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 2019  maggio 19 Domenica calendario

Poco nettare, api affamate

E dire che le «api erano molto belle si sono sviluppate in anticipo e le famiglie erano molto numerose ma adesso hanno poco o nulla da raccogliere. Per nutrirle io ho fatto ricorso alle scorte ma non sempre sono state sufficienti e in tanti hanno fatto ricorso all’alimentazione di soccorso». Davide Bosio è il vicepresidente di Aspromiele, l’associazione che raggruppa i 3000 apicoltori piemontesi e sta incrociando le dita nella speranza che dalla prossima settimane le condizioni del tempo migliorino. «Girando tra le colline dell’astigiano si vedono le acacie fiorite, sono belle a vedersi ma in giro ci sono poche api perché non c’è il nettare da portare nell’alveare». Secondo la Coldiretti la situazione è identica anche nel resto d’Italia: «La primavera instabile sta creando grossi problemi agli alveari anche perché il maltempo ha compromesso molte fioriture e le api non hanno la possibilità di raccogliere il nettare. Il poco miele che sono riuscite a produrre lo mangiano per sopravvivere. La sofferenza delle api è uno degli effetti dei cambiamenti climatici in atto». 
La mappa
La Fai-Federazione Apicoltori Italiani valuta le perdite di produzione del miele di acacia e di tutti gli altri mieli primaverili (tarassaco, ciliegio, arancio, millefiori) tra il 50 e il 70%. Il presidente, Raffaele Cirone, sottolinea criticità in quasi tutte le regioni del Nord Italia (dal Piemonte alla Lombardia, dal Veneto al Friuli Venezia Giulia). In Trentino Alto-Adige sono andati perduti i raccolti di miele di melo mentre in Emilia-Romagna sono andati perduti i raccolti primaverili di fruttiferi, di tarassaco, di acacia.
L’intero versante adriatico delle regioni centrali è stato colpito dalle avversità climatiche. In questo caso «il miele d’arancio ha fatto registrare una raccolta molto scarsa in Puglia e Basilicata mentre in Abruzzo è venuta a mancare la sulla, una pianta foraggera». In Sardegna si aspettano buoni raccolti su cardo e asfodelo mentre nel resto delle regioni la raccolta è ai valori minimi, «circa un terzo di quelli medi delle buone annate». Per Cirone «la situazione è allarmante ma non compromessa, salvo ulteriori perturbazioni climatiche, gli apicoltori potrebbero recuperare nella seconda parte della stagione». 
La «febbre sciamatoria»
Si vedrà. Quel che è certo è che il cambiamento climatico ha fatto sì che le api entrassero in «febbre sciamatoria». Da «tutta Italia - spiega il leader Fai - gli apicoltori segnalano un’ininterrotta produzione di sciami da parte degli alveari. Un fenomeno che si può gestire a fronte di enormi sforzi, ricongiungendo gli sciami agli alveari che li hanno perduti e quindi ricomponendo famiglie forti da avviare a nuovi raccolti». I piccoli apicoltori, paradossalmente, potrebbero ritrovarsi con meno produzione e un parco alveari più numeroso. Ad oggi, però, almeno secondo Coldiretti ci sono 1,2 milioni gli alveari curati da 45.000 apicoltori tra hobbisti e professionali. «Se la tendenza negativa della produzione dovesse essere confermata - conclude Cirone - ci troveremmo dinanzi ad una situazione gravissima soprattutto per le aziende che hanno l’apicoltura come unica o principale attività».