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 2019  maggio 17 Venerdì calendario

In prima linea con le milizie di Misurata

Omar al-Misrati sorride, scherza, ma fino a un certo punto. «E bravi gli italiani. Anche voi vi fate incantare da Haftar?». Poi si gira per sbirciare le postazioni nemiche, accovacciato dietro il muretto di cinta della terrazza al secondo piano di una villetta nel Wadi Rabia, «Quartavalle», il sobborgo sudorientale di Tripoli che tutte le guerre trasformano in un asse strategico, l’accesso più facile alla capitale per chi arriva da Est e vuole evitare la costa. Per questo i vertici di Misurata hanno schierato qui la Katiba Hattin, una delle migliori unità a disposizione del Governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Sarraj. 

Contro il califfato
Uomini temprati dalla lunga battaglia del 2016 a Sirte, contro l’Isis, e che adesso sono costretti sulla difensiva da un nemico più organizzato, con armi più potenti. E soprattutto con appoggi che vanno dalla Russia agli Stati Uniti, dall’Egitto all’Arabia Saudita e agli Emirati. La notizia della visita del maresciallo a Roma lascia interdetti. Il timore che l’Italia cambi cavallo è nell’aria ma Omar minimizza: «Haftar non è nessuno. Va all’estero, ma di nascosto, come un ladro. Al-Sarraj è l’unico presidente legittimo e può girare a testa alta».
Un colpo di cannone di un carro T-72, nascosto in un cortile a due, trecento metri di distanza, interrompe la conversazione. Poco dopo si sente la risposta del tank nemico, invisibile dietro una ondulazione. La valle è punteggiata di villette, case coloniche, un misto di quartiere residenziale e contadino, a 25 chilometri dal centro. È un fronte molto diverso da quello di Sirte e delle guerre urbane. «Haddu», il nemico, è appostato in una casa rossa circondata da un alto muro di cinta, che Omar mostra attraverso il binocolo. 

A distanza ravvicinata
Dalla feritoia della terrazza si possono controllare i suoi movimenti. «Di notte – racconta – si radunano nel cortile. Hanno molte tecniche (i fuoristrada armati di mitragliatrice), e qualche blindato. Li possiamo sentire che urlano: “Veniamo a tagliarvi la gola”». Dogma, il compagno fidato di Omar, rincara la dose: «Sono tutti mercenari, ciadiani, sudanesi, scuri come la pece, o fanatici salafiti “madkhali”. Per noi sono uguali all’Isis, se non peggio». Il riferimento è ai seguaci dello sceicco Rabi Madkhali, che negli anni Novanta ha fondato un movimento islamista rivale dei Fratelli musulmani, protetto dai governi egiziano e saudita.
Dogma deve il nome di battaglia all’abilità nel far fuori con lanciarazzi le autobombe dell’Isis, in gergo libico «dogma» (qualcuno dice invece per la sua guida da kamikaze). Robusto, la barba corta, un fisico da orso, sa cogliere nel segno anche a parole. 

Gli ex alleati di Gheddafi
Perché i Madkhali erano anche alleati di Gheddafi e quindi combatterli significa nello stesso tempo opporsi ai nostalgici del vecchio regime e al salafismo di marca saudita ed egiziana, mentre i misuratini sono da sempre vicini alla Fratellanza. 
Vuol fare intendere che il presunto carattere laico di Khalifa Haftar è tutto da vedere. Dogma tira fuori una confezione di datteri e la porge, segno che l’ospite non è tenuto a rispettare il digiuno del Ramadan. Anche i soldati al fronte in teoria sono esentati, ma si trattengono. È un pomeriggio fresco e ventilato, la campagna, le palme, sono di un verde intenso per l’estate che tarda ad arrivare e gli scambi di colpi fra tank e cecchini si diradano in attesa della notte, quando le forze speciali entrano in azione per cercare di far breccia nel fronte. Un rumore alto nel cielo allarma però la squadra dei misuratini in prima linea. «Mig-23», dicono. Il capo pattuglia chiama con la radio il comando: «Sadiq au haddu?», amico o nemico? È nemico, ma pare sia diretto verso Tajoura, dove già nei giorni scorsi l’aviazione di Haftar ha colpito con raid, e l’allarme cessa.

Il ruolo dell’aviazione
La superiorità aerea del maresciallo ha aperto ampi varchi nelle file delle milizie di Misurata. Lungo la strada si vedono decine di fuoristrada, blindati, un carro T-55, inceneriti dalle bombe. I Mig-23, vecchi e imprecisi, preoccupano fino a un certo punto. «Quello è il lavoro dei droni emiratini», spiegano. Gli aerei senza pilota forniti da Abu Dhabi colpiscono soltanto di notte, per non esporsi alla contraerea, che però nella postazione consiste soltanto in un vecchio pezzo da 23 millimetri di fabbricazione sovietica. I droni sono molto efficaci e Haftar li usa in combinazione con le forze d’élite, la famigerata Al-Saiqa. Le ultime voci dicono che Haftar l’abbia spostata proprio qui, assieme a miliziani del signore della guerra Abdul Raouf Kara, prima alleati di Al-Sarraj e ora passati con lui. È la strategia del logoramento e del tradimento che preoccupa gli uomini di Misurata. Non hanno risorse infinite, e devono tenere le forze migliori nella loro città, nel caso Tripoli cadesse e dovessero trincerarsi lì. Dei tripolini, anche se non lo dicono, non si fidano. Dal 2014 le alleanze con le milizie della capitale vanno e vengono e qualche altra defezione importante potrebbe far crollare il fronte. Si sentono «soli contro tutti», il loro schieramento è sottile, pochi uomini, poca potenza di fuoco, aviazione quasi nulla, niente droni d’attacco, solo d’osservazione. E il fronte internazionale non va meglio, adesso che anche l’Italia tratta con Haftar.