L’intellettuale francese apre il portone del suo castello in Occitania con un largo sorriso, sgranando gli occhi azzurri. Si fa fotografare volentieri davanti a un’installazione intitolata “la Ferocia” dell’artista corso Marcheschi o seduto dietro alla gigantesca scrivania, circondato da sterminate biblioteche. Camus vive nel castello con il suo compagno, un ragazzo elegante come pure lo scrittore settantenne, in lino beige, panciotto e cravatta.
L’improvvisa notorietà all’estero non gli dispiace. Anche se è dovuta a un giovane neozelandese che ha sterminato cinquanta persone nella moschea di Christchurch, a qualche migliaio di chilometri dal Château de Plieux. Il manifesto del terrorista neozelandese Brenton Tarrant era intitolato “The Great Replacement”, espressione coniata da Camus per descrivere la presunta sostituzione dei popoli europei con altri popoli, in particolare arabo-musulmani.
«Quel manifesto era mortalmente noioso, non l’ho neppure terminato» commenta con una punta di snobismo, evitando di lasciare trasparire qualsiasi pathos. «E comunque nei miei testi è scritto che sono profondamente non-violento e pacifista». Cambia discorso. Quando all’estero cercano notizie sulla “grande sostituzione”, racconta, trovano estratti di “Tricks”, uno dei suoi pochi libri tradotti: racconti erotici omosessuali, pubblicati negli anni Settanta con la prefazione del suo mentore, Roland Barthes.
C’è stato un tempo in cui Camus era un intellettuale rispettato. Prima di diventare un reietto, una “Bestia Nera”, come dice lui stesso, era uno scrittore di culto per alcuni, incensato da Libération e Nouvel Obs. La sua personale svolta è cominciata nel 2002 quando ha deciso di fondare il partito dell’“In-noncence”, con l’obiettivo di lottare contro la «grande sostituzione».
Ha già partecipato simbolicamente a due presidenziali e ora si candida alle europee. Nella lista in vista del 26 maggio figura un rappresentante dei gilet gialli e un francese di origine algerina convertito al cattolicesimo. Uno dei punti del programma recita: «Non bisogna uscire dall’Europa ma farne uscire l’Africa che la colonizza profondamente». Nel 2015 era stato condannato proprio per aver scritto che i musulmani stavano «colonizzando» l’Europa. «Ribadisco», dice ora. Plaude a Matteo Salvini che ha chiuso i porti ma preferisce Viktor Orbán, ancora più deciso nel bloccare l’immigrazione. Marine Le Pen non lo convince perché, dice, «tergiversa» e non vuole organizzare la «rimigrazione». È la sua ultima, pericolosa proposta, ovvero il trasferimento in massa all’estero di chi non è in regola e ma anche di chi «non segue usi e costumi francesi».Plieux è un delizioso paesino arroccato sulle colline, con le case in pietra, le persiane azzurre, ringhiere di fiori. È una cartolina della Francia eterna. Ma Camus si accende di rabbia quando ne parla: aProvate ad andare a fare una passeggiata di sera vicino alla stazione di Agen», la città più vicina. «Guardate come si è ridotta Parigi e immagino sia così anche per Roma. Ormai il cammino è segnato: si va verso le bidonville globali».
Dice cose f atte apposta per scandalizzare, come quando si paragona ai partigiani che combattevano l’occupazione tedesca. Il suo discorso colto è pieno di buchi e contraddizioni. Ha delle cifre sulla presunta “sostituzione”? Glissa, è «un sentimento, una percezione». Gli facciamo notare che dall’Ottocento in poi sono state accolte varie ondate di migranti, anche italiani. Risposta: «Erano individui, non popoli che volevano rimpiazzare il nostro». La sua, dice, non è xenofobia. «Anzi sono contro l’appiattimento dei popoli e delle civiltà, voglio preservare la possibilità di mondi stranieri».
Nella grande sala da pranzo c’è un ritratto di Emmanuel Carrère. I due scrittori si sono frequentati per vent’anni. «Ti ammiro e ti considero come un amico» scrive Carrère in una lettera pubblicata nella raccolta “Propizio è avere ove recarsi”. L’amicizia è finita con la metamorfosi di Camus da raffinato dandy a “ideologo di estrema destra”, “oracolo dei gruppi identitari”: così l0 definisce adesso Carrère osservando l’evoluzione di un uomo solo che a un certo punto ha trovato, anziché lettori, dei seguaci. «Quegli individui la cui vocazione è ingabbiare in pesanti certezze un pensiero danzante» osserva Carrère che forse alludeva a qualcuno come Dominique Venner, amico di Camus, suicida nel 2013 dentro a Notre-Dame. Verner aveva lasciato un messaggio in cui sosteneva che il “Grand Remplacement” era una delle ragioni del suo gesto.
Niente sembra turbare Camus, come se la sua controversa dottrina politica fosse anche un’opera letteraria. In cima alla Torre c’è la scrivania dove l’estate scrive il suo diario, al quarantesimo volume, già pubblicato da Fayard prima che l’editore rompesse con lo scrittore maledetto. Oggi l’intellettuale si autopubblica, vende su Amazon, si promuove sui social. Vive con la pensione e qualche diritto d’autore. Spiega di non avere fondi per fare campagna elettorale. È riuscito però a registrare un video che, secondo le regole elettorali, sarà trasmesso sulla tv pubblica nei prossimi giorni.
