Corriere della Sera, 18 maggio 2019
Il muro di Trump è ustionante
A Est di Nogales (Arizona) La barriera è color ruggine, fatta di una serie di pali attraverso i quali è possibile vedere dall’altra parte del confine, in Messico. La sommità è arrotondata, protetta da un reticolato installato di recente dai soldati mobilitati da un ordine presidenziale. Il muro scende poi verso il letto secco del fiume Santa Rita e si interrompe, sostituito per alcune centinaia di metri da ostacoli in metallo buoni per bloccare veicoli ma non le persone. Un varco obbligato per far passare l’acqua nei tempi di piena. Ora attorno a questo «buco» fatica, sotto un sole che scioglie, un nugolo di operai. Sulle colline vegliano gli agenti della Border Patrol, a cavallo, a bordo di mezzi irti di antenne telescopiche. Non pochi gli ispanici che danno la caccia ad altri ispanici. Se Donald Trump si spingesse fin qui, nel sud dell’Arizona, vicino al Ranch Buena Vista, esploderebbe per la rabbia. Nulla corrisponde ai suoi desideri.
Il terreno, la realtà e un mare di problemi rendono la storia del «meraviglioso muro» molto complessa. Un articolo del Washington Post ha raccontato come il presidente continui a martellare consiglieri, genieri, esperti su come debba essere il bastione. Arriva ai minimi dettagli, al punto che gli assistenti sono diventati bravissimi nel fare disegni per raccogliere i suggerimenti, dettati ad ogni ora del giorno, con convocazioni improvvise.
Trump ha chiesto che la palizzata sia compatta e nera in modo da assorbire il calore e renderla una superficie rovente: così chi tenta di scavalcarla si scotta. Un deterrente che si aggiunge al rischio di cadute. In cima vuole degli spuntoni acuminati, per ferire, lacerare. L’altezza non deve essere inferiore ai 9 metri. E poi basta cancelli per favorire passaggi di servizio. Sono troppi.
Ma di nuovo la Natura si mette di traverso. Così, in questo settore, la barriera si insinua verso est come un serpente rossastro per poi arrestarsi ai piedi di una montagna. Un taglio netto. Impossibile costruirne una che accompagni il profilo montuoso. E dunque è facile aggirarla. Lo fanno i clandestini, i trafficanti e gli ultimi giaguari del Sud dell’Arizona, creature bellissime in via d’estinzione che cercano di salvare il loro regno di caccia.
È la prova di come le strategie sono messe in discussione dai fatti. Inizialmente il presidente voleva una struttura di circa 1.600 chilometri, poi di 880, domani magari meno. Per ragioni di budget. Il piano originario prevedeva una spesa oscillante tra i 12 e i 20 miliardi di dollari. Che non ci sono. Infatti la Casa Bianca ne ha racimolati circa 5, compresa una fetta distolta dal bilancio del Pentagono. E con i soldi tapperà alcuni «gap»come questo di Buena Vista, rimpiazzerà alcune palizzate erette dagli altri presidenti – Obama ne ha aggiunti 209 km —, potenzierà la recinzione digitale con apparati in grado di sentire/vedere chi entra illegalmente negli Usa. Tanti.
I numeri raccontano che da ottobre a marzo nel Sud-Ovest ci sono stati 361.087 arresti, di cui 35.898 minori non accompagnati e 189 mila nuclei familiari. Pochi i messicani, la maggioranza arriva da Salvador, Honduras, Guatemala. Trump li vuole fermare ad ogni costo creando un imbuto legale e un muro psicologico. Però è di nuovo il campo a dettare le regole. I coyotes, così si chiamano i criminali, sfruttano il momento: se nel 2010 chi voleva entrare pagava tra i 1.500 e i 4 mila dollari, oggi sborsa il doppio o il triplo. Quanto alla droga solo una parte marcia con gli spalloni nel deserto, i banditi di solito usano i punti di transito regolari, nascondendo il loro veleno nei veicoli. Coca, eroina e il micidiale fentanyl.
Una sfida per rammentare chi detta le regole e può insegnare al Diavolo.