il Giornale, 19 maggio 2019
Il raduno dei nostalgici del Medioevo
Il Medioevo è un posto molto confortevole con una doppio malto in una mano e l’iPhone nell’altra e la Golf nel parcheggio. Magari quei calzari di pelle non sono esattamente delle Geox e pure la cotta di maglia non è in nessuna collezione primavera-estate ma tanto l’estate è lontana e a quanto pare anche la primavera, quindi bene così.
Qui a Trezzo sull’Adda, nel contado brianzolo, si celebra la quarta adunata di Feudalesimo e Libertà, una pagina Facebook nata qualche anno fa come risposta un po’ scherzosa e un po’ no all’oscurantismo contemporaneo, proponendo come rifugio un mondo arcaico e maschilista, che per linguaggio adotta un tardolatino che viene parlato correntemente anche da chi a scuola la versione la copiava e che come estetica adotta un po’ quella di Shrek, un po’ quella di Braveheart, un po’ quella di Tolkien e molto quella di chef Rubio, nel senso che alla fine sembrano un po’ tutti camionisti in trattoria.
Che non si tratti di una bazzecola lo dimostra il fatto che la pagina vanta 647.434 follower e qui a Trezzo sono venuti almeno in un paio di migliaia al Live Music Club, un localone di provincia per un sabato trasformato in un villaggio feudale che prende le carte di credito e ha le uscite di sicurezza. C’è di tutto: kilt, corni, birra, trecce, spade, birra, anfibi, cappelli triangolari, birra, cetre, ombrelli tascabili (il Medioevo è un luogo molto piovoso), tatuaggi, barbe, birra, birra, birra.
Uno dei feudatari più famosi pare sia un quarantenne sardo che tutti chiamano Don Alemanno, ma non è il sindaco del luogo. Canta negli Holy Trinit, è un fumettista pare piuttosto bravo, da queste parti è un guru. Si fa fotografare da noi mentre fuma il sigaro appena fuori dal suo saio. Fa parte della giuria del premio per la «pulzella più casta», una sorta di miss Medio Evo al contrario, che mette l’una contro l’altra una decina di ragazze che devono testimoniare della loro virtù, e tra le concorrenti ce n’è anche una coi capelli rosa vestita da harleysta, che giura di «non fumare, non bere e non trombare». L’umorismo è obliterato da battute come questa: «Si capisce quanto sei casta da quanto lontano tieni il microfono dalla bocca». O come questa: «Sono casta perché quando distribuivano le tette non mi sono messa in fila». Una tettapiattista, cugina dei terrapiattisti che abbiamo incontrato una settimana fa e che qui sono evocati spesso: «Terrasferisti e scienziati di ogni sorte che colle loro panzane cercan de spiegar lo Creato!», recita l’invito all’adunata. E del resto qui che la terra sia considerata piatta è una impellenza cronologica, essendo Galileo di là da venire.
Ma torniamo alle donne. La questione femminile è strategica in questo raduno ad alto tasso di testosterone. Qui l’#egoquoque, che è il #metoo dell’epoca, non conosce nessuna fortuna. Anzi, pare proprio che le pulzelle si divertano a essere trattate come esseri inferiori, ma forse sono solo più furbe dei maschietti e si aggiustano a compiacerli per quattro ore in una discoteca, alla fine un sacrificio accessibile. Mara, una sorta di cosplay della castellana (ma la definizione non le piace, e poi ha i capelli blu) nega che ci sia sessismo e propende per il gioco. Lei nella vita fa la progettista meccanica, disegna lamiere e malgrado la sua avvenenza, non sembra preoccupata che alcuno dei bambinoni che si aggirano le possa mettere i piedi calzati medievalmente in testa. Ma certo resta l’impressione che questa festa e tutta la sarabanda sia semplicemente un modo per dire l’indicibile e fare l’infattibile nascondendosi dietro una sorta di carnevalata storica. Tra i politicamente scorretti ci sono quelli che indossano una felpa con su scritto Trezzo e fanno il pieno di voti e quelli che il sabato si vestono da messere e fanno il pieno di birra.