Libero, 18 maggio 2019
David Foster Wallace cinico veggente
David Foster Wallace oggi è un’icona pop perché in vita aveva l’aspetto di un grosso tennista biondo con la bandana, si vestiva a caso, ha scritto cose lunghissime e brevissime, tristissime e divertentissime, ed è morto come una rockstar, di depressione, impiccandosi, nel 2008. Ma la miscela di suggestioni che ha fatto di Wallace un’icona pop è esattamente, nei mezzi e nel risultato finale, il contrario di quello che lui avrebbe voluto. Perché Wallace è stato un pensatore raffinato e inattuale, dedito alla filosofia al pari della matematica, e in quanto pensatore, è stato un pensatore politico. D’altra parte, si è sempre premurato di definire soprattutto che cosa non era: non era uno scrittore postmoderno, non era un avanguardista, e non era pop. Wallace, in varie interviste, abbatte il cliché degli scrittori postmoderni, con una predilezione per i minimalisti, chiamandoli “giramanovella”: quelli che, avendo intuito che il vento, dopo Raymond Carver, aveva girato verso quella scrittura scarnificata, creavano opere in serie ricalcandone gli stilemi.
TANTI NARCISI
Degli avanguardisti, poi, pensava che fossero dei narcisi disinteressati al lettore: scrittori che fanno a gara sulla raffinatezza della scrittura, ma evitano di rivolgersi a qualcuno e di affrontare questioni rilevanti. Il pop, infine, è destinato a essere un’arte commerciale dal potere pericoloso. Wallace, da ragazzino, era stato dipendente dai programmi televisivi. Negli anni Novanta, poi, la televisione raggiunse un livello di sofisticazione ineffabile e incontrollabile, e aveva invaso tutto, politica inclusa. La sua sintesi fu: intrattenimento e dittatura. «Il vero intento della tv è di piacere, in quanto se ti piace quello che guardi non cambierai canale. A volte guardando le cose che scrivo mi sorprendo a inventare esercizi di acrobazia formale e mi accorgo che niente di tutto ciò è davvero al servizio della storia in sé; serve allo scopo ben più sinistro di comunicare al lettore: Ehi! Guardami! Guarda che bravo che sono! Voglio piacerti!». Ora, proviamo a mettere al posto della parola tivù la parola Facebook, o Instagram. Quanta differenza trovate? Ed ecco perché Wallace non è uno scrittore postmoderno: perché ha capito cose dell’umanità che non sono “post”, sono così contemporanee che, dopo vent’anni, si sono rivelate “pre”. Tutti questi temi sono uniformemente sparsi nelle opere di Wallace, da Considera l’aragosta al suo capolavoro Infinite Jest, fino al gustoso, umoristico e feroce Verso l’Occidente l’impero dirige il suo corso, ristampato poco tempo fa da Minimum Fax (237 pp., 16 euro), in cui sei personaggi intraprendono un viaggio durante il quale emergono le degenerazioni del moderno genere umano, dall’economia di scala alle nevrosi solipsistiche.
LUCIDO E SINCERO
Un’altra caratteristica di Wallace è la spietatezza della sua sincerità, cui non rinunciò neppure quando si trovò a parlare di politica. Nel 2000 Rolling Stone mandò lo scrittore al seguito della carovana elettorale di John McCain, candidato alle primarie repubblicane negli Stati Uniti. A Wallace McCain non piaceva, ma individuò in quell’uomo una doppia natura: per una, quella di reduce del Vietnam, portava rispetto, anzi ne subì il fascino; ma non poté evitare di sottolineare che di quell’uomo, in campagna elettorale, non restava che il “packaging”, la strategia manipolatoria del marketing politico. In quello scritto, più che in altri, Wallace ha mostrato di essere stato un maestro di giornalismo “gonzo”, quello stile pieno di inserti all’apparenza fuori contesto e di considerazioni personali inaugurato da Hunter Thompson. E ci sono passaggi, nel romanzo puro Infinte Jest che indicano quanto il confine fra la narrativa e il saggio fosse per lui sottile. E quanto ci possiamo specchiare anche noi, qui in Italia, oggi. Nel romanzo compare tale Johnny Gentle: aveva fondato il Partito Pulito degli Usa, «agnazione anulare apparentemente strana ma politicamente presciente tra gli estremisti dell’ultradestra e i sinistrorsi macrobiotici sgranocchiatori di cereali che vogliono Salvare-l’Ozono, le-Foreste-Pluviali, le-Balene, i-Gufi Macchiati-e-i Corsi-d’Acqua-ad-Alto-pH», e il cui primo cavallo di battaglia era stato “Spariamo Nello Spazio I Nostri Rifiuti”. Il partito era stato sbeffeggiato per alcuni anni, poi salì al potere «grazie allo spasmo reazionario di un elettorato incattivito»; e Johnny Gentle, neopresidente degli Usa, «promise di ripulire il governo e farlo dimagrire e spazzare via i rifiuti e lavare con gli idranti le nostre strade infestate di sostanze chimiche». Serve aggiungere una spiegazione? E tutto questo con una prosa costruita con intrecci di frasi che «sparano raggi di energia in sette direzioni diverse». Lo ha detto Don De Lillo, vorremmo averlo scritto noi.