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 2019  maggio 18 Sabato calendario

Meno Btp nelle banche, più rischio per il debito

Non sono molti i titoli di Stato in Europa che rendono come i Btp italiani (ieri il 2,66%) e che nello stesso tempo possono godere del paracadute Bce, tra utili reinvestiti del Qe e Tltro in arrivo, che sia forte o meno la manovra dei finanziamenti a sconto in arrivo per le banche. Lo dice chiaramente il bilancio 2018 di Bankitalia: l’utile record di Via Nazionale è infatti attribuibile soprattutto ai titoli pubblici acquistati in ambito Qe. Di qui il dividendo pagato al Tesoro di 5,7 miliardi, in crescita di 2,3 miliardi rispetto al 2017. Dunque, c’è da credere al ministro Giovanni Tria quando dice che i titoli di Stato italiani sono «un buon affare per chi li acquista». Rimane però una certa nuvola che pesa sul nostro debito: il pressing della Vigilanza Bce sulle banche e sul loro portafoglio di Btp. Non a caso, alcune di esse sono già corse ai ripari. Unicredit, con i sui 54 miliardi di Btp (circa la metà del portafoglio titoli governativi e il 7% degli attivi) intende ridurre l’esposizione non rinnovando i titoli alla scadenza. Ubi taglierà la dote da 8,28 a 7,5 miliardi entro il 2020. Molta strada ha già fatto Mps, controllata dal Tesoro, arrivata a quota 13,5 miliardi rispetto ai 20 di metà 2018. Inoltre, Iccrea ha nei suoi piani un taglio da 10 miliardi. La consolazione è che Intesa Sanpaolo, prima banca per capitalizzazione, ha già messo a dieta il suo portafoglio e ora può salire fino al 50% delle attività bancarie. Ma si tratta di pochi miliardi e di un caso isolato, perciò la preoccupazione di Tria resta.

L’INCERTEZZA DELLE REGOLE
Già, perché anche se per ora si è allontanata la stretta sui Btp minacciata dall’Esrb (l’autorità europea per il rischio sistemico), grazie alla tenacia del presidente della Commissione affari economici Ue, Roberto Gualtieri, un certo rischio resta per gli istituti. Perché l’introduzione di un tetto all’esposizione in titoli di Stato continua ad aleggiare, insieme a ipotetici nuovi requisiti patrimoniali per chi ne ha una certa quantità. 

E ciò riguarda sopratutto le banche italiane, che hanno nei loro portafogli ben 387 miliardi di titoli di Stato, secondo l’ultima rilevazione di Bankitalia. Si tratta di oltre il 10,7% del totale degli attivi. Un primato in Europa, basti dire che in Spagna – subito dietro noi – l’esposizione ammonta a 200 miliardi (il 7,6% degli attivi). 
Il punto è che lo stop alle ambizioni di alcuni euroburocrati non è bastato ad attenuare una certa avversione in casa Bce verso i portafogli colmi di titoli governativi. E di questo i nostri istituti ne devono tenere conto, se vogliono evitare certi eccessi di zelo degli ispettori di Francoforte. Nello stesso tempo, con la fine del Qe verrà gradualmente meno un compratore forte di Btp come la Bce. Per non parlare dei segnali di disaffezione degli investitori esteri. Segno che Tria dovrà fare di sicuro qualche sforzo in più per rifinanziare il debito pubblico proprio mentre i venti di guerra Usa-Cina spingono verso asset più sicuri.

I CREDITORI DELL’ITALIA
Va ricordato che il 67,7% del nostro debito pubblico è in mano a residenti in Italia, mentre il 32,3% appartiene a stranieri. Le banche, con il 26,9% dei titoli, sono dunque il primo creditore. E il secondo sono grandi investitori come i fondi pensione e le assicurazioni, che ne hanno il 20,6%. Poi c’è la Banca d’Italia, che a suon di Qe ha accumulato il 15,9% del debito nazionale. Il resto, il 4,3%, è in mano alle famiglie. Una fotografia, questa, destinata certamente a cambiare nei prossimi mesi. Non solo perché le banche hanno fatto la loro parte nell’ultimo anno compensando le vendite degli investitori esteri (risultano 50 miliardi in più di esposizione verso i Btp rispetto a un anno fa), un fattore di vulnerabilità aggiuntiva per Moody’s; ma anche perché la graduale manovra di alleggerimento da parte di molti istituti è già in atto, come abbiamo visto. Un modo sicuro per limitare l’impatto dell’effetto spread sul capitale di vigilanza: il famoso Cet1 che misura la solidità dell’istituto anche agli occhi della Bce. Ma è anche un modo per allentare un po’ il doppio filo che lega l’andamento delle azioni bancarie al destino ballerino dei titoli emessi dal Tesoro.