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 2019  maggio 16 Giovedì calendario

A Parigi i quadri amati da Stalin

Il Grand Palais di Parigi si tinge di rosso per la grande mostra che, fino al prossimo 1° luglio, svela l’arte sovietica tra il 1917, anno della rivoluzione di ottobre, e il 1953, anno della morte di Josif Stalin. E «Rouge» («Rosso. Arte e utopia nel paese dei Soviet») è proprio il titolo dell’esposizione che riunisce 400 opere, rappresentative di tutte le arti, dalla pittura alla ceramica, dalla scultura all’architettura, dalla fotografia al cinema.Aprono il percorso le opere delle avanguardie, i lavori degli artisti impegnati con la rivoluzione nella ricerca di un’arte concepita in una logica industriale, che risponda ai bisogni della società nuova. Nel 1922 nacque l’Associazione degli artisti della Russia rivoluzionaria. L’obiettivo era quello di esaltarne i protagonisti: il contadino, l’operaio, i grandi leader del Partito comunista. Ma anche di dirimere la diatriba tra un’arte rivoluzionaria nella forma e un’arte tradizionale – e dunque meglio compresa dalle masse – ma che esaltasse le virtù del popolo in lotta.
Dieci anni dopo, nel 1932, un decreto emesso dal comitato centrale del Partito comunista mise la parola fine allo scontro, sopprimendo tutte le organizzazioni artistiche esistenti e sostituendole con l’Unione artistica. Quest’ultima forniva il materiale e gli atelier, distribuiva le commesse, organizzava i dibattiti e decideva i contenuti della critica, stabilendo che «il solo cammino possibile se l’artista vuole sopravvivere e continuare al lavorare» era «il realismo socialista». Secondo Andrei Zhdanov, membro influente del Politburo, il realismo socialista «esige dall’artista una rappresentazione veritiera, storicamente concreta della realtà, nella sua evoluzione rivoluzionaria».
La via verso l’edificazione di un mondo nuovo è tracciata. Gli architetti moltiplicano i progetti grandiosi per fare di Mosca la capitale del mondo sognato. La maggior parte di questi progetti è rimasta sulla carta, ma alcuni sono stati realizzati sotto la supervisione di Stalin, al quale venivano sottoposti tutti i piani.
Tutto è bello e idealizzato nell’Urss in costruzione. Operai che fanno il bagno e giocano a pallone durante la pausa pranzo. Contadini vigorosi. Stalin, il «piccolo padre» dei popoli, circondato da bimbi che giocano allegramente nel parco Gorky. Anche lo scrittore viene raffigurato in tutte le salse: mentre legge un suo racconto a ospiti speciali, tra cui lo stesso Stalin; mentre, malato, viene vegliato da alcuni congiunti, tra cui, ancora una volta, Stalin. Quest’ultimo, durante il congresso degli Stacanovisti nel 1935, dichiarò: «La vita diventa migliore, compagni! La vita è diventata più gioiosa e quando si vive gioiosamente il lavoro fa progressi». Nello stesso anno, il pittore Pavel Filonov scriveva nel suo diario: «Non c’è quasi più cibo. Malgrado la mia salute di ferro, sento tuttavia che la mia forza fisica sta per svanire».
Zhdanov, il teorico del realismo socialista, muore nel 1948. Alexandre Guerassimov dipinge una tela che raffigura Stalin davanti alla sua bara. Un anno prima della morte del dittatore, il poeta e critico d’arte francese André Breton così titolerà un suo articolo: «Del realismo socialista come mezzo di sterminio morale».