La Stampa, 19 maggio 2019
Che cosa rischia l’Europa
Quale che sia il risultato delle elezioni europee del 26 maggio la conseguenza sarà una drammatica novità nel Parlamento di Strasburgo: sui suoi scranni siederà per la prima volta un contingente di deputati che si organizzerà per opporsi alla costruzione europea. Finora i 751 europarlamentari sono stati lo specchio di visioni diverse, anche in maniera aspra, sulla strada da seguire per rendere l’Europa più coesa e integrata ma tutto ciò sta per finire perché ad urne chiuse avremo fra loro una minoranza che darà vita ad un’opposizione inequivocabile, strutturata, coesa all’idea stessa dell’Unione Europea come oggi la conosciamo.
A comporre tale nuova realtà parlamentare, in modalità ancora tutte da verificare, saranno gli eletti del Brexit party in Gran Bretagna, della Lega in Italia, del Front National in Francia, di Alternative fur Deutschland in Germania, del partito Fidesz in Ungheria e di una variegata compagine di sigle minori in altri Paesi.
Senza contare la significativa zona grigia di quelle forze politiche, come il Movimento Cinque Stelle in Italia, che esitano a definire con chiarezza il loro approccio all’Europa, preferendo oscillare nell’ambiguità. Al momento non sappiamo quanti eletti avranno nel fronte anti-Ue, come si coordineranno a Strasburgo, se siederanno assieme o meno, se avranno leader condivisi o rivali. Ma possono esserci pochi dubbi su ciò che li unisce: la volontà di indebolire la coesione europea frutto del pensiero dei Padri fondatori - Jean Monnet, Robert Schuman, Konrad Adenauer ed Alcide De Gasperi - a vantaggio di una ritrovata centralità degli Stati nazionali, il rafforzamento della sovranità economica a scapito della globalizzazione degli scambi, l’ostilità nei confronti dei flussi di migranti, la priorità dei temi della sicurezza e l’esaltazione cultural-religiosa delle radici etnico-nazionali di ogni singola popolazione locale. Sono caratteristiche politiche e identitarie che spingono queste forze a entrare naturalmente in contrasto fra loro - specie se espressione di nazioni o regioni confinanti - mentre le portano a trovare una comune ragion d’essere nell’opposizione radicale alla costruzione europea iniziata con i Trattati di Roma del 1957. Da qui la nuova Europa che si affaccia dietro il voto di domenica prossima: un composito fronte popolare-socialista-verde-liberale espressione di versioni differenti del progetto europeo ed uno schieramento di opposizione intransigente allo stesso progetto. È una dinamica destinata ad esaltare una nuova tipologia di duello politico in Europa, generando in ogni singola nazione tensioni più o meno grandi ma comunque in crescita.
Senza contare che il Parlamento europeo ha un ruolo cruciale per l’Unione perché, pur privo dell’iniziativa legislativa, approva il vertice, i componenti e le norme varate dalla Commissione europea, a cominciare da un bilancio di 150 miliardi di euro annui che ha un impatto reale sulla vita di 500 milioni di cittadini. Insomma, la pattuglia sovranista a Strasburgo può essere l’inizio della disintegrazione dal di dentro della casa comune europea oppure l’esatto contrario.
A fare la differenza sarà la determinazione di chi si batte per l’Europa nel trovare argomenti, proposte e idee capaci di disinnescare l’onda sovranista-populista che incombe su Strasburgo, puntando a dare delle risposte convincenti alla protesta del ceto medio causata dall’impennata di diseguaglianze economiche e dalla carenza di integrazione dei migranti. L’errore più grande sarebbe sottovalutare l’impatto dell’agguerrita minoranza anti-europea, immaginare che non superando una certa quota di voti possa essere meno dirompente o significativa, illudersi che tutto in una maniera o nell’altra tornerà come prima. L’Unione Europea è a sette giorni di distanza dalla sua prova più difficile ed è bene che ogni elettore sia consapevole della posta in palio.