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 2019  maggio 17 Venerdì calendario

A Vienna casa per tutti

La metro si avvicina all’ultima stazione con una lunga curva, fino quasi ad abbracciare lo spicchio di palazzi e gru di acciaio di fronte al lago artificiale. I cantieri sono ancora aperti a Seestadt, accanto all’omonima fermata c’è quello del più alto grattacielo in legno del mondo (84 metri), un progetto commerciale di lusso. Il quartiere, che si trova a mezz’ora di metro dal centro esatto di Vienna, è però uno dei luoghi di sviluppo dell’edilizia «sociale» della città. «Le case popolari sono in mezzo alle altre, da fuori non si distinguono – dice Bojan-Ilija Schnabl, del dipartimento cittadino per l’edilizia —. Ci sono molte soluzioni diverse, non siamo nel socialismo reale dove lo Stato fa tutto allo stesso modo. Ma per noi la casa è un diritto fondamentale e usiamo i fondi pubblici della città per garantirla, allo stesso modo in cui costruiamo strade, ferrovie, scuole od ospedali». La conseguenza è che il prezzo degli affitti a Vienna è bassissimo per i parametri di una capitale europea: un appartamento di 75 metri quadri costa in media 495 euro al mese nelle abitazioni di proprietà del comune, 533 in quelle delle cooperative sociali, 668 in locazione da privati. A Milano, che pure ha meno abitanti, per un appartamento della stessa metratura si pagano in media 1500 euro, che scendono intorno ai mille in periferia. A Parigi addirittura 30 euro al metro quadro. 
«Qui si sta molto bene, la cosa migliore è che tutte le strade interne sono a traffico limitato e i bambini possono muoversi in bici – dice la signora Helga Eichwalder-Gabler, 65 anni, che in equilibrio su un monopattino insegue il nipote —. Se non faccio così è troppo veloce per me» spiega con un sorriso. Le strade sono semi deserte, sgombrate dal freddo e dalla pioggia che hanno ripreso il sopravvento sulla primavera. È comunque un idillio suburbano: «Non vogliamo periferie come quelle di Parigi e Londra, con i ghetti per i poveri: facciamo in modo che in ogni zona della città possano vivere persone di tutte le classi sociali» afferma Schnabl. La maggioranza dei viennesi, sei su dieci, vivono in case che hanno qualche forma di agevolazione da parte del Comune. 
La politica abitativaNikolaus Heinelt, 47 anni, dipendente comunale, conferma: abita nel condominio di una cooperativa a pochi isolati dal Danubio. «Pago 500 euro al mese per un appartamento di 85 metri quadri. L’affitto è a tempo indeterminato, ma per entrare ho dovuto pagare una cauzione di trentamila euro: se lascio la casa me la ridanno, se dopo dieci anni decido di comprarla la scalano dal prezzo insieme all’affitto pagato fino ad allora». Nel suo palazzo vivono anche una trentina di famiglie di profughi, che però usufruiscono di tariffe agevolate e pagano una cauzione di soli 2-3 mila euro (che non permette il riscatto). «In questo modo l’integrazione è più facile, perché non si creano sacche di esclusione», dice lui. La legge prevede infatti che un terzo dei costi di costruzione delle case fatte dalle cooperative senza scopo di lucro (200 mila appartamenti in tutta la città) sia pagato con fondi comunali. In cambio la città può decidere a chi destinare un terzo degli appartamenti. Possono essere anche condomini di fascia alta, come quello vicino al quartiere universitario in cui vive Christina Birett, 28 anni, studentessa-lavoratrice, che ha al suo interno sale comuni, palestra da arrampicata, un centro benessere e addirittura un cinema da 12 posti prenotabile gratuitamente dai condomini via apposita app (nel suo caso la cauzione è stata di 40 mila euro, l’affitto è 650 euro al mese per 87 metri quadri).
Poi ci sono le case di proprietà del comune – 220 mila in tutto —, le più economiche: ne ha diritto chi guadagna fino a 3.300 euro netti al mese (per un single, il tetto di reddito sale ancora per le famiglie). La più iconica risale al 1930, si chiama Karl Marx Hof. «Qui si sta bene, la città ti aiuta in tutto» dice Mehdija Nezovic, 18 anni, soldato in congedo temporaneo (ha un braccio rotto), figlio di immigrati della ex Jugoslavia, seduto a fumare nel cortile con l’amico Muhammed. Oggi molti degli abitanti del complesso sono di origine straniera. Sul tetto sventolano le bandiere che ricordano i 100 anni della «Vienna Rossa»: nel 1919 per la prima volta il Partito socialdemocratico ha avuto la maggioranza in consiglio comunale. Da allora è stato escluso dal governo della città solo durante il periodo dell’«Austrofascismo» e del Nazismo, tra il 1934 e la fine della Seconda Guerra Mondiale. La tradizione delle case per tutti, dotate di asili e scuole in cui mandare i figli della classe operaia, viene dall’ambizione dei socialisti di creare l’«uomo nuovo» uguale e solidale. L’attenzione al sociale è nel Dna della capitale austriaca.
Al centro dell’EuropaCosì, negli ultimi tre decenni Vienna si è trovata in una posizione ottimale per mettere a frutto i cambiamenti che si è trovata a incrociare. «La caduta della Cortina di ferro nel 1989 l’ha portata dai margini al centro dell’Europa. Poi nel 1990 la città è entrata nell’Unione europea insieme al resto del Paese. Questi due eventi hanno prodotto un’apertura che prima non c’era – spiega Eugen Antalovsky, direttore operativo di Urban Innovation, società che aiuta il Comune di Vienna a progettare il suo sviluppo futuro —. Il terzo fattore, essenziale, è stato l’arrivo di moltissimi rifugiati in seguito alla guerra nella ex Jugoslavia, anche per i rapporti storici che c’erano. La città ha ricominciato a crescere per la prima volta dopo decenni: siamo passati dagli 1,4 milioni di abitanti del 1998 ai 1,91 milioni di adesso. E siamo stati costretti al cambiamento: Vienna ha dovuto rispondere a una serie di esigenze e domande». 
Dal 2010 nel governo di Vienna ci sono anche i Verdi e lo sviluppo ecosostenibile della città ha ricevuto una nuova spinta. Sono aumentate le piste ciclabili, si costruisce solo secondo criteri superecologici, il Comune aiuta i cittadini persino a prendersi cura personalmente del verde (si può «adottare» un’aiuola, ricevendo anche il terriccio per le piante). Vienna in più è l’unica metropoli al mondo con dei vigneti municipali nel territorio cittadino: 100 ettari in tutto. Il risultato è che la capitale austriaca è in cima a tutte le classifiche sulla qualità della vita: al primo posto nell’Unione europea per i trasporti pubblici (sono capillari ed efficienti e vantano 820 mila abbonati annuali, il 40 per cento delle famiglie non ha auto privata), per l’offerta culturale, per la qualità di strade ed edifici, per quella dell’aria. E ancora: prima nella classifica delle smart city del 2017, della qualità della vita dell’Economist del 2018 e da dieci anni di seguito in quella della qualità della vita per gli expat – i professionisti stranieri globali – di Mercer.
«Gli expat qui vivono bene perché tutti vivono bene – dice Agata Ciabattoni, italiana, 48 anni, da 17 a Vienna, professoressa di logica al Politecnico di Vienna (l’università più prestigiosa del Paese) —. Io sono arrivata con la borsa di ricerca Marie Curie, dovevo restare 24 mesi, dopo la prima settimana ho pensato “Da qui non mi muovo più”». Non solo per i finanziamenti accademici: «Ma per la capacità delle persone di collaborare ai progetti comuni e per i servizi che mi hanno permesso di conciliare lavoro e carriera come mai avrei potuto in Italia. Basti pensare che l’asilo dell’università, che è gratis, è aperto dalle 7 alle 19. E adesso mio figlio che ha 11 anni – racconta – può andare a scuola da solo con la metro senza problemi: la città è sicurissima e in più offre tutti gli stimoli culturali di una metropoli». Pablo Chiereghin, 41 anni, veneto trasferitosi a Vienna per seguire la moglie Annibelle Seilern, 41, è d’accordo: «Io qui posso avere una qualità della vita molto superiore al mio reddito – riassume —. E posso vivere facendo l’artista, cosa che in Italia sarebbe molto difficile». 
Rosso e neroQualcosa però sta cambiando. Quest’anno il Partito socialdemocratico ha festeggiato come da tradizione il Primo maggio con una grande manifestazione che è la dimostrazione della sua forza in città. Per la prima volta il governo conservatore di Sebastian Kurz ha provato a rubargli la scena. E ha annunciato la riforma delle tasse per portarle dal 42% del reddito al 40,5% entro il 2022. Un taglio che secondo molti osservatori sottrarrà risorse alle politiche sociali di Vienna. I primi effetti si sono già visti: l’esecutivo Popolari-Partito della libertà ha ridotto il sussidio per i profughi, da 860 a 560 euro al mese per i rifugiati e addirittura a soli 320 euro per alcune categorie di migranti. «Così l’integrazione diventa più difficile – dice Andrea Eraslan-Weninger, direttrice del centro di accoglienza per i rifugiati Integrationshaus —. Oltre alla riduzione del sussidio c’è stata una stretta sulla legislazione su asilo e immigrazione, decisa anch’essa a livello federale. E adesso Vienna, che ha molti più stranieri del resto del Paese, è messa ancora più sotto pressione per fornire servizi essenziali e prendere il posto dello Stato federale. Ma la verità è che ci sono cose che da sola non può fare». 
Il conflitto tra la Vienna Rossa e l’Austria nero-blu è insieme un conflitto politico ed esistenziale, due visioni opposte che si contendono un Paese. «Vienna è sempre stata più grande dell’Austria. Specialmente dopo la fine della monarchia austroungarica» dice in perfetto italiano (ha studiato a Roma) Susanne Scholl, 69 anni, ex giornalista della tv Orf. Ogni giovedì Scholl manifesta in centro a Vienna con Omas gegen Rechts, «nonne contro la destra», un gruppo di over 60 (ma «aperto a tutte le età») che si oppone alle politiche del governo: «I miei quattro nonni, ebrei, sono stati uccisi dai nazisti: oggi ho il dovere di ricordare la storia» dice. Secondo Scholl a portare il resto del Paese da un’altra parte è stato lo stesso processo che ha fatto aprire Vienna al mondo: «la fine del cosiddetto blocco comunista con la caduta della Cortina di Ferro. Da lì sono iniziate tutta una serie di paure – spiega —: di essere invasi da forze lavoro più a buon prezzo e di perdere il nostro status molto confortevole, noi che siamo così piccoli ma così “importanti”. L’insicurezza generale è andata aumentando». L’estrema destra alleata di Kurz risponde a questi timori. Ma rischia di distruggere anche il modello viennese: «Tra le cose che vogliono fare c’è privatizzare le case popolari – ricorda Scholl —. Vienna, però, non è disposta ad accettarlo: è pronta a difendersi».