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 2019  maggio 18 Sabato calendario

Una innovativa terapia genica restituisce la vista ai topi

Alcuni topolini ciechi hanno ritrovato la capacità di riconoscere motivi su uno schermo e di vedere oggetti vicini. Dalla terapia genica arriva una speranza per la cecità, come mostra uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications.Per ridare la vista a topi resi ciechi da una malattia genetica, i ricercatori dell’università di California a Berkeley hanno iniettato nei loro occhi il gene del pigmento visivo umano di sensibilità alla luce verde. Inaspettatamente, alcune cellule ganglionari retiniche sono diventate fotosensibili e hanno trasmesso segnali visivi al cervello. A distanza di un mese, i topi avevano ritrovato un comportamento simile a quello dei topi normali, segno che tutto il sistema visivo messo a punto all’inizio della loro vita era stato in parte riattivato.
Fino a oggi i tentativi della optogenetica di ristabilire la vista con una proteina fotosensibile erano poco efficaci, perché utilizzavano sia pigmenti batterici poco sensibili alla luce sia un pigmento troppo lento a reagire per essere compatibile con il movimento degli occhi. Con il pigmento umano utilizzato dai ricercatori di Berkeley, invece, la vista dei topi trattati si è ben adattata alla luminosità molto variabile propria delle condizioni naturali: un fatto assai inedito. Questa terapia di optogenetica potrebbe essere applicata alla maggior parte delle cecità comuni, perché mette in gioco cellule della retina non affette da patologie come le retiniti pigmentarie o la degenerazione maculare. Inoltre potrebbe rappresentare una potenziale alternativa alle retine artificiali, con il vantaggio di una semplice iniezione al posto di una pesante operazione chirurgica.
Resta però il fatto che l’occhio del topo, animale a visione notturna, potrebbe essere più sensibile a questo tipo di terapia. Inoltre le quantità di prodotto iniettato nell’occhio umano dovranno essere molto più importanti, vista le dimensioni. Ma i ricercatori americani dicono di essere pronti alla sfida. I primi test sull’uomo sono previsti entro i prossimi tre anni.