Il Post, 16 maggio 2019
No, il manoscritto Voynich non è stato decifrato
Molti giornali hanno pubblicato oggi la notizia dell’avvenuta decifrazione del manoscritto Voynich, un misterioso codice illustrato, che si ritiene risalga al Quindicesimo secolo, compilato con un sistema di scrittura che da decenni tiene impegnati medievalisti, linguisti e semplici appassionati. Anche i media italiani hanno ripreso la notizia, dandole ampio spazio con titoli categorici come: “Decifrato il manoscritto Voynich” (Repubblica), “Decifrato ‘Voynich’, il manoscritto più misterioso” (HuffPost), “Manoscritto Voynich: svelato il codice più misterioso della storia scritto da 400 monache” (Fanpage) e “Craccato il codice più misterioso dei manoscritti” (ANSA). Il problema è che Gerard Cheshire – l’autore della ricerche che sostiene di avere decifrato il manoscritto – è già stato ampiamente criticato, con grandi dubbi circa le sue dichiarazioni e il metodo stesso in cui ha svolto i suoi studi. Il codice, insomma, non è stato “craccato” come si è letto in giro.
Il manoscritto, datato tra il 1404 e il 1438, fu acquistato nel 1912 da Wilfrid Voynich – un mercante di libri rari inglese di origini polacche – dal Nobile collegio gesuita di Villa Mondragone, un paese vicino a Frascati (Roma). Oltre a usare un sistema di scrittura ignoto, il codice presenta numerose illustrazioni, con piante, strani oggetti, donne nude e simboli dello zodiaco. Attualmente fa parte della Beinecke Library dell’Università di Yale (Stati Uniti) e Giacomo Papi ne aveva raccontato più estesamente la storia qui sul Post.
Un codice illustrato così misterioso ha comprensibilmente attirato la curiosità e l’interesse di numerosi studiosi nel corso degli anni. Le teorie su cosa sia e cosa racconti il manoscritto Voynich sono ormai innumerevoli, e si va da chi sostiene che sia un compendio sull’utilizzo di particolari erbe officinali a chi ritiene sia un sistema per interpretare lo zodiaco. Non essendo stati ritrovati altri codici scritti con lo stesso sistema, c’è anche chi ha messo in dubbio l’originalità dell’opera, ipotizzando che possa essere un falso forse realizzato dallo stesso Voynich. Una datazione al radiocarbonio sembra però avere escluso questa eventualità, collocando l’origine del manoscritto ai primi decenni del Quattrocento.
Cheshire, che lavora presso l’Università di Bristol (Regno Unito), non è il primo ad avere dichiarato di avere risolto il mistero del manoscritto Voynich. Negli anni decine di ricercatori avevano annunciato risultati simili, finendo poi per essere smentiti dai loro colleghi, con dimostrazioni circa la fragilità delle loro affermazioni.
Nel 2017, per esempio, lo storico e autore televisivo Nicholas Gibbs pubblicò un articolo sulla rivista Times Literary Supplement spiegando il modo in cui aveva decifrato il codice. Sostenne che il manoscritto fosse una sorta di manuale per la salute delle donne, un elenco di abbreviazioni di parole latine che identificavano piante officinali e ricette per preparare medicamenti. Accompagnò le sue affermazioni con due righe di testo per dimostrare di essere riuscito a tradurlo. Altri studiosi si interessarono alle sue affermazioni, concludendo che non stessero in piedi: Gibbs aveva semplicemente messo insieme informazioni già note sul manoscritto Voynich, aggiungendo elementi nuovi non sostenuti da prove.
Lo scorso anno era stato invece un ingegnere turco, Ahmet Ardiç, a sostenere di avere capito il sistema di scrittura del manoscritto. Secondo lui, il testo sarebbe una versione fonetica del turco antico. La spiegazione era plausibile e in parte dimostrabile, ma non aveva comunque consentito di fare grandi progressi ed era quindi rimasta un’ipotesi come altre.
Ora Gerard Cheshire sostiene di avere capito tutto, tra lo scetticismo degli altri esperti. Secondo lui il manoscritto Voynich fu scritto in una “lingua protoromanza” e messo insieme da una suora domenicana, per conto di Maria di Castiglia, regina consorte di Aragona. Cheshire sostiene di essere riuscito a decifrare il tutto in appena un paio di settimane, trovando la giusta chiave di interpretazione mancata per almeno un secolo da alcuni dei più capaci e dotti linguisti.
Nel suo studio, pubblicato sulla rivista Romance Studies, Cheshire sostiene che non vi siano altre tracce di questa oscura “lingua protoromanza” perché raramente veniva utilizzata nei documenti ufficiali, per i quali veniva preferito il latino. Questo vorrebbe quindi dire che il manoscritto Voynich è l’unica testimonianza rimasta di quella lingua. Sono pochissimi gli studiosi che ritengono sia esistito il “protoromanzo”, inteso come una sorta di lingua unitaria tra latino e le successive lingue romanze, tanto da non avere mai avuto un particolare seguito nella comunità scientifica.
Cheshire spiega che l’alfabeto in cui è scritto il codice illustrato è un insieme di simboli noti e ignoti, senza punteggiatura autonoma, sostituita da alcuni simboli sulle lettere per indicare accenti e organizzazione delle frasi. Secondo le sue osservazioni, tutte le lettere sono minuscole e non ci sono casi di consonanti doppie nelle parole. Talvolta, si trovano abbreviazioni in latino.
Il lavoro di Cheshire ha lasciato molto scettici gli studiosi che si sono dedicati al manoscritto Voynich o, più in generale, che studiano i documenti del Medioevo. Tra i critici più severi c’è Lisa Fagin Davis, direttrice della Medieval Academy of America, la più grande organizzazione statunitense che si occupa di promuovere gli studi sul Medioevo. Fagin Davis era già stata molto critica un paio di anni fa con il lavoro di Gibbs, ma su quello di Cheshire è stata ancora più severa, come dimostra questa spiegazione che ha fornito ad Ars Technica:
Come buona parte delle interpretazioni sul manoscritto Voynich, anche questa è circolare e ambiziosa: [Cheshire] inizia teorizzando che cosa potrebbe significare una particolare serie di segni, di solito per via della prossimità di una parola con un’immagine che crede di potere interpretare. Poi consulta il maggior numero possibile di dizionari medievali di lingue romanze fino a quando trova una parola che sembra adattarsi alla sua teoria. In seguito sostiene che la sua teoria è corretta, visto che ha trovato una parola in una lingua romanza che ben si adatta alle sue ipotesi. Le sue “traduzioni” da ciò che è essenzialmente una farneticazione, un amalgama di più lingue, sono ambizioni più che traduzioni vere e proprie.
Inoltre, l’argomento di fondo di tutto questo – cioè che ci sia una cosa come una “lingua protoromanza” – è completamente priva di prove e in contrasto con la paleolinguistica. Infine, la sua associazione di particolari segni con determinate lettere dell’alfabeto latino è ugualmente priva di prove. Il suo lavoro non è mai stato analizzato da altri suoi studiosi indipendenti e alla pari.
Le critiche di Fagin Davis hanno portato altri studiosi a esprimere le loro perplessità e i loro forti dubbi circa le dichiarazioni di Cheshire. È emerso che alcune valutazioni contenute nel suo studio risalgono ad analisi precedenti, che avevano già evidenziato stranezze e cose che non tornano nel manoscritto Voynich. I nomi che accompagnano le illustrazioni dello zodiaco, per esempio, furono probabilmente aggiunti in un secondo momento e non durante la prima stesura del codice illustrato.
Insomma, nonostante le dichiarazioni di Cheshire, quelle precedenti di Gibbs e i titoli su molti giornali degli ultimi giorni, il manoscritto Voynich continua a rimanere un mistero. In futuro ci saranno sicuramente altri studi sul documento e probabilmente sarà nuovamente annunciata la sua decifrazione. Anche per questo Fagin Davis ha consigliato in un tweet cinque criteri che le ricerche sui documenti devono soddisfare, per non farsi ingannare:
1. nozioni primitive solide,
2. riproducibilità da parte di altri,
3. aderenza alla realtà linguistica e codicologica,
4. testo che abbia senso,
5. corrispondenza logica tra testo e illustrazione.
“Nessuno ha ancora spuntato tutte e cinque le caselle”.