Corriere della Sera, 16 maggio 2019
Il sacro Gange è sempre più inquinato
Ogni anno milioni di devoti si immergono nel Gange per purificarsi: tra cumuli d’immondizia, schiuma e un fetore insopportabile rischiano invece di ammalarsi. Le acque del fiume sacro sono tra le più inquinate al mondo, ridotte in più parti a fanghiglia tossica. Cristalline quando sgorgano dalle vette dell’Himalaya, si intorpidiscono man mano che progrediscono nella loro lunga corsa, assumendo a tratti un inquietante colore rosso scuro. «Ganga Mata» (madre Gange), adorata come una divinità, è agonizzante e nemmeno il premier Narendra Modi, fervente induista, riesce a salvarla. Ne aveva fatto una priorità della sua agenda in campagna elettorale nel 2014 e di nuovo in questi mesi, ma con lui al governo la situazione è peggiorata.
Il leader dei nazionalisti Bjp per il suo debutto sulla scena politica nazionale 5 anni fa si era candidato proprio a Varanasi, la città sacra sul Gange. La sua schiacciante vittoria era stata rilanciata come una sorta di investitura divina: «Ma Gangaha deciso che io debba avere delle responsabilità – aveva scandito Modi —. Dalla sorgente fino alla foce Ma Ganga sta gridando aiuto. Sta dicendo: “deve esserci qualcuno dei miei figli che viene a tirarmi fuori da questa sporcizia”». Così in un discorso tv il neopremier promise che il Gange sarebbe stato ripulito in 5 anni. Mesi fa la rettifica: tornerà all’antico splendore nel 2020. Un obiettivo a dir poco ambizioso in un Paese in rapida crescita economica, con un miliardo e 300mila abitanti di cui un terzo concentrati proprio nel bacino.
Una «missione impossibile», a detta di diversi ambientalisti. Che, dati alla mano, mostrano come la situazione delle acque sia tutt’altro che migliorata. Un bilancio ignorato da Modi, che con la tornata elettorale in corso (domenica l’ultimo appuntamento) ha parlato di «miglioramento della salute e della biodiversità del Gange negli ultimi due-tre anni».
Che le intenzioni fossero buone lo testimonia il budget allocato per il progetto: l’equivalente di tre miliardi di dollari. «In realtà soltanto un terzo sono stati spesi – racconta al Corriere Rakesh K. Jaiswal, attivista di Ecofriends da 25 anni impegnato nel monitoraggio delle acque – Il progetto è buono, ma è stato realizzato soltanto al 20%. Per lo più sono interventi di facciata: abbellimento delle sponde nelle località più in vista come Varanasi e Kanpur, poco o nulla per risolvere i maggiori fattori di inquinamento». Vale a dire: gli scarichi delle tante città che fanno defluire le proprie fogne nel fiume, senza nessun filtro o depurazione, e i liquami tossici riversati dalle industrie. Ad aggravare la situazione le decine di tonnellate di ceneri delle cremazioni e di resti umani gettati ogni anno nel fiume.
Fondi non spesi
Cinque anni fa stanziati 3 miliardi di dollari per il fiume, ma soltanto un terzo è stato speso
Il risultato è una miscela crescente di colibatteri fecali e di altre sostanze inquinanti provenienti anche dai prodotti chimici usati in agricoltura. La situazione da cattiva è diventata pessima, sintetizza Jaiswal. «Il Gange soffre per l’apatia sia del governo centrale che di quelli locali» valuta da New Delhi Rakesh Chandra Mehta, avvocato ambientalista che dal 1985 ha portato la battaglia anche alla Corte Suprema e al Tribunale Verde.
Precisa Jaiswal: «Il National Ganga Council guidato da Modi non si è mai riunito, nessuna decisione è stata presa per esempio sul livello minimo che le sue acque possono raggiungere, prosciugato com’è dal sistema di dighe e canali utili per l’agricoltura». L’esploratore Alex Bellini, che ha da poco concluso il suo viaggio lungo il Gange, nel suo diario racconta del fiume in secca a Bhagalpur e del fetore a Calcutta: «Qui i poliziotti sono equipaggiati con bombole d’ossigeno e le discariche sorgono sulle sponde del fiume. L’odore anche dietro la maschera è così forte che trattengo il più possibile il fiato».
Sintetizza con il Corriere Viktor Mallet, autore di River of Life, River of Death: «L’agonia del Gange è un emblema di quanto sia difficile realizzare progetti in India anche quando i soldi ci sono».