la Repubblica, 18 maggio 2019
Eva Longoria, la primadonna a Cannes
Quindici registe nella selezione ufficiale, cinque in concorso tra cui, per la prima volta in 72 edizioni, una cineasta africana: Mati Diop, che ieri ha presentato Atlantique, storia d’amore e immigrazione ambientata in Nigeria. Nella sezione Quinzaine sono arrivate le fate colorate di Luca Guadagnino, protagoniste del mediometraggio The staggering girl ispirato alle creazioni di moda di Pierpaolo Piccioli. Alba Rohrwacher, Mia Goth, Julianne Moore, il cui primo gesto di ribellione è legato a un vestito: «Avevo 17 anni, volevo un abito nero, mia madre me lo negava, lo giudicava un colore troppo sofisticato», racconta, «la sfidai, comprandolo con i soldi guadagnati da cassiera». Glamour e impegno anche per la casalinga disperata Eva Longoria, da tempo attivista per i diritti delle donne che si prepara con il movimento Time’s up (di cui è una delle fondatrici) a lottare alle elezioni Usa del 2020. «Ci batteremo indicando i politici che sono contro le battaglie femminili», ha detto durante l’incontro alla Kering Foundation, l’organizzazione che sostiene le lavoratrici dell’audiovisivo. «La legge contro l’aborto in Alabama è folle, arcaica, non progressista, può avere un effetto domino di intolleranza a livello mondiale». Quarantaquattro anni, un figlio di undici mesi al seguito («diventare madre ha reso ancora più urgente la mia volontà di aggiustare il mondo»), non si è fatta fermare neanche da un’infiammazione all’appendice: i giornali francesi hanno svelato un ricovero lampo nei giorni scorsi, il pubblico l’ha vista impeccabile sul tappeto rosso. Un fiore d’acciaio: «Ho fatto la mia gavetta. Facevo la comparsa nelle serie, mi assicuravo i pasti e qualche volta mi mettevo in borsa una banana». Poi sono arrivate le Desperate Housewives, la serie Casalinghe disperate : «Dieci anni magici, tornerei su quel set ora. Ma perfino quando uno show di successo mondiale e ci accoglievano nel mondo come fossimo gli U2, non avevo il controllo sul lavoro, non riuscivo ad esprimere il mio potenziale. Ho iniziato a studiare gli altri mestieri sul set, i registi, l’economia». Da produttrice è un riferimento per le altre donne. «Time’s up, il movimento in difesa delle vittime di molestie sessuali, chiedeva di raggiungere 50 e 50, la parità con gli uomini. Le cose vanno peggio. Gli studios sono in mano agli uomini, Hollywood è patriarcale. Chiedo un direttore della fotografia e mi presentano quattro uomini. Le professionalità femminili ci sono, bisogna dare loro occasioni. Così come agli afroamericani, agli ispanici. Se una regista sbaglia è finita, se sbaglia un uomo gli affidano un blockbuster». Da dodici anni Longoria è anche regista: produce, dirige e recita nella serie Grand Hotel, su ABC tra un mese. «Otto registi su dodici episodi sono donne: non dico che la prospettiva sia migliore, ma diversa». Non si salvano i critici: «Brie Larson ha girato il bel Unicorn store su una storia femminile. Un critico scrive “non l’ho capito”. Quindi lo stronca, e gli altri dietro. Ci vogliono più donne a firmare recensioni».