ItaliaOggi, 17 maggio 2019
2030: obiettivo ibernare l’uomo
«Non si conoscono i motivi ma gli animali durante il letargo mantengono il tono muscolare, non hanno demineralizzazione ossea e godono di un’elevata radioprotezione. Si tratta di elementi di grande interesse, sia per l’applicazione ai viaggi spaziali, che per l’uso in medicina. Possiamo paragonare il letargo all’ibernazione: in entrambi i casi vi è un grosso rimaneggiamento del sistema immunitario poiché i linfociti migrano dal sangue ai linfonodi. L’organismo si trova così in uno stato di immunosoppressione e questo può aprire nuovi approcci verso alcune malattie. Per esempio durante l’ibernazione le cellule tumorali smettono di proliferare. Approfondire quali sono i meccanismi di questa potente azione tumoro-statica è di grande interesse».Siamo (forse) abbastanza vicini a una rivoluzione. Magari per pochi minuti (per ora) ma potremmo essere raffreddati, cioè quasi refrigerati (cadiamo nel banale, ma fa lo stesso) come fossimo dei piselli Findus.
Uno dei profeti dell’ibernazione è un italiano, Matteo Cerri, 46 anni, medico chirurgo, insegna al Dipartimento di scienze biomediche e neuromotorie dell’università di Bologna e svolge i suoi studi nell’ambito della fisiologia integrativa e delle neuroscienze del sistema nervoso. È associato all’Istituto nazionale di fisica nucleare, membro del Topical team on hibernation dell’Agenzia spaziale europea, e fa parte, tra l’altro, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e della Società italiana di neuroetica. Il suo ultimo libro si intitola A mente fredda, l’ibernazione dal mondo animale all’esplorazione spaziale (Zanichelli), presentato al Muse, il museo della scienza di Trento. Dice: «L’organismo dei mammiferi è portato per sua natura a opporsi con tutte le sue forze al raffreddamento. In caso di necessità mette infatti in azione una serie di contromisure eterogenee, dall’aumento di consumo di ossigeno ai brividi. Ma non è sempre così: ci sono mammiferi che riescono a inibire questi meccanismi. Parliamo, ovviamente, dei mammiferi che vanno in letargo, come gli scoiattoli, i ghiri ma anche gli orsi. Perché l’uomo non va in letargo? Le ricerche degli ultimi 15 anni fanno pensare che sia possibile. I geni necessari a sopravvivere all’ibernazione dovrebbero essere ancora presenti nell’uomo, anche se l’evoluzione ci ha fatto perdere la capacità di attivare questo stato. Se riusciamo a riattivare questi geni l’uomo può ricorrere all’ibernazione, cioè al letargo, e per la medicina (ma non solo) sarà un passo avanti formidabile».
Cerri è stato il primo a ibernare un mammifero, un ratto, in laboratorio e poi a riuscire a risvegliarlo. Indurre artificialmente l’ibernazione anche in animali che non lo fanno naturalmente è un passo in avanti non di poco conto in questo campo di ricerca. Del resto, il raffreddamento corporeo artificiale viene già utilizzato durante alcune operazioni chirurgiche proprio perché in questo modo l’organismo consuma meno ossigeno. Ma si arriva «solo» a 34 gradi mentre l’ibernazione punta a 20 gradi (rispetto a una temperatura corporea che varia da 35 a 37 gradi, a 28 si rischia già la sopravvivenza).
Quindi dal raffreddamento all’ibernazione il passo è lungo ma la ricerca marcia spedita, soprattutto perché ora se ne stanno interessando gli enti spaziali, a cominciare dalla Nasa: gli astronauti potrebbero essere sottoposti ad un processo di ibernazione durante le missioni più lunghe, in modo da essere protetti dalle radiazioni spaziali ma anche per risparmiare cibo e acqua. I ricercatori, che fanno squadra pur essendo sparsi nel mondo, si sono dati un obiettivo: arrivare a riuscire a realizzare l’ibernazione umana entro il 2030, quando l’uomo tenterà di arrivare su Marte. Troppo ottimismo? Forse, ma il mondo oggi va veloce.
Nel caso del ratto, per esempio, Cerri è intervenuto sui neuroni: «Molti degli organi che regolano il metabolismo», spiega, «sono controllati da cellule nervose (neuroni) situate in un’area del tronco cerebrale. Perché un animale entri nel torpore, i neuroni all’interno di quest’area cerebrale devono essere inibiti poiché se la funzione in queste cellule non viene soppressa, la loro attività contrasterà l’ipotermia (cioè la riduzione della temperatura) indotta dal torpore». Il prossimo animale che egli tenterà di ibernare è un maiale.
L’italiano che ha fatto dell’ibernazione la sua missione scientifica raccomanda di non parlare di fantascienza e scuote la testa se gli si chiede di quelle 337 persone che nel mondo hanno scelto finora di farsi congelare post mortem, mentre altre migliaia sono in attesa. Tra esse c’è anche un friulano, Vitto Clautt, presidente regionale del Codacons, che dice: «Sarò matto ma tra qualche decennio sarà scoperto il segreto della vita eterna e io voglio esserci».
Cerri prende le distanze: «Nessuno pensa di poter resuscitare una persona. L’ibernazione è un processo che viene regolato a livello cerebrale, silenziando per un periodo di tempo alcune funzioni vitali che restano però attive. Ovvero se esse non sono più attive non c’è modo di rimetterle in funzione. Gli scoiattoli, gli orsi e i criceti durante l’inverno vanno in letargo per ridurre al minimo il dispendio energetico in un periodo di scarso accesso al cibo. Quindi vanno in letargo da vivi e non da morti. Ibernare un corpo che non ha più le sue funzioni vitali non serve a nulla, non ha senso. Invece abbassando la richiesta energetica attraverso una riduzione della temperatura corporea fino a venti gradi, si potrebbero limitare i danni di un organo, in attesa che riprenda le sue funzioni, penso ai casi di arresto cardiaco, infarti e ictus cerebrali. Non solo. Al risveglio c’è un’attività fortissima dei neuroni e si sviluppano nuove sinapsi (propagazione di impulsi nervosi, Ndr). Questo dinamismo potrebbe essere utilizzato nelle malattie neurodegenerative e per allungare la durata degli organi espiantati».
Analogie col sonno? «No, il sonno è tutt’altra cosa. Nulla a che vedere pure con la crioconservazione (in frigoriferi a 200 gradi), che va bene per i tessuti biologici ma è incompatibile con la vita di un organismo. L’ibernazione non è congelamento, si tratta di impedire che il corpo umano si opponga strenuamente all’abbassamento radicale della temperatura».