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 2019  maggio 17 Venerdì calendario

Kasparov: «Il computer vincerà sempre»

Parla veloce Garri Kasparov, l’ex re degli scacchi, e parla con la passione di chi è convinto di aver ragione in un mondo isterico che non vede la realtà delle cose. Classe 1963, nato a Baku, è stato il primo campione ad esser battuto da un computer. Accadde nel 1996 ad opera di Deep Blue della Ibm e quella sconfitta Kasparov la contestò a lungo.
Attivista politico e volto pubblico dell’azienda di cybersceurity Avast, lo incontriamo alla fiera parigina Viva Tech. Non è più un avversario dei computer da tempo. Anzi, è diventato un paladino della tecnologia e un sostenitore di un nuovo patto fra umanità e intelligenza artificiale, erede di quel Deep Blu che ventidue anni fa sancì la fine del nostro dominio negli scacchi.
«Non è mai la tecnologia il problema, ma chi la usa e come la usa», esordisce. «Temerla significa cercare di tornare indietro nel tempo. È sciocco, come se tentassi di battere oggi un’intelligenza artificiale a scacchi».
Eppure lei di fatto è stato uno dei primi a perdere il lavoro per colpa di una macchina.
«Era inevitabile. I computer, quando si tratta di ambienti chiusi e con regole precise come un gioco, sono imbattibili. Non importa quale gioco sia, il go, gli scacchi, il poker o videogame come Dota: semplicemente non abbiamo speranza. Bisogna solo riconoscere, come ho fatto io stesso da tempo, che ci sono dei territori nei quali regnano le macchine».
E il nostro posto in questa nuova era dell’intelligenza artificiale quale sarebbe?
«Tutto quel che è al di fuori dei sistemi chiusi e dei compiti ripetitivi. Strategia, creatività, flessibilità… Le macchine queste cose non le sanno fare anche se possono imitarle malamente. E poi non c’è alternativa: oggi viviamo oltre gli 80 anni, senza tecnologia non arriveremmo a 40. Domani certe specializzazioni in campo medico non saranno più richieste? Probabile, ma la medicina sarà anche più efficace e alla portata di tutti».
Ma se i posti di lavoro sparissero a milioni in pochi anni, il costo sociale da pagare sarebbe enorme.
«L’allungamento della vita lavorativa direi che è un fattore molto più importante nell’assenza di prospettive rispetto al ruolo della tecnologia, che comunque di posti ne crea. Io ad esempio non so nulla di programmazione, eppure oggi possono programmare grazie a software sempre più facili da usare. Dobbiamo smettere di aver paura e cominciare a pensare a tutto ciò che ci permetterà di esser ancora più umani. E nell’equazione finale, anche persone della mia età che non sono certo dei nativi digitali potranno dire la loro. Bisogna seminare speranza, non il terrore».
Si riferisce all’incontro avvenuto l’altro ieri qui a Parigi fra diversi capi di stato per porre un freno all’odio online?
«Anche. Intanto: smettiamo di guardare tutti quei film distopici di fantascienza. Non aiutano. E bisogna informarsi un po’ di più, andando oltre gli slogan. Il fatto che alcuni dittatori come Putin o regimi totalitari come quello cinese usino la tecnologia per raggiungere i loro fini, non significa che la tecnologia sia un male. Solo che esistono pessimi regimi, così come esiste la destra estrema che usa i social come un megafono. Per batterli serve una visione del futuro, non del passato, altrimenti si scade al livello di Donald Trump».
Un ottimista.
«Un ottimista e un insegnante, mio malgrado. Spiego come guardare avanti nonostante le manipolazioni e la disinformazione su larga scala. Perché non abbiamo mai avuto tante possibilità come ora. Non sfruttarle, ecco l’unica cosa che dobbiamo temere».