In Italia Ynap dà lavoro a 2000 persone, ma se continuate a inventare robot, non ci saranno più i suoi 600 addetti alla logistica…
«Non in quest’azienda. Da quando vent’anni fa ho iniziato a immaginare Ynap ho sempre abbracciato la filosofia che uomo e macchina dovessero poter lavorare assieme e aiutarsi a vicenda. Lo stesso nome Yoox deriva dai geni yx che abbracciano lo 00 dei codici Internet. La mia idea di imprenditore si è tradotta in quest’azienda, dove i lavori noiosi e ripetitivi li fanno le macchine e quelli creativi gli umani. Continuiamo a investire sulla ricerca e sulla formazione di talenti, e ad affinare la tecnologia per offrire il miglior servizio possibile ai clienti».
Come la nuova linea "8by Yoox" che analizzando le ricerche dei clienti, anticipa cosa vogliono comprare i clienti...
«Sì, ma anche qui uomo e intelligenza artificiale vanno a braccetto: partendo dall’analisi delle ricerche dei clienti, grazie a un algoritmo proprietario, soddisfiamo le loro necessità e i loro gusti. E ancora una volta il successo di "8 by Yoox"va oltre le mie previsioni».
Ma se l’intelligenza artificiale è così capace, non c’è il rischio che sostituisca tutti, lei compreso?
«Magari! Scherzi a parte, il rischio che in futuro l’intelligenza artificiale superi quella umana esiste, ma debbono essere gli imprenditori a fare in modo che questo non succeda dosando etica e innovazione».
Da imprenditore del lusso, come si pone nei confronti della sostenibilità ambientale?
«La sostenibilità è un’altra filosofia, come il rapporto tra uomo e macchina, in cui siamo stati antesignani: dal 2009 tutto il cartone delle nostre s catole proviene da materiale riciclato, l’energia da fonti rinnovabili, la flotta aziendale che consegna i capi Net-a-Porter è di auto elettriche o ibride. Certo costa di più, ma i nostri clienti pretendono di più e ci rispettano per questo. Anche la linea Yooxygen, tessuti e processi attenti all’ambiente, ci costa di più ma cresce più delle altre collezioni».
In questo Paese mancano i posti di lavoro. Ci vorrebbe un quadro legislativo che li tuteli di più?
«Prima di tutto dobbiamo investire sulle nostre ricchezze, che sono i talenti. L’Italia è piena di talenti e di giovani capaci. Ci sono tantissimi ragazzi geniali che però spesso vanno via perché qui non riescono a esprimersi. Ynap è metà italiana e metà inglese e se noi abbiamo persone di grandissima qualità, dall’Inghilterra abbiamo molto da imparare quanto a marketing e organizzazione del lavoro. Tuttavia, se uno come me che non era nessuno in vent’anni ha creato un unicorno della tecnologia partendo dall’Italia e restandovi fortemente radicato, lo possono fare tutti. Invece che lamentarsi gli italiani dovrebbero avere coraggio: ci vuole una visione chiara che va perseguita con determinazione».
Quindi la sua ricetta per l’Italia è investire in formazione?
«Io partirei da lì. Noi nel nostro piccolo lo facciamo: a Bologna tramite la fondazione Golinelli e a Londra insieme all’Imperial College nel 2018 abbiamo fatto formazione digitale a 3.400 ragazze e ragazzi. Bisogna creare le conoscenze e le capacità nei settori che servono, dove noi italiani siamo forti, come il lusso, o dove ci sono nuove opportunità: il digitale non ha disoccupazione, anzi non c’è abbastanza offerta di lavoro».
Che consigli dà a chi vuole fare impresa?
«Il primo è quello di avere fiducia, perché io sono la dimostrazione che le cose si possono fare anche in Italia. Poi bisogna circondarsi di gente per bene, la squadra è fondamentale per realizzare un progetto di lungo termine. Infine, un imprenditore italiano deve creare dall’inizio un’azienda aperta e internazionale.
Se quando tra l’equinozio di primavera e il solstizio d’estate del 2000, non avessi assunto ragazzi con una grande sensibilità e una forte etica pensando a un’azienda internazionale, forse oggi Yoox non ci sarebbe più. Eravamo in piena transizione verso l’euro, crollavano le dot.com, abbiamo lavorato notte e giorno per tre mesi ma ce l’abbiamo fatta: il primo ordine era dall’Olanda, un vestito di Versace da 88 mila lire».
Come è cambiata Ynap da quando è parte di Richemont?
«È cambiata in meglio perché grazie a Richemont abbiamo imparato a fare un altro mestiere: vendere online gioielli e orologi di altissima gamma. Richemont è il partner perfetto per Ynap: ci garantisce spalle solide per fare investimenti di lungo termine e ha rispettato in toto la nostra indipendenza, tant’è che nessun cliente si è sentito minacciato o ha o ha manifestato la volontà di andarsene per questo.
Anzi abbiamo stretto nuovi legami sperimentando il vero omnichannel con il servizio offerto a Valentino.
Inoltre essendo nati internazionali non è stato un problema né gemellarci con il colosso anglosassone Net-a-Porter prima, né con Richemont poi».
Lei ha avuto azionisti come Renzo Rosso o clienti come Armani. Perché ha affidato la sua creatura al sudafricano Johann Rupert ?
«Perché è un grande visionario: ha costruito da zero un colosso del lusso e ha capito che investire nelle nostre radici e lasciare l’azienda indipendente era un valore. Sono partito con il 100% e sono finito con il 4%: non ho mai pensato che il controllo fosse importante, ho sempre ritenuto che la cosa fondamentale fosse far crescere l’azienda, restare fedele al sogno iniziale e nel cammino riuscire a far sognare anche tutti gli altri insieme a me, dai collaboratori ai clienti, dai marchi del lusso agli azionisti».