Robinson, 19 maggio 2019
Baselitz, la realtà capovolta
E dire che voleva distruggerli. Invece Georg Baselitz ora è qui, seduto nella sala con i suoi disegni: cacciate dal Paradiso terrestre, diluvi universali, madonne col bambino, copie di Giovanni di Paolo, Pontormo, Rosso Fiorentino. Fogli mai visti prima. «Volevo buttarli via. Non mi sembravano adeguati. Chi avrebbe mai detto che sarebbero andati in mostra?». Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, questo ex ragazzo scappato all’ovest dalla Ddr e finito nel mirino della Stasi cerca di trovare una strada tutta sua per la pittura. Fuori esplodono l’espressionismo astratto e la Pop Art e lui se ne va in Italia a studiare il Rinascimento. «Era difficile essere considerati in quel momento – racconta –. Anche in Italia: c’erano Burri, Vedova, Fontana. Loro erano le colonne. Poi si guardava molto all’America. Io volevo fare qualcosa di completamente diverso e, proprio allora, sul piano artistico, l’Europa stava diventando una provincia». Sempre contromano rispetto alla storia – anche quella dell’arte – si è preso la rivincita diventando uno dei più grandi pittori del mondo.
Oggi, a 81 anni, è il primo artista vivente – «e anche l’ultimo», scherza – a esporre alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Se Leonardo e Giorgione sono al piano di sopra, a pochi passi dall’ingresso del museo, superato il cortile, troviamo lui: protagonista assoluto di Baselitz Academy (a cura di Kosme de Barañano, evento collaterale della Biennale d’Arte, fino all’8 settembre, catalogo Gagosian), la retrospettiva di novanta opere che coprono un arco di sessant’anni. Si entra nel suo immaginario – «la mia pentola a pressione», lo definisce lui – partendo dalle prime incisioni su legno, passando poi per gliEroi, le tele con i soldati feriti e scomposti che fecero scandalo negli anni Sessanta. E ancora: i ritratti capovolti, diventati in seguito il marchio più riconoscibile della sua arte.
«Era il 1969, tutti rincorrevano la Pop Art e io cercavo un altro punto di vista per la pittura – spiega –. Come un musicista, volevo essere totalmente indipendente dalla rappresentazione della realtà, ma al tempo stesso non mi andava di rinunciare alla figura: dovevo mantenere il modello e trovare una novità che colpisse. Così ho cominciato a fotografare i miei amici con la Polaroid e sulla base di quegli scatti ho dipinto i ritratti che poi ho capovolto. Rappresentano un assurdo scientifico: l’uomo sottosopra non esiste in natura. Le prime mostre non andarono benissimo...». A vederli adesso sembra impossibile che quei ritratti fossero accolti con sdegno. La seconda grande sala della mostra all’Accademia è un trionfo di colori, con i volti degli amici di Baselitz che galleggiano a testa in giù tra i blu e i grigi. Sulla parete frontale, tre grandi quadri compongono un trittico ideale: al centro Camera da lettodel 1975 rappresenta il pittore e la moglie Elke nudi con un impasto di ocra, rosso e blu che fa da sfondo. Le loro figure tornano singolarmente nei dipinti ai lati. E torneranno ancora negli anni successivi. Fino al commovente ritratto del 2018 di loro due nudi che scendono le scale, con il corpo trasformato dal tempo e un titolo che riassume tutto: Arrivo.
«Quando ho iniziato a dipingere i nudi, negli anni Sessanta, mi sembrava la maniera più autentica e provocatoria di presentarmi al pubblico. Poi ho continuato nei decenni successivi, ma all’inizio non pensavo al corpo che cambia. Non mi interessava aderire alla cruda realtà. In questo mi sento distante da Lucian Freud. Una volta, l’ho incontrato a Londra, eravamo seduti nello stesso ristorante a bere del vino molto costoso». Il volto di Baselitz si illumina e irrigidisce nello spazio di pochi secondi. Ricorda con un misto di ironia e durezza gli episodi chiave della sua vita. «Nel 1980 rappresentavo la Germania alla Biennale di Venezia con Anselm Kiefer e la stampa interpretò come un saluto nazista il braccio teso di una mia scultura. Fu il caos. Joseph Beuys mi attaccò».
Il rapporto tra l’artista e il suo Paese non è mai stato un idillio. Sin dalla prima personale in una galleria berlinese nel 1963, quando due opere vengono sequestrate per contenuto osceno: «La vita nella Germania degli anni Sessanta era tremenda. Nessuno si interessava all’arte e anche adesso il panorama non mi pare così effervescente come si dice. Non vedo un’evoluzione». Ma è il mondo dell’arte contemporanea a non piacergli. «Oggi gli artisti si occupano di qualsiasi cosa tranne che di arte: credono di fare politica, di combattere il riscaldamento globale, di battersi per una società migliore. Tutti si sentono rivoluzionari, ma finiscono per essere solo conformisti. Assistiamo al trionfo del politically correct. Di arte in senso stretto non parla più nessuno. È un argomento chiuso. Io, che sono anticomunista, ero grande amico di un rosso come Emilio Vedova perché la nostra amicizia era basata esclusivamente sul discorso artistico. In questo periodo, invece, una mia amica è Tracey Emin, apprezzo i suoi disegni». A immaginarli insieme, lui e l’artista inglese cinquantacinquenne che ha installato il suo letto sfatto alla Tate di Londra, formano una coppia improbabile. Ma è l’anticonformismo che li accomuna.
Tra una mostra e l’altra, Baselitz continua a spingere la pittura più in là. Dopo gli Eroi, i Ritratti capovolti e i Nudi, la serie dei Negativ Bilder ( Quadri negativi), che occupa la sala più ampia dell’allestimento all’Accademia, lo dimostra: qui ad essere rovesciata non è solo la figura, ma anche i suoi valori tonali, come in un negativo con i colori che emergono dal fondo nero. I volti e i corpi sembrano affiorare da una vasca di sviluppo fotografico che diventa la tela stessa. È così che il pittore tedesco pone un ulteriore filtro tra la realtà e la sua rappresentazione. La prossima tappa della sua ricerca saranno gliAutoritratti di artisti a cui sta lavorando nello studio alle porte di Monaco di Baviera: rielaborazioni di celebri selfie della storia dell’arte del Novecento e oltre: Schönberg, Rauschenberg, Lichtenstein, Warhol e le inglesi Cecily Brown e Tracey Emin, appunto. Lucian Freud non ci sarà. Ancora una volta Baselitz andrà per la sua strada: «Mi interessa direttamente l’arte, sempre e soltanto quella».