Corriere della Sera, 18 maggio 2019
Le calciatrici del Vaticano
La prima partita si giocherà su un terreno che, almeno come panorama, fa sembrare il Bernabeu o Anfield dei campetti tristi di periferia. Dalla linea di centrocampo, sul colle Vaticano, lo sguardo spazia sulla Città Eterna, in primo piano la Cupola di Michelangelo. Può essere un modo per distrarre le avversarie, anche se contro la Roma non sarà affatto facile. Il debutto si avvicina, domenica 26 maggio in via Santa Maria Mediatrice, ma le ragazze della prima squadra femminile di calcio nella storia del Vaticano hanno altre priorità e risorse insospettabili.
La capitana, per dire: Eugenie Tcheugoue viene dal Camerun ed è la stella, «ho iniziato a giocare a calcio là, fino al liceo, ma non mi allenavo da un sacco di anni», ride. Di norma i centravanti tendono a praticare più i tatuaggi del greco antico ma lei, dopo la laurea in teologia nel suo Paese, è arrivata a Roma per studiare al pontificio Istituto biblico e ha conseguito la licenza in esegesi biblica con una tesi sulla Lettera ai romani.
Fa freddo, e a vederla infagottata nella tuta per l’allenamento serale non la si direbbe un’officiale del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, «lavoro nell’organizzazione delle visite ad limina dei vescovi del mondo», racconta. «L’idea è nata un anno fa, ci alleniamo da un paio di mesi. Ed è bello ritrovarsi a giocare, conoscersi, vedere a bordo campo mariti e bambini che sono i nostri primi tifosi». Per rafforzare il gruppo hanno attinto alle atlete del Bambin Gesù, come la signora bruna che palleggia nel riscaldamento, si chiama Anna Maria Musolino e spiega tranquilla: «Sono pediatra, lavoro al Pronto soccorso. Perché siamo qui? Ma per divertirci!». La sfida con la Roma appare proibitiva come l’esordio internazionale del 22 giugno, a Vienna. «Ma non importa, dovessimo anche perdere 30 a zero», ride Susan Volpini, «team manager» e fondatrice dell’«Associazione donne in Vaticano»: «In tre anni siamo arrivate a 100 iscritte, nostro assistente spirituale è padre Lombardi. La squadra è nata per giocare assieme, niente campionati, pensiamo di fare incontri di beneficenza».
Il richiamo è assicurato, la notizia sta facendo il giro del mondo. «Ci si stupisce come se in Vaticano non esistessimo, e invece per noi laiche si sta facendo molto, in questi anni», assicura Tcheugoue. «In questi giorni mi chiedono: ma giocano le suore?», ride Danilo Zennaro, responsabile dell’«Associazione sport in Vaticano» e selezionatore della squadra: «Guardi, ho cominciato a lavorare qui ventidue anni fa e da allora molto è cambiato. Pensavo lo si sapesse, e invece mi sono reso conto che non è così. Anche questo, del resto, è un modo per seguire gli insegnamenti di Papa Francesco, l’invito a dare sempre più spazio ai laici, alle donne. E i vertici ci hanno fatto i complimenti».
La rosa è formata al 60 per cento da dipendenti e per il resto da mogli o figlie di lavoratori vaticani. Per la Santa Sede lavorano più di quattromila persone e le donne sono 750. Così la squadra si chiama «rappresentativa dipendenti vaticane» e non è una nazionale perché non ci sono cittadine: Oltretevere la cittadinanza è provvisoria e riservata a 605 persone, per lo più cardinali, diplomatici e guardie svizzere con le famiglie. Così la selezione, allenata da Agostino Guadagnoli, è composta da italiane, salvo la capitana camerunense. In fondo l’unica «straniera», scherzano, è Ilaria Valentini, la sola a non avere legami Oltetrevere ma anche l’unica a cavarsela tra i pali, «abbiamo dovuto cercare il portiere all’estero».