la Repubblica, 19 maggio 2019
La eco polpetta
La guerra contro il cambiamento climatico sfodera anche in Italia l’arma finale: le polpette. Viste così – chiuse in un bagel, con contorno di patate e salsa di cavolo sul tavolo del Bistrot Paulpetta (nome omen…) di Monza – quelle cinque palline dorate fresche di frittura hanno l’aria innocua. Ma basta mettersi il tovagliolo e attaccare la prima con la forchetta per capire che il riscaldamento globale ha le ore contate: la crosta si spezza al momento giusto. L’interno ha il colore rosato di un Big Mac, l’umidità e la consistenza sono quelli tipici della perfetta cottura al sangue. E una volta al palato le cose vanno ancora meglio: morbide, con un retro- gusto di carne che – inghiottita la prima – ti obbliga ad attaccare subito le quattro superstiti. Senza rimorsi – e questo è il bello – per la salute del pianeta: quelle del ristorante brianzolo sono le prime polpette- fake ed ecologicamente corrette sbarcate sulle tavole d’Italia.
L’apparenza, come capita spesso, inganna: negli ingredienti – non c‘è traccia di carne. Il rosso del sangue, simile in tutto e per tutto a quello di una fiorentina, è succo di barbabietola. E nessuna mucca – malgrado l’innegabile sapore di polpetta doc – ha perso la vita per quel piatto. Gli ingredienti? Tutti vegetali: «Proteine di piselli, olio di cocco, fibre di bambù», ride soddisfatta Viviana Veronesi, la vulcanica titolare che ha mosso mari e monti per fare arrivare dagli Usa in Brianza la finta carne 4.0 destinata, scommettono gli ambientalisti, a salvare il pianeta e la vita di milioni di bovini.
La loro bontà, eticamente parlando, non è in discussione: «Per produrle si consuma il 99% di acqua e il 93% di terra in meno e si riducono del 90% le emissioni di CO2 rispetto a una polpetta tradizionale», snocciola Veronesi. Anche sul gusto, però, niente da dire. E oltre alla prova regina – il nostro piatto vuoto e la voglia di chiedere un bis – c’è la parola (che vale oro) di un’ex-carnivora: «Non tocco una bistecca da dieci anni – conferma Rita Riboni –. Sono venuta qui apposta per assaggiarle con un po’ di scetticismo. E appena ho messo in bocca la prima, glielo assicuro, mi ha fatto impressione. Sono nata in Umbria, si può immaginare quante bistecche ho mangiato in gioventù. Queste polpette hanno lo stesso sapore. Tanto che ho chiesto al cameriere se era sicuro di avermi dato la portata giusta!».
L’esperimento sul campo di Monza conferma quello che Wall Street aveva già intuito: la carne “verde” non è un fuoco di paglia ma è qui per restare. I numeri – in Brianza e a New York (dove il titolo di Beyond Meat, il produttore delle polpette, è triplicato di valore dopo due settimane di quotazione) – raccontano di un boom annunciato. «È stata una scommessa che ha funzionato – racconta Veronesi –. Ho lanciato le polpette vegane il primo maggio e già ora il 30% dei clienti me le chiede». La carne made in Usa le costa un po’ di più («4 euro al kg contro i 20 della carne biologica che uso per quelle tradizionali») ma l’investimento paga «visto che in molti tornano per il bis». Grassi e calorie, a voler essere pignoli, sono gli stessi – a parità di porzione – di un hamburger a base di bovini. Ma il contenuto di ferro, fosforo e vitamina C, manna per i salutisti, è decisamente superiori. E anche lo chef Francesco di Paulpetta è contento: «Cuoce nella metà del tempo, tre minuti, e assorbe molto meno olio», assicura. La prova provata sono le tovagliette di carta da pacco su cui sono servite, decisamente meno unte di quelle delle “Monza” a base di luganega e persino delle Thai al pesce bianco. Decine di altri ristoranti italiani, non è un caso, stanno bombardando l’ufficio commerciale di Beyond per seguire l’esempio del ristorante di Monza. E l’Esselunga – fiutato l’affare – ha già fatto le pratiche per la vendita al dettaglio.
La coda per assaggiare le polpette vegane in Brianza è la stessa che fanno gli investitori in queste settimane sui mercati finanziari per accaparrarsi azioni delle aziende che producono la carne che sa di carne ma non è carne. Beyond Meat (che lo scorso anno ha fatturato “solo” 88 milioni) vale alla Borsa di New York circa 4 miliardi di dollari. Il rivale Impossible Burger ha appena raccolto 300 milioni di capitale in pochi minuti per finanziare la sua espansione. La catena britannica Greggs, un antico tempio per carnivori, ha guadagnato il 15% in un giorno alla City dopo aver reso pubbliche le vendite boom dell’hot-dog vegetariano che ha appena messo nel menu. Una moda come le bolle della new economy? Difficile. Anche i big delle bistecche tradizionali come Tyson ormai si sono rassegnati e hanno iniziato a investire per farsi le loro linee di prodotti vegani. Il futuro della carne, nell’era di Greta Thunberg e per la gioia di tutte le mucche del pianeta, arriverà dalle piante invece che dalle stalle.