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 2019  maggio 17 Venerdì calendario

Storia della matematica in un romanzo

Anche quelli che al liceo erano i più somari in matematica, ammetteranno che senza di essa staremmo ancora a scaldarci al fuoco di un bivacco coperti di pelli temendo l’agguato di qualche tribù rivale. Come fare per capirci qualcosa dell’astrusa scienza dei numeri, base della più grande rivoluzione della nostra civiltà, quella scientifica? Si può leggere il bellissimo Il grande romanzo della matematica. Dalla preistoria ai giorni nostri del giovane e brillante matematico francese Mickaël Launay (La nave di Teseo, 20 euro, 334 pagg.). Launay racconta con stile semplicissimo i primi vagiti della matematica e, numero dopo numero, scoperta dopo scoperta, arriva a riepilogare la magnificamente complessa teoria che abbiamo oggi. Ma poiché abbiamo detto che questo libro è particolarmente indicato per i novellini, è bello seguire Launay nel suo ripartire dalle basi, addirittura dal paleolitico, un milione e mezzo di anni fa, quando non era ancora apparso homo sapiens, ma in Asia c’era homo erectus e in Africa homo ergaster. Questi nostri avi, per quanto primitivi, avevano già alcune cognizioni matematiche. Ad esempio per ottenere il bifacciale, il tipico utensile “multiuso” di pietra di quell’epoca, con la sua caratteristica forma a goccia appuntita, che poteva servire per tagliare il legno, fare a pezzetti la carne, praticare buchi nelle pelli o scavare la terra, quei nostri antenati avevano il concetto della simmetria. Così lavoravano le loro selci finché da tutti i lati non gli sembrasse uguale. Una simmetria ancora più complessa emerge molto dopo, a seguito della cosiddetta rivoluzione neolitica, con la civiltà mesopotamica dell’VIII millennio a.C. La troviamo nei fregi delle terrecotte. Se andiamo in un importante museo archeologico del Vicino Oriente, vedremo i reperti, spesso frammentari, di vasi, anfore, tazze, bicchieri, coppe e piatti ornati da questi fregi con motivi geometrici. Motivi che, spesso, ruotati di mezzo giro, oppure traslati in vari modi, risultano invariati. Questo effetto in matematica è spiegato dalla teoria dei gruppi di trasformazione geometrica. 

I MESOPOTAMICI
Naturalmente i mesopotamici non conoscevano i teoremi di trasformazione (che saranno elaborati solo nel Rinascimento) eppure, intuitivamente, li applicavano quando decoravano le loro ceramiche. Il loro cervello, insomma, era matematico prima ancora che esistesse una matura formalizzazione della matematica. La stessa disposizione innata alla matematica si ritrova anche nel primo centro urbano della storia, Uruk, fiorito in Bassa Mesopotamia alla fine del IV millennio a.C. Quando d’estate le greggi venivano condotte dai pastori ai pascoli più freschi del Nord, i proprietari delle pecore volevano assicurarsi che, al ritorno, non ne mancasse nemmeno una. Come fare? Non esisteva scrittura né tantomeno il numero. Si ricorreva allora a gettoni di argilla. Se ne introducevano tanti quanti erano le pecore (o gli altri animali: per ogni bestia c’era un gettone corrispondente) in una boccia di argilla cava chiusa ermeticamente. Al ritorno dei pastori, la boccia veniva rotta e si confrontava il numero di capi di bestiame con i gettoni, e il conto doveva tornare. Ma rimaneva il problema che i proprietari dei greggi volevano conoscere in tempo reale il numero dei loro animali, e la lingua sumerica non aveva parole per indicare numeri così grandi. Come fare per tenerlo a mente? «Con uno stelo di canna reciso, si disegnano sulla superficie di ciascuna bulla (ossia i contenitori) i gettoni che si trovano al suo interno. Per cui diventa possibile verificare a piacere il contenuto dell’involucro senza doverlo rompere». Il prossimo passo è il colpo di genio con cui nasce la scrittura: «Visto che il numero degli animali viene trascritto sulla superficie della bulla, che senso ha continuare a riporvi i gettoni dentro? E che senso ha continuare a fabbricare bullae? Non si potrebbe semplicemente disegnare l’immagine dei nostri gettoni su un qualunque pezzo di argilla? Per esempio su una tavoletta piatta?». La successiva innovazione, al principio del terzo millennio a.C., sarà altrettanto epocale, perché nasce il numero: invece di disegnare un’immagine che ricalca il gettone specifico di un certo animale, si userà una piccola serie di segni (le cifre) che varranno per tutti i tipi di gettoni: «per contare otto pecore, non s’impiegano più otto simboli indicanti la pecora. Si scrive la cifra otto, seguita dal simbolo della pecora.» Il romanzo della matematica prosegue con le varie tecniche di numerazione, dai “chiodi” e i “cunei” dei babilonesi fino alla numerazione posizionale basata sul sistema decimale elaborata in India, e trasmessa in occidente dagli Arabi, che ci ha consegnato i nostri familiari, temibili (si pensi alla triscaidecafobia, la paura del 13, rinvenibile in varie culture) potentissimi numeri.