Il Sole 24 Ore, 19 maggio 2019
Il chilo del terzo millennio
«Quando si può misurare ciò di cui si parla, ed esprimerlo in numeri, lo si conosce; quando non lo si può misurare, la conoscenza sarà povera e insoddisfacente». Affermazioni come questa – famosissima, dovuta a un grande fisico dell’Ottocento, Lord Kelvin – sembrano fatte apposta per attirare sulla scienza le solite accuse di aridità e di ossessione quantitativa. È difficile però contestare il fatto che gran parte di ciò che sappiamo del mondo (e di noi stessi) scaturisce in ultima analisi proprio da operazioni di misura.
Misurare una grandezza significa confrontarla con un’altra grandezza dello stesso tipo, scelta come «unità di misura», e determinare il loro rapporto, che è in genere un numero con la virgola e i decimali. Le unità di misura hanno un carattere convenzionale, ma per svolgere il loro ruolo devono possedere due caratteristiche: la stabilità nel tempo e la replicabilità. Un metro, un secondo, un chilogrammo, insomma, non possono cambiare dall’oggi al domani, né spostandosi da Milano a Sidney (o sulla Luna).
Fu la Francia rivoluzionaria a fissare per la prima volta le unità di misura più comuni, per porre fine alla babele degli standard di lunghezza, di superficie, di peso usati localmente, tutti diversi tra loro (e spesso aventi lo stesso nome). Nel 1795 una commissione composta da studiosi di straordinaria levatura (tra gli altri, Joseph-Louis Lagrange, Pierre-Simon de Laplace, Nicolas de Condorcet) propose di basare la definizione del metro su una lunghezza “presa dalla natura”. Si scelse come riferimento il meridiano terrestre passante per Parigi e si stabilì – per legge – che il metro fosse la decimilionesima parte di un quarto di meridiano. Fissato il metro (assieme ai suoi sottomultipli), il chilogrammo fu definito come la massa di un cubo d’acqua di un decimetro di lato alla temperatura del ghiaccio fondente. Vennero poi costruiti due campioni in platino del metro e del chilogrammo, depositati ufficialmente il 22 giugno 1799 negli Archives de la République a Parigi.
Con la prima Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure, tenutasi nel 1889, furono introdotti nuovi prototipi del metro e del chilogrammo. Da allora, la definizione del metro ha subito alcune revisioni: nel 1960 fu svincolata dal campione materiale, e il metro venne definito sulla base di un processo naturale – come un multiplo della lunghezza d’onda della radiazione emessa in una certa transizione dell’atomo di krypton 86. Nel 1983 si è giunti alla definizione attuale, che fa riferimento alla velocità della luce nel vuoto – una grandezza invariante secondo la teoria della relatività: il metro è diventato la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in una determinata frazione di secondo (circa un trecentomilionesimo di secondo).
Il chilogrammo, invece, continua a essere definito – e lo sarà ancora per qualche ora – da un manufatto: un cilindro in platino-iridio di 39 millimetri di altezza e di diametro, conservato presso il Bureau International des Poids et Mesures di Sèvres (vicino a Parigi), e di cui esistono copie fedeli negli uffici metrologici di ogni nazione. Nel corso degli anni, a causa delle inevitabili contaminazioni, le differenze tra tutte le copie del chilogrammo in giro per il mondo sono progressivamente cresciute, fino a raggiungere alcune decine di microgrammi. Niente di cui preoccuparsi quando si va a fare la spesa, ma quanto basta per inquietare i metrologi e mettere a repentaglio le misure di precisione. E così, da domani, 20 maggio 2019, il cilindretto di Sèvres e i suoi quasi-gemelli andranno in pensione.
È la decisione presa dalla 26ª Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure svoltasi nello scorso novembre, che ha avviato una rivoluzione nel «Sistema Internazionale» delle unità di misura. Le unità delle sette grandezze di base (lunghezza, massa, tempo, corrente elettrica, temperatura, quantità di sostanza, intensità luminosa) saranno definite a partire da altrettante costanti di natura (la costante di Planck, la velocità della luce nel vuoto, la costante di Boltzmann, la costante di Avogadro, la carica elettrica elementare e due altri parametri legati a fenomeni atomici e ottici). I valori di queste costanti sono stati determinati con grande precisione e da adesso in poi saranno considerati esatti (cioè privi di incertezza): combinandoli tra loro si possono ottenere tutte le unità di misura.
In particolare, la nuova definizione del chilogrammo è legata a una delle grandi conquiste scientifiche del Novecento: la costante quantistica h di Planck. Moltiplicando h per una frequenza atomica fissata si ottiene – secondo una relazione dovuta a Planck e ad Einstein – un’energia, e da questa, dividendo per la velocità della luce al quadrato, secondo la celeberrima
E=mc², si ricava infine la massa corrispondente a un chilogrammo. Quanto alla realizzazione concreta del chilogrammo, i laboratori potranno in linea di principio utilizzare qualunque sistema fisico la cui struttura o il cui funzionamento coinvolgano h.
L’unica delle costanti fisiche che non trova posto nel nuovo Sistema Internazionale è la più antica di tutte, la costante gravitazionale di Newton. La ragione è che la gravità è eccezionalmente debole: di conseguenza, la costante di Newton non è nota con grandissima precisione; inoltre le unità che ne derivano sono assolutamente fuori scala, troppo piccole o troppo grandi, inadatte a qualunque uso pratico (a meno che non ci si trovi in prossimità di un buco nero…).
La revisione metrologica in corso ha un’enorme rilevanza concettuale. Essa poggia sul fatto – per nulla ovvio – che la natura ci mette graziosamente a disposizione una serie di standard universali cui possiamo riferirci in ogni occasione: un insieme di numeri invariabili, uguali in ogni tempo e in ogni luogo, presenti in tutte le leggi fisiche. Ma perché i valori delle costanti di natura sono proprio quelli e non altri? È un mistero di lunga data, che la fisica futura è chiamata a svelare.