la Repubblica, 19 maggio 2019
A Toronto il primo esempio di Google City
Un’autostrada leggera dove corrono veicoli che si guidano da soli. Case modulari riscaldate a energia solare. E poi semafori che riconoscono la presenza di pedoni, il parco dotato di panchine intelligenti che ti riparano se piove. Mentre dalle consegne a domicilio alla raccolta dell’immondizia, un esercito di robot si occupa dei lavori più umili in tunnel sotterranei...
Chiamatela Utopia. O Grande Fratello? Di sicuro quando due anni fa il premier canadese Justin Trudeau e l’ex Ceo di Google Eric Schmidt lanciarono il progetto Quayside, "lato molo”, che avrebbe dovuto riqualificare l’ex zona industriale a est di Toronto trasformandola in una sorta di “Google City”, città del futuro, a molti sembrò che il Canada stava davvero imbroccando una grande occasione. Economica perché Google avrebbe costruito lì il suo nuovo quartier generale. E tecnologica, perché in quella zona così desolata da essere scelta perfino da Guillermo del Toro per ambientare la fosca e umida Baltimora del suo film da Oscar La forma dell’acqua, gli ingegneri di Mountain View avrebbero davvero scritto la Storia. Mettendo in pratica tutto quello su cui lavorano da anni, dalla “Google Car” alla domotica.
E infatti il colosso del web ha già investito ben 50 milioni di dollari su quel grande progetto affidato a SideWalk Labs, consociata di Google guidata da Dan Doctoroff, vicesindaco di New York al fianco di Micheal Bloomberg che sognava di portare le Olimpiadi nella Grande Mela: pronta a investire un miliardo per realizzarlo. Peccato che di quell’utopia verde e iper connessa, che per ora consiste solo in una serie di bellissimi rendering, i cittadini di Toronto proprio non ne vogliono sapere. E in una ribellione senza precedenti hanno denunciato governanti locali e nazionali sperando di bloccare così quella che già definiscono “rats-city": la città delle cavie.
«Per funzionare Quayside deve raccogliere costantemente dati rendendo la tutela della privacy impossibile: quasi fosse la città del Grande Fratello di orwelliana memoria» denuncia il Toronto Star. E Brenda McPhail, presidente della Canadian Civil Liberties Association attacca: «Telecamere e sensori registrano, o meglio spiano le abitudini dei cittadini. Chi ci dice che nelle mani di un soggetto con interessi economici come Google non verranno usati, ad esempio, per proporre prodotti commerciali selezionati in base alle abitudini delle persone? O peggio ancora per influenzarne il voto?». Dan Doctoroff si difende: «I dati verranno gestiti da una società indipendente, chiameremo i cittadini a decidere quale. Metteremo i sistemi in open source» promette. Ma intanto a Google City non vuole andarci a vivere nessuno.