La Stampa, 16 maggio 2019
San Francisco vieta il computer che legge i volti
San Francisco sarà la prima città americana a vietare alla polizia l’uso di algoritmi di “face recognition” capaci di identificare le persone dall’immagine del volto. La patria di Silicon Valley sceglie stavolta l’antica natura libertaria, dalla beat generation ai figli dei fiori, e vieta la tecnica utile a catturare criminali e terroristi grazie a programmi che analizzano i tratti caratteristici di una persona e rimandano alla sua identità e ai movimenti recenti.
Matt Cagle, dell’associazione per i diritti civili Aclu, canta vittoria “San Francisco conferma che la sorveglianza tecnologica è incompatibile con una sana democrazia”, la polizia lamenta che la misura, che dovrà essere confermata da un voto la prossima settimana, “danneggia la sicurezza, invece di un divieto era meglio regolamentare la nuova tecnica”.
In Cina il presidente Xi Jinping ha lanciato un programma di controllo sociale via computer senza precedenti, l’istituto Ihs Markit computa oltre 200 milioni di telecamere installate entro il 2020, l’acquisto di due terzi dei server mondiali destinati allo scan video di immagini e investimenti per 30 miliardi di euro in sicurezza digitale. Vittime principali i musulmani della minoranza degli Uiguri, bersaglio di algoritmi ad hoc disegnati da aziende come Yitu, che nel 2017 vinse il concorso per il miglior software di riconoscimento facciale indetto, pensate!, proprio dall’agenzia di spionaggio Usa Nsa.
Per questo non tutti sono persuasi che la scelta libertaria di San Francisco sia positiva, chiedendosi se i terroristi dell’11 settembre 2001 o della maratona di Boston non sarebbero stati catturati grazie a telecamere collegate con intelligenza artificiale. Il professore Jonathan Turley della G. Washington University obietta al New York Times: “È ridicolo negare che queste tecnologie siano utili ai posti di dogana o negli aeroporti, hanno un valore importante per la sicurezza”.
Eppure San Francisco, consapevole dei rischi, scommette sulla libertà individuale contro lo stato occhiuto e altri si apprestano a imitarla, per esempio Oakland in California, Somerville, sobborgo di Boston, il Massachusetts e la stessa Camera ne vuol discutere a Washington. La preoccupazione è che gli algoritmi oggi usati in 30 dei 50 Stati Usa siano più efficaci nel distinguere le caratteristiche somatiche dei maschi bianchi, e meno precisi nell’assegnare al volto di una donna, un afroamericano, un ispanico o asiatico, l’identità corretta. L’errore standard espone donne e minoranze a arresti ingiusti, multe, perquisizioni e andrebbe espunto dal software.
La scelta di San Francisco, libertà su sicurezza, conferma la crescente ostilità per le tecnologie, pur quasi tutte Made in America. I lavoratori di Google e di altre compagnie digitali non vogliono che le loro ricerche sull’intelligenza artificiale siano condivise a uso militare, Apple nega alla polizia l’accesso al software dei suoi cellulari. Al contrario, in Cina, lo Stato ha il monopolio assoluto della ricerca e le aziende devono fornire alle autorità i dati richiesti. Per Usa ed Europa si avvicina un dilemma strategico: l’opinione pubblica non ha fiducia nelle istituzioni e non vuole intrusioni nella privacy, anche a vantaggio di terroristi o nemici, mentre Pechino ammassa dati e strumenti di controllo dei cittadini, spesso condivisi con regimi vassalli, vedi il Venezuela dove la compagnia telefonica cinese Zte organizza il software per l’intelligence di Maduro. La tecnologia non crea le fratture delle nostre comunità o le diffidenze tra cittadini e Stato, ma le svela con la precisione con cui riconosce un volto nella folla sterminata. Nella prima Guerra Fredda la