la Repubblica, 17 maggio 2019
Gli eroi dimenticati del bus
I bravi ragazzi sono piuttosto delusi, e anche arrabbiati. La cittadinanza italiana per meriti speciali è una chimera che non è mai arrivata, e lunedì fanno già due mesi dal giorno che sconvolse loro e anche tutta l’Italia. L’autista che prende in ostaggio il pullman con 51 studenti, due prof, una collaboratrice scolastica, lui vuole fare un grande gesto, dare fuoco a tutto sulla pista di Linate, ma i ragazzi sono svelti, veloci, furbi, pur nel dramma, nascondono un telefono e riescono a chiamare la mamma, e così arrivano i carabinieri, e il grande rogo che consuma il bus non brucia anche loro, anche se la cosa enorme che gli è successa quel giorno – era sulla strada per San Donato Milanese – resta «incollata nella mia testa, io non riesco a dimenticare niente di quel giorno. Io ricordo tutto perfettamente».
Adam El Hamami ha 12 anni, sta seduto impaziente sulla sedia del Barber Shop di piazza Duomo, mentre il papà Khalid, cittadino marocchino residente in Italia, si fa tagliare i capelli dall’amico Iead, parrucchiere palestinese-cremasco che taglia anche Salah, e tutta la nazionale egiziana. Ma la scuola, come va? «Bene». E il resto, va tutto bene? «Non tanto. Di notte ho gli incubi». E che fai, allora. «Mi alzo e vado nel lettone con la mamma, così mi riaddormento». Il padre invece è paziente: «Io dormo sempre sul divano, lo faccio perché Adam ha bisogno di riposare, deve studiare, andare bene a scuola». La settimana scorsa la sindaca di Crema, Stefania Bonaldi, ha chiamato la prefettura di Cremona, un’altra volta: «Ci sono novità sulla cittadinanza a Rami e Adam?». «Non sappiamo ancora niente». Bonaldi: «Capisco la delusione dei ragazzi. Purtroppo non ci sono notizie certe, io stessa non ne ho. Più che chiamare…».
«Non si sono più fatti sentire…, io non so niente», così dice Rami Shehata, 13 anni, che in questi giorni è nella città della sua famiglia, Mansura, Egitto, e l’altra sera è stato ospite della televisione egiziana, «mi hanno anche dato un premio, una stella con il mio nome e i ringraziamenti», adesso aspetta che lo chiami il presidente, «sappiamo che mi riceverà, sono molto contento, è il presidente dell’Egitto!», l’altro suo Paese. Ogni tanto sogna fuoco e urla, «anche la settimana scorsa, e mi sento male». Un giorno «Salvini mi ha detto “sei come mio figlio”, poi ha cambiato idea, ha detto che la legge non si tocca». Non pensa che sia giusto, bisogna mantenere le promesse fatte, e ai ragazzi, poi. «Tutto il mondo pensa che ormai siano cittadini italiani, ma non è vero!», dice suo padre Khaled, «logico che siano arrabbiati». Sei arrabbiato, Rami? «Un po’». E tu, Adam. «Io non penso alla politica, penso solo a studiare e a giocare a calcio. Non so se mi importa ancora», ma si vede che gli importa. Il padre dice «non deve essere preso in giro. Io sono solo un gessista, lavoro con il cartongesso ma i cantieri sono fermi, al momento sono disoccupato. Però capisco che questa ricompensa se la meritano, 40 minuti di terrore, con la pistola e il coltello. Mio figlio è nato in un ospedale italiano, parla italiano, è italiano, ma non lo è». Il figlio sorride, ha grandi occhiali tondi e i pantaloni della tuta stretti con degli elastici, una moda nuova dei ragazzi, «è molto sensibile, molto intelligente», sa anche che il leone di San Marco proprio di fronte al negozio del barbiere significa che Crema era della Serenissima, un tempo. Studia la storia della sua città, è un cremasco.
«Io sogno sempre l’autista», racconta il ragazzo, sta sull’attenti come il calciatore da centrocampo che vorrebbe diventare, o un carabiniere che aspetta l’ordine. L’autista Ousseynou Sy, uno che sembrava un uomo tranquillo, «esce dalla prigione e mi viene a cercare». Allora lui si alza, sveglia la mamma e le dice «ho fatto un brutto sogno», come fanno tutti i bambini che hanno paura, la notte.
Anche gli altri quarantanove sognano il fuoco, l’uomo che grida «da qui non esce vivo nessuno», e «lo faccio perché non voglio più morti nel Mediterraneo», alle volte basta l’odore della benzina o sentire qualcuno urlare, e si torna alla mattina del 20 marzo, sulla strada Paullese. La sindaca Bonaldi: «Gli esperti lo avevano previsto», dopo l’euforia di essere vivi, e le interviste, le foto, «sono stati invitati di qua e di là», poi arriva il down, ci si sente soli, non si dorme, sono esperienze enormi per chi è grande, pensate a come la vive uno che fa la seconda media. Cinzia Sacchelli, responsabile del servizio di psicologia dell’Asst di Crema: «Ognuno ha un suo modo di rielaborare e reagire a quanto ha vissuto. I ragazzi sono ancora sottoposti a situazioni in cui viene loro chiesto conto di quanto successo, e il passato viene rivissuto continuamente. Molti hanno una paura forte rispetto alla loro sopravvivenza, sintomi di ansietà, nervosismo, maggiore reattività, disturbi del sonno, timore di stare soli», non è semplice uscire dal trauma, tanto che ci sono a disposizione anche esperti del metodo Emdr, nato dalle esperienze dei reduci di guerra, del Vietnam soprattutto. E gli psicologi dell’Asst, e quelli del ministero. «Io ci sono andato quattro volte», dice Rami, «due volte con il papà, poi a scuola». Adam, «una volta sola, c’era una dottoressa, vorrei tornarci». E a scuola ne parlate? Adam: «No, mai», neanche con i compagni di classe. A casa? «Sì», ma poi la mamma si mette a piangere, pensa che quella volta non gli ha creduto subito, sembrava uno scherzo, si capisce che ha i sensi di colpa. Dopo, sono diventati eroi. In televisione, a Porta a Porta e da Fabio Fazio e nei talk show del pomeriggio, con i carabinieri, con il cappello da carabiniere, con Dybala allo stadio, con il ministro dell’Interno che gli ha offerto il gelato, e beh, non basta un gelato.