l’hanno provocato. Ogni parte politica non può non attingere a quel patrimonio. In questo senso apparirà in piena luce, lungi da visioni puramente economicistiche, il potenziale politico della sfida e dell’esperienza europea. L’Europa sempre più come sola speranza e via di una nuova nobiltà della politica».