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 2019  maggio 17 Venerdì calendario

Addio al padre della Piramide del Louvre

«Le scrivo a nome di Mr Pei. Mi spiace moltissimo, ma l’architetto da almeno quattro anni non concede più interviste, né di persona né tantomeno via email. Tutto quello che continua a apparire sui giornali è cosa vecchia». Era il 24 settembre 2013 e la risposta, gentilmente piccata, della storica assistente Nancy Robinson non ammetteva repliche e, allo stesso tempo, confermava le voci sulla salute malferma di uno dei grandi padri dell’architettura moderna, Ieoh Ming Pei, scomparso ieri a 102 anni, dopo un lungo ritiro, più o meno volontario, per motivi di salute e di contrasti con i (due) figli a cui era andata la gestione dello studio. Cinese naturalizzato americano (era nato a Canton il 26 aprile 1917) Pei è stato letteralmente, anche per i non addetti ai lavori, l’uomo che ha cambiato il Louvre, e il modo di intendere i musei, con una Piramide: quella realizzata tra il 1983 e il 1989 in cemento, vetro, acciaio che oggi definisce e caratterizza il nuovo ingresso del museo parigino, capace di accogliere nove milioni di visitatori all’anno. 
Ma la storia di Pei non è certo racchiusa solo in quella Piramide («L’architettura non è un quadro, un edificio resta sempre visibile agli occhi di tutti e non si può evitare. Per questo bisogna avere nervi saldi e accettare le critiche», era una delle sue massime ispirate appunto alle vicende parigine). 
Grazie al suo stile minimal-costoso, il giovane architetto venuto dalla Cina che si era laureato al Massachusetts Institute of Techonology nel 1940 (primi studi alle università di Shanghai e Hong Kong) sarebbe diventato una star amata e apprezzata dal bel mondo e dai potenti, molti dei quali sarebbero diventati suoi clienti (oltre che amici). Da Jackie Kennedy, che gli avrebbe commissionato la John Kennedy Library di Boston (1965-1979) e che l’avrebbe frequentato anche dopo il matrimonio con Onassis (celebre una foto di gruppo in un ristorante dell’Upper Side newyorkese), al presidente francese François Mitterrand, che nel 1983 l’avrebbe incaricato di cambiare letteralmente il volto del Louvre; da Steve Jobs, per cui (nel 1972) avrebbe disegnato l’appartamento privato di due piani nel San Remo Building di New York (poi venduto da Jobs nel 2003, senza averci mai vissuto, a Bono degli U2), alla famiglia reale di Doha, che gli avrebbe chiesto l’Islamic Museum di Doha (2008). 
L’immaginario collettivo di Pei resta principalmente legato a mega-strutture molto mediatiche: il National Center for Atmospheric Research di Boulder / Colorado (1961-1967), il John Hancock Building di Chicago(1967-1976), l’ampliamento della National Gallery di Washington (1974-1978), il Fragrant Hill Hotel di Pechino (1982), il Meyerson Symphony Center di Dallas (1982-1989), la Torre della Banca di Cina a Hong Kong (1982-1990), il Four Seasons di New York (1994), la Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland (1987-1995), l’allargamento del Deutsches Historisches Museum di Berlino (2003), la nuova sede della Regione Lombardia di Milano (2004, unico lavoro made in Italy), il Martha Stewart Center for living del Mount Sinai Hospital di New York (2006), l’Ambasciata della Repubblica popolare cinese di Washington (2006).
«Ha realizzato alcuni dei progetti più belli di questo secolo, – recitava la motivazione del premio di architettura Pritzker – ma il significato delle architetture di Pei va oltre la limitazione del tempo, passando dalle ragioni del passato all’attenzione per le nuove forme di energia». Una cifra stilistica che arriva da lontano, dalle radici familiari di Pei: suo padre era stato prima direttore della Banca of China poi governatore della Banca centrale e la sua bellissima dimora di famiglia a Canton, chiamata il «Giardino del Leone della Foresta», è inserita nel patrimonio dell’umanità dall’Unesco.