Nell’ultima versione de “Le Grand Remplacement” Camus ha aggiunto una lunga risposta a Carrère in cui ironizza sul comodo appartamento del romanziere nel decimo arrondissement. Vi siete più sentiti? «Sono diventato un infrequentabile anche per lui». Un altro storico amico, Alain Finkielkraut, ha interrotto le relazioni. «È d’accordo con me ma dice che l’espressione “grande sostituzione” è troppo violenta». Per consolarsi parla del successo di Michel Houellebecq, che l’ha citato in “Sottomissione” immaginandolo come ghostwriter di Marine Le Pen alle presidenziali del 2022. Lui nega sia possibile. Potenza della letteratura.
Ha già partecipato simbolicamente a due presidenziali e ora si candida alle europee. Nella lista in vista del 26 maggio figura un rappresentante dei gilet gialli e un francese di origine algerina convertito al cattolicesimo. Uno dei punti del programma recita: «Non bisogna uscire dall’Europa ma farne uscire l’Africa che la colonizza profondamente». Nel 2015 era stato condannato proprio per aver scritto che i musulmani stavano «colonizzando» l’Europa. «Ribadisco», dice ora. Plaude a Matteo Salvini che ha chiuso i porti ma preferisce Viktor Orbán, ancora più deciso nel bloccare l’immigrazione. Marine Le Pen non lo convince perché, dice, «tergiversa» e non vuole organizzare la «rimigrazione». È la sua ultima, pericolosa proposta, ovvero il trasferimento in massa all’estero di chi non è in regola e ma anche di chi «non segue usi e costumi francesi».Plieux è un delizioso paesino arroccato sulle colline, con le case in pietra, le persiane azzurre, ringhiere di fiori. È una cartolina della Francia eterna. Ma Camus si accende di rabbia quando ne parla: aProvate ad andare a fare una passeggiata di sera vicino alla stazione di Agen», la città più vicina. «Guardate come si è ridotta Parigi e immagino sia così anche per Roma. Ormai il cammino è segnato: si va verso le bidonville globali».
Dice cose f atte apposta per scandalizzare, come quando si paragona ai partigiani che combattevano l’occupazione tedesca. Il suo discorso colto è pieno di buchi e contraddizioni. Ha delle cifre sulla presunta “sostituzione”? Glissa, è «un sentimento, una percezione». Gli facciamo notare che dall’Ottocento in poi sono state accolte varie ondate di migranti, anche italiani. Risposta: «Erano individui, non popoli che volevano rimpiazzare il nostro». La sua, dice, non è xenofobia. «Anzi sono contro l’appiattimento dei popoli e delle civiltà, voglio preservare la possibilità di mondi stranieri».
Nella grande sala da pranzo c’è un ritratto di Emmanuel Carrère. I due scrittori si sono frequentati per vent’anni. «Ti ammiro e ti considero come un amico» scrive Carrère in una lettera pubblicata nella raccolta “Propizio è avere ove recarsi”. L’amicizia è finita con la metamorfosi di Camus da raffinato dandy a “ideologo di estrema destra”, “oracolo dei gruppi identitari”: così l0 definisce adesso Carrère osservando l’evoluzione di un uomo solo che a un certo punto ha trovato, anziché lettori, dei seguaci. «Quegli individui la cui vocazione è ingabbiare in pesanti certezze un pensiero danzante» osserva Carrère che forse alludeva a qualcuno come Dominique Venner, amico di Camus, suicida nel 2013 dentro a Notre-Dame. Verner aveva lasciato un messaggio in cui sosteneva che il “Grand Remplacement” era una delle ragioni del suo gesto.
Niente sembra turbare Camus, come se la sua controversa dottrina politica fosse anche un’opera letteraria. In cima alla Torre c’è la scrivania dove l’estate scrive il suo diario, al quarantesimo volume, già pubblicato da Fayard prima che l’editore rompesse con lo scrittore maledetto. Oggi l’intellettuale si autopubblica, vende su Amazon, si promuove sui social. Vive con la pensione e qualche diritto d’autore. Spiega di non avere fondi per fare campagna elettorale. È riuscito però a registrare un video che, secondo le regole elettorali, sarà trasmesso sulla tv pubblica nei prossimi giorni.
Nell’ultima versione de “Le Grand Remplacement” Camus ha aggiunto una lunga risposta a Carrère in cui ironizza sul comodo appartamento del romanziere nel decimo arrondissement. Vi siete più sentiti? «Sono diventato un infrequentabile anche per lui». Un altro storico amico, Alain Finkielkraut, ha interrotto le relazioni. «È d’accordo con me ma dice che l’espressione “grande sostituzione” è troppo violenta». Per consolarsi parla del successo di Michel Houellebecq, che l’ha citato in “Sottomissione” immaginandolo come ghostwriter di Marine Le Pen alle presidenziali del 2022. Lui nega sia possibile. Potenza della letteratura.