La Stampa, 19 maggio 2019
I due volti dei nazionalisti austriaci
L’Austria, fino a venerdì pomeriggio, sembrava un modello virtuoso, replicabile in altri Paesi d’Europa. Azzurri e neri insieme, Fpö e Övp dal dicembre 2017 rappresentavano quel punto di equilibrio credibile di un’alleanza tra destra nazionalista e popolari, che governavano non tanto per affinità elettive, quanto piuttosto per pragmatismo e sulla base di un programma scritto e che accontentava entrambi. A Vienna guardavano in tanti nella Ue. Kurz sembrava essere riuscito a normalizzare la destra nazionalistica, con legami ed eredità filo-nazisti, facendo prevalere il lato populista.
Quel modello si è rotto venerdì pomeriggio, con la pubblicazione del video di Strache, in cui l’ex vicecancelliere parla di appalti truccati, tangenti, finanziamenti sottobanco al suo partito da una giovane e piacente signora russa. È una bomba, che di colpo mette fuori gioco il leader del Fpö. Si scopre che l’uomo, che aveva raccolto i suoi consensi con lo slogan «prima gli austriaci» sarebbe stato pronto a barattare gli interessi di quegli stessi austriaci con i soldi di una straniera. Lo choc è enorme, perché questa volta non ci sono semplici trascrizioni di intercettazioni, ma si sente la viva voce del leader che tratta l’«affare». Il vicecancelliere aveva capito venerdì che la sua carriera politica era giunta al capolinea. Ha disdetto la partecipazione al raduno di Matteo Salvini a Milano di ieri, con i sovranisti d’Europa.
L’ascesa gloriosa
Movimenti nazionalisti come questo hanno bisogno di un capo per reggersi e Strache lo era sicuramente. Nel 2005 aveva sfidato temerariamente Jörg Haider, storico leader della destra xenofoba e filonazista austriaca, e aveva vinto. Il congresso di Salisburgo lo aveva incoronato segretario quasi all’unanimità. Attorno alla sua figura si era coagulata l’ala più radicale del partito. A quel congresso c’era Andreas Mölzer, l’ideologo del «terzo lager», i nostalgici pangermanisti, gli studenti delle Burschenschaften filonaziste. Strache aveva raccolto l’eredità di Haider, dandole anche una sterzata che pochi inizialmente avevano percepito. Aveva cancellato il lessico da Terzo Reich (quel lessico che aveva fatto di Haider il pericolo numero uno in Europa), cercando di rendere l’Fpö più presentabile. Ogni riferimento al passato nazista era stato abolito e perfino all’euroscetticismo era stata messa la sordina. C’erano stati incidenti di percorso, con uscite di stampo neonazista di qualche dirigente periferico, cacciato su due piedi. I temi cavalcati in questi anni erano stati quelli del nazionalismo austriaco (ben diverso dal nazionalismo pangermanico di Haider), della difesa dei confini, della lotta all’immigrazione, della protezione degli interessi economici austriaci (anche in contrapposizione a Paesi considerati cicala come Italia e Grecia). Solo in questo modo Strache aveva guadagnato consensi anche in quella parte della popolazione non di estrema destra, che era stata impoverita dalla globalizzazione e che vedeva nell’Fpö una possibilità di riscatto. Si spiega così la crescita di voti, fino al 26% delle elezioni politiche del 2017 (ma nel 2015 i sondaggi avevano dato l’Fpö addirittura al primo posto, intorno al 30%). E solo in questo modo a fine 2017 aveva potuto dar vita a un governo con i popolari, senza che gli altri Paesi Ue infliggessero all’Austria le sanzioni che erano toccate nel 2000 al primo governo di centro-destra.
I selfie dalla Piazza Rossa
Non è un caso che l’esca del video di Ibiza, che prometteva investimenti milionari, fosse russa. Già, perché l’Fpö è uno di quei partiti europei (l’altro è la Lega) che hanno fatto espliciti accordi con «Russia unita», il partito di Putin. A dimostrarlo era stato lo stesso Strache, che sui social mostrava una foto festante dalla Piazza Rossa nel dicembre 2016, insieme a Gudenus e a quello che oggi è il candidato al parlamento europeo, Harald Vilimsky.
Dal fronte dei sovranisti, ieri giungevano commenti assai scarsi: il premier ungherese Viktor Orban, che aveva accolto Strache a Budapest negli scorsi giorni, non vuole dir nulla sulla vicenda («È questione interna austriaca»). Marine Le Pen, pressata dalle domande dei giornalisti a Milano, si limita a dire che «ogni Paese ha le sue regole in termini di finanziamento dei partiti» e che «è sbalorditivo che questo video sia uscito a qualche giorno dalle europee». A dare un giudizio severo, invece, è stato il candidato del partito popolare Manfred Weber, che da Zagabria, ha sentenziato: «Estremisti e populisti di destra e sinistra non sono una soluzione». Vienna non sarà l’Europa, ma lo caso austriaco mette di fatto in forte imbarazzo quell’alleanza dei sovranisti che sembrava un blocco compatto, e che oggi si ritrova quantomai frammentata, tra inchieste, scandali e accuse di finanziamenti illeciti.