Corriere della Sera, 18 maggio 2019
Intervista allo scrittore David Foenkinos
PARIGI «“Allô David, sono Milan”. E al telefono era Kundera, il mio eroe. Una delle tante cose straordinarie che mi sono capitate da quando sono scrittore. Una fortuna alla quale ancora non mi sono abituato», dice David Foenkinos, che a 44 anni ha già prodotto una trentina tra romanzi, racconti, pièce teatrali, film, ha venduto bestseller in tutto il mondo (un milione e 300 mila copie solo di La delicatezza ) ma sembra conservare una specie di ancestrale e fecondo senso di inadeguatezza: «Vengo da un ambiente modesto, non letterario, in casa non c’erano libri. Sono piuttosto lucido sui difetti dei miei romanzi, forse per questo cerco sempre di migliorare».
Sforzi che pagano perché dal primo libro del 2001 Inversion de l’idiotie: de l’influence de deux Polonais (inversione dell’idiozia: dell’influenza di due polacchi; Milan Kundera era uno dei personaggi), Foenkinos ha avuto sempre più successo fino alla consacrazione anche della critica con Charlotte, premio Renaudot 2014. In Italia è da poco uscito, per Solferino, Verso la bellezza: il professore d’arte Antoine Duris lascia insegnamento e affetti per farsi assumere dal Museo d’Orsay e rifugiarsi come guardiano nella sala che espone il ritratto di Jeanne Hébuterne, la musa di Modigliani.
È un romanzo sulla bellezza che salva?
«Sì, una storia molto personale perché a 16 anni mi sono ammalato gravemente, ho rischiato di morire e ho passato alcuni mesi in ospedale. È stato allora che ho cominciato a leggere, mi sono avvicinato per la prima volta a Lolita di Nabokov, Martin Eden di Jack London, ho letto Dostoevskij e Gombrowicz. L’avere sfiorato la morte ha tolto le catene alla sensibilità, sono diventato un’altra persona. La bellezza inaspettata della letteratura mi ha salvato, alla fine tutti i miei libri parlano di questo. Antoine Duris cerca rifugio in Modigliani, io l’ho trovato nella letteratura».
Com’è diventato scrittore?
«Dopo l’ospedale ho continuato a leggere e ho cominciato anche a scrivere, senza pensare a farne un mestiere. Poi ho mandato il mio primo manoscritto agli editori e quasi tutti lo hanno rifiutato. Tutti tranne uno, il più importante, Gallimard».
Il successo è arrivato subito?
«No, Gallimard aveva detto che il libro era un po’ squinternato ma intravedeva un potenziale e valeva la pena pubblicarlo, e quindi io ho continuato a scrivere. Per dieci anni i miei libri non mi davano da vivere e del resto lo trovavo normale. Ho fatto molti piccoli mestieri, davo lezioni di chitarra jazz. Mi ricordo molto bene il piccolo appartamento nel quale stavo con mio figlio, dormivo accanto al rumore del frigo ma andava bene così. Adesso sono invitato ovunque nel mondo, vado in Islanda e dopo mezza giornata mi presentano il presidente della Repubblica. Faccio un mestiere incredibile. Anche se negli anni Cinquanta o Sessanta in Francia essere un autore Gallimard era il segno della più grande riuscita sociale possibile mentre adesso essere uno scrittore è quasi una cosa di cui vergognarsi».
Uno dei primi romanzi a essere notato fu «Le Potentiel érotique de ma femme» (il potenziale erotico di mia moglie), che partiva da un particolare gesto dell’amata mentre lavava i vetri.
Ieri e oggi
«Dormivo accanto al frigo, ora mi invitano in tutto il mondo e mi presentano capi di Stato. Fare lo scrittore è incredibile»
«Sì, e mi arrivavano lettere di ragazze che si offrivano di venire a lavarmi i vetri di casa. Una volta ho detto che mi piacciono le donne che parlano tedesco, e la segreteria telefonica si è riempita di messaggi femminili in tedesco. Molto divertente».
«Verso la bellezza» è costruito come un giallo, il protagonista molla tutto ma il motivo è misterioso.
«Mi piaceva creare un po’ di suspense. Io scrivo con il lettore in testa, adoro che abbia voglia di voltare la pagina. Cerco di non ripetermi e di evitare di usare la stessa formula. Al di là del tema ricorrente dell’arte come rifugio, ogni volta la struttura cambia. Cerco di lavorare molto, poi pazienza se mi si ama o no».
Per la prima volta racconta anche una violenza sessuale. È un’influenza del movimento #MeToo?
«No per niente, quella scena l’ho scritta prima che scoppiasse lo scandalo Weinstein e partisse il movimento. Forse ho sentito l’aria del tempo ma non l’avrei mai usata consapevolmente, cerco di non navigare sull’onda del momento».
Che cosa pensa di quel movimento?
«Ha conseguenze anche sulla creazione artistica, adesso per esempio con mio fratello Stéphane stiamo girando una commedia sulle fantasie sessuali e non si può non essere influenzati da #MeToo. In generale penso che la rivolta delle donne sia un bene, la mia compagna mi racconta che andare in giro per Parigi prima era una sofferenza per via delle molestie. E poi c’è la questione insopportabile del senso di colpa rovesciato sulle vittime, un tema che per caso tocco anche nel mio romanzo».
Che cosa risponde quando, in giro per il mondo per le presentazioni, le chiedono della Francia?
«Cerco di rassicurare gli interlocutori che non tutta Parigi è stata distrutta, nonostante i gilet gialli. Poi provo una vera ammirazione per Macron, un presidente colto come lo era Mitterrand, a differenza di Hollande. Macron ha avuto un grande coraggio in campagna elettorale puntando tutto sull’europeismo. Però io mi sento più francese che europeo. Forse per via del rapporto speciale con la lingua. E io adoro la lingua francese».