il venerdì, 17 maggio 2019
Il giallo del commissario
Il commissario Maigret
Di Marco Cicala
Losanna. Stando al suo inventore, il personaggio di Jules Maigret nacque tramite folgorazione in un momento di grazia etilica. Settembre 1929, novent’anni fa: con la prima moglie Régine, detta Tigy, Simenon è bloccato nel porticciolo olandese di Delfzijil. L’Ostrogoth, il cutter che lo scrittore si è fatto costruire nei cantieri normanni di Fécamp e che è diventato il suo domicilio nomade, è in panne.
Nello scafo si è aperta una fenditura e bisoga ricatramarlo. Durante le riparazioni Georges termina un romanzo – a 26 anni, sotto 17 pseudonimi, ne ha già sfornati circa 120 – e medita sul prossimo. Una mattina di sole se ne va a riflettere in un caffè, Le Pavillon. Salvo il padrone, che sta lucidando i tavolini di legno con olio di semi di lino, il locale è deserto. Quadro ideale per un’epifania. «Può darsi che avessi bevuto un paio, forse anche tre bicchierini di gin con una goccia di bitter» avrebbe raccontato più tardi Simenon, «ad ogni modo, dopo un’oretta, fui colto da una certa sonnolenza e comincia a distinguere la massa possente eimpassabile di un uomo che sarebbe potuto essere un buon commissario». Via via, quella silhouette immaginaria si precisa con ulteriori dettagli: una pipa, una bombetta, un cappotto nero dal collo di velluto e una stufa di ghisa. Accessori, questi ultimi, che Simenon aggiunge perché nel frattempo ha cominciato a sentirsi infreddolito. Dato che la sua imbarcazione è inagibile, s’ìè trascinato la macchina da scrivere dentro una vecchia chiatta dismessa e semiallagata. Su una cassa ha sistemato la machine, una seconda cassa gli serve da sgabello, su altre due poggia i piedi per non bagnarseli. Al solito, picchia sui tasti con in un nubifragio, novanta parole al minuto. Et voila: «Il giorno dopo era pronto il primo capito di Pietr il Lettone», ossia il giallo d’esordio di Maigret.
Ora, questa ricostruzione assai suggestiva è, se non falsa, quantomeno imprecisa. Documenti alla mano, i filologi hanno dimostrato che Simenon ricordava male, e che quello scritto in ammollo non era il primo dei Maigret – concepito medi sopo a Parigi – bensì uno dei libri immediatamente precedenti che furono il brodo primordiale da cui sarebbe emerso il Commissario come lo conosciamo. Più che da un’illuminazione, il personaggio scaturì da un tortuoso processo di gestazione. Nella fiumana di romanzi popolari – sentimentali, erotici, d’avventura – firmati dal giovane Simenon con noms de plumes, sono stati individuati 18 detective, alcuni dei quali hanno qualcosa del futuro Maigret («faccia da contadinotto», «braccia ciondolanti», «aria goffamente ingenua, ma ostinata»); quattro degli investigatori si chiamano addirittura come lui però, nel novero, sono curiosamente quelli che gli somigliano di meno.
«Forse mio padre condondeva i titoli. Ma io credo che in quella storia del porto olandese ci fosse del vero. Simenon qualche volta esagerava, però non affabulava mai del tutto. Non fabbricava fake news» sorride il figlio John sulla terra del Beau Rivage, l’hotellone di Losanna dove “Sim” soggiornò per qualche mese poco prima di morire, il 4 settembre di trent’anni fa. Ne erano trascorsi sessanta dalla presunta genesi del personaggio che fece di lui l’autore-monstre da mezzo miliardo di lettori nel mondo. Centonovantadue romanzi a proprio nome, più centinaia di racconti e articoli: ma John – che ne cura i diritti, oggi gestiti da una società con sede a Londra – lo ha letto tutto Simenon? «No, sono a due terzi. Vado avanti». Perché Maigret continua a mietere fan e resta il poliziotto più imitato dai giallisti? «Per via della sua umanità di antieroe, penso. Non è bello né sportivo né particolarmente intelligente. Le sue prime infagini sono pretesti per scavare negli uomini, in seguito Simenon si serve di lui per analizzare se stesso. Nell’arco della serie, vediamo Maigret cambiare. Acquista maggior spessore umano, profondità psicologica». Negli ultimi tempi, da Sherlock Holmes a Philip Marlowe, molti big del giallo sono stati clonati, riportati artificialmente in vita per abonivelo sequel. Anche dal Commissario dobbiamo aspettarci resurrezioni in vitro? «Non credo proprio. In compenso Maigret tornerà presto al cinema. Stavolta interpretato da Daniel Auteuil. Regia di Patrice Leconte, che adatterà il romanzo Maigret e la giovane morta». Tra i migliori della saga, anno 1954.
Hanno scritto che, per una specie di “incestuoso” paradosso, Maigret fu insieme il figlio e il padre di Simenon. Senza di lui, il ragazzotto di Liegi che sua madre avrebbe voluto pasticciere, sarebbe forse rimasto un prolifico Carneade da collane Delly, e mai avrebbe spiccato il salto verso i cosidetti “romanzi duri” o “romanzi-romanzi”, cioè i non-Mairet, che ormai sono amati quanto i gialli, se non di più. Soprattutto in Italia, primo mercato simenoniano al mondo, dove la popolarità di GS ha però conosciuto diversemetaorfosi. Negli anni 30,i Maigret vengono subito tradotti da Mondadori ottenendo pari successo che in Francia. Ma non è ancora niente in confronto al boom dei decenni 60/70, quando gli sceneggiati tv con Gino Cervi – sanguigno Maigret alla bolognese – riportano le vendite dei libri dal trotto al galoppo. Alzo la mano chi, bambino o adolescente nei Sixties, non abbia adocchiato in casa almeno uno di quei tascabili con le copertine illustrate dal formidabile Ferenc Pintér.
Arriviamo agli anni 80. La Mondadori sembra ormai un po’ stanca di Simenon. E così, approfittando del colpo di sonno, l’Adelphi di Roberto Calasso glielo soffia. Nell’85 esce Lettera a mia madre, seguito da Le finestre di fronte. E nel ’93, con Pietr il Lettone, ripartono, in una nuova traduzione, le inchieste di Maigret. Sono i romanzi “seri” a rilanciare i gialli del commissario. «Mondadori fu uno dei primi grandi editori europei di Simenon. Ma, al momento in cui abbiamo cominciato noi a pubblicarlo, in circolazione si trovavano solo alcuni Maigret, in vecchie traduzioni, e nessuno dei non-Maigret» ricorda Calasso. «La nuova passione per i Maigret è apparsa sulla scia dello straordinario successo dei non-Maigret, che non erano necessariamente romanzi polizieschi. È un fenomeno unico, perché dovunque è successo il contrario. Globalmente, i libri di Simenon si vendono oggi più in Italia che persino in Francia», In totale, da Adelphi, ne sono andate via 7 milioni di copie. «Ciò che ha cambiato la prospettiva su Simenon» spiega Calasso, «è il fatto che, sin dall’inizio, e partendo dai romans durs, lo abbiamo presentato come uni dei più grandi scrittori del Novecento. Senza bisogno di giustificazioni, commenti, come se fosse un fatto evidente. E i lettori ci hanno seguito».
Quando negli anni 30 Simenon si affaccia ai gialli non ne sa granché, ma annusa che Maigret funzionerà. Perché, sebbene capace di sovrumane intuizioni, è un tipo qualunque nel quale il lettore qualunque puà ritrovarsi. E perché è un commissario. Fino ad allora, nei gialli francesi, a farla da protagonisti erano stati il criminale inafferrabile, il giornalista intrepido o il detective dilettante. Antipatico, un po’ allocco, il poliziotto ne usciva sempre coglionato. Con Maigret troverà la sua revanche. Per la nuova serie, a cui inizialmente aveva creduto pochissimo, il vecchi bucaniere dell’editoria Arthèn Fayard architetta un battab coi controfiocchi. La prima raffica di Maigret – 19 romanzi, squaderna l’ortodossia del poliziesco anche nella confezione e nel marketing. Sulle copertine ci sono accativanti foto in bianco e nero, alcune scattate da un ancora sconosciuto Robert Doisneau. E per il lancio della collana si organizza a Montparnasse un delirante party in costume battezzato Il ballo antropometrico. Ai 400 invitati – che si presentano travestiti da malavitosi, sbirri o cocotte – vengono prese per gioco le impronte digitali. Oddio che ridere. Sono le ultime braci degli anni folli che il crack del ’29 spegne per sempre.
Le inchieste di Maigret sbancano, ma qualcuno alza il sopracciglio. Per i malevoli Simenon non è che un arrivista di talento: «Vuole la celebrità a ogni costo» commenta velenoso Le Canard enchaîné. «Presto lo vedremo camminare sulle mani intorno alla basca delle Tuileries scrivendo contemporaneamente un romanzo». È ancora fresca la favole del giovane Simenon fenomeno da baraccone che per autopromuoversi batte a macchina un libro in tre giorni e tre notti dentro una gabbia di vetro appesa davanti al Moulin Rouge. Quella progettata performance pubblicitaria non ebbe mai luogo – il giornale che doveva finanziarla fallì poco prima – ma rimane una leggenda incrostata al mito simenoaniano. Se la bevvero persino due sopraggini estimatori di “Sim” quali Alberto Savinio e Leonardo Sciascia.
Al principio, GS considerà i Maigret una semplice tappa intermedia tra i libri di cassetta da cui si andava emancipando e i veri romanzi per i quali non si sentiva ancora pronto. Passato alle blasonate edizioni Gallimard con più elevate ambizioni autoriali, disse addio al Commissario ma poi fece retromarcia: nessun “roman-roman” gli avrebbe mai fruttato quanto uno di quei gialli. Che formeranno una Comédie humaine in versione poliziesca. Tra i 75 romanzi – più 28 racconti – di Maigret non ce n’è uno brutto. E almeno una ventina sono dei capolavori. Specie quelli scritti negli Usa e pubblicati da Presses de la Cité, il marchio con cui Simenon “tradì” Gallimard.
In fracese, “maigret” sta per “magrolino”, però il Commissario lo vediamo snello solo a inizio carriera. Pare che GS avesse scippato quel cognome a un medico suo vicino di casa quando a Parigi abitava in Place des Vosges. Le Commissaire viene dalla Francia rurale ed entra in polizia piuttosto casualmente mentre sta cercando lavoro nella capitale, solo un attimo prima di accettare un impiego in un negozio di passamanerie. Fa la gavetta come agente-ciclista, poi affetto alla sorveglianza di stazioni, grandi magazzini, alberghi; transita brevemente dalla Buoncostume e nel 1913 è promosso assistente commissario. Nel frattempo ha sposato una graziaso alsaziana di nome Louise che diverrà la sua inseparabile vestale. Molte di queste informazioni ci vengono dalle Memorie di Maigret, libro nel quale, con trovata degna di Cervantes o Pirandello, il personaggio dialoga col suo autore. Ma nessuna delle notizie fornite su di lui ci permette di organizzare la biografia del Commissario secondo una cronologia coerente. In un giallo monsieur Jules ha 40 anni, nel successivo è pensionato, ma poi rieccolo in ufficio… E così via altalenando.
Quando, agli sgoccioli della Belle Epoque, Maigret approda al 36 Quai des Orfèvres, nel tempio della Polizia Giudiziaria si aggirano mitiche, benché realmente esistite, figure di poliziotti che si chiamano Xavier Guichard, Marcel Guillaume o, più tardi, Georges Massu. Diverranno tutti aficionados di Simenon, ma siccome nei metodi di Maifret hanno rilevato parecchi strafalcioni, inviteranno il romanziere in Questura per imparare dagli sbirri veri. «Quei commissari» precisa John Simenon «non furono i modelli di Maigret, come spesso si ripete. Però dopo i sopralluoghi al Quai, mio padre ne trasferì nei libri atteggiamenti e tecniche». Tecniche tipo i torrenziali interrogatori “à la chansonette”, così chiamati perché per 24/28 ore i flics torchiavano i sospettati rivolgendo loro sempre le stesse domande, come il ritornello di una canzoncina.
I grandi dossier criminali dell’epoca portano i nomi dell’anarchivo Bonnot, del serial killer Landru, dell’avvalenatrice Violette Nozière o del faccendiere Stavisky che con la sua rete di corruzione fece tremare i poteri della Terza Repubblica. Ma di quelle causes célèbres nei Maigret non c’è quasi riflesso. Tranne sparute allusioni, l’attualità e la Storia nella saga sono assenti. Per Simenon la grande Storia è un incubo. Meglio girare alla larga. A lui interessano solo le micro-storie, grovigli già abbastanza infernali di sesso, denaro, ambizione, miniserie e traumi assortiti. «Non si vive la Storia» disse una volta “Sim”. «Si vive la propria piccola vita, la vita di un gruppo, di un istante dell’umanità».
Al caos del mondo, Maigret non oppone l’ordine di cui è rappresentante ma nel quale crede poco, all’assurdo risponde soltanto con un0’imano compassione e con le proprie inalterabili abitudini piccolo-borghesi: il cinemino, il pranzetto, la vacanzetta… Nemmeno sulla raison Maigret fa troppo affidamento. In barba a ogni logica, risolve i casi immedesimandosi con una sorta di fede animistica negli ambienti, nelle famose “atmosfere” (termine che Simenon detestava). «Io non penso» ripete sempre il Commissario. E nella patria del Cogito, la frase risuona come uno strano monito. «Maigret è un piccolo borghese di origini contadine. Forse anche per questo nell’Italia in mutazione degli anni 60, tanti lettori si rispecchiarono in lui” nota Maurizio Testa. Giornalista e scrittore, anima il blog simenon-simenon.com, il più ricco della rete. «Come tutti gli eroi, Maigret rassicura perché è immune allo scorrere del tempo. Non resta eternamente giovane, ma eternamente di mezza età, una solida mezza età. E poi conforta perché è indulgente». Non giudica, vuole soltanto comprendere. È una forma evangelica di perdono? Chissà».
Anni fa, John Simenon mi raccontà che uno dei motti ricorrenti di suo padre era: «Responsabili di tutto, colpevoli di niente». Per “Sim” – che col senso di colpa coabitò sino alla fine – l’uomo è incolpevole perché non è all’altezza della colpa, non è un eroe tragico: è un povero disgraziato. Maigret – che si trova sempre a sciogliere “delitti mediocri” – sarebbe dello stesso avviso. «Tra i due c’era ampia convergenza di vedute» conferma John. Ma a parte questo, e le pipe e i cappelli di feltro, fino a che punto autore e personaggio si assimigliavano? Tormentano, frenetico, sottaniere indefesso, Simenon pare la perfetta antitesi del parco Maigrey. Però negli anni del crepuscolo sembrava come ricalcarne la figura. I drammi familiari – il suicidio della figlia Marie-Jo, il crollo psichico della seconda moglie Denyse – avevano fatto di lui un uomo sempre più laconico, solitario, frugale. Con l’ultimo Maigret, del ‘72, si era congedato definitivamente dalla fiction. Dopo, avrebbe pubblicato soltanto testi autobiografici o di riflessione esistenziale. «Come il Commissario» dice John, «anche lui avrebbe voluto essere un “aggiustatore di destini”, uno che salva gli altri dall’infelicità. Ma ormai si rendeva conto di non esserci riuscito nemmeno con i propri cari».
A Losanna andò a ritirarsi in una casetta rosa. Dormica su una specie di divano letto. Riduceva ormai i piaceri della vita all’«annusare una tazza di caffè la mattina» o «camminare per strada con un po’ di sole e riflessi di platano, ombre di platano sul marciapiede». Nel cinquantesimo anniversario di Maigret, nel 1979, aveva scritto al Commissario una lettera nella quale, da pensionato a pensionato, gli augurava le stesse piccole gioie: «Respirare l’aria fresca del primo mattino, osservare con curiosità la natura e le creature intorno a noi». Questo sperava l’uomo che non era diventato pasticciere per l’amico che non era diventato commesso in un negozio di passamanerie.
BOX – E ORA (VIA MARE) ARRIVANO IN ITALIA I SUOI REPORTAGE
Il Mediterraneo è… Georges Simenon si dice in «seria difficoltà» nel definire il mare che ha attraversato per sei mesi in barca. Ma l’incertezza, o forse il vezzo, svanisce subito. Il Mediterraneo sono tutte le imbarcazioni malanda al largo delle coste greche, con i loro equipaggi sordidi ed eroici, scrive. Sono i mercanti ebrei e armeni che hanno bottega un po’ ovunque, a Tangeri, a Messina, a Corinto, ad Alessandria. Sono i turisti sballottati da un monumento all’altro. È la gente che muore di fame alle pendici del Partenone e gli imbecilli che si suicidano a Montecarlo. È queste e tante altre cose. E questo e molto altro è il Simenon, il meno noto, dei reportage. Ha sempre amato scriverli, fin da quando giovanissimo lavorava alla Gzette de Liège. Tanto che era inviato ad Anversa quando, nel 1921, gli arrivò la notizia della morte del padre. Tanto che, squattrinato a Parigi, si era regalato un Grand Larousse da leggere per raccontare Paesi dove non poteva andare. Ora Adelphi con Il Mediterraneo in barca (pp. 190, euro 16, traduzione di Giuseppe Grimonti Greco e Laria Laura Vanorio, in uscita a giugno), raccolta di articoli del 1934, inizia la pubblicazione di una scelta dei reportage di Simenon. Comprenderanno il grande Nord, l’Europa centrale, la Russia, gli Usa, l’Africa, la Francia dei canali… In questo primo libro, lo scrittore ammette di essersi permesso di filosofeggiare e promette che non la farà più, «perché il mio mestiere, come diceva Stevenson, è quello di “raccontare di storie”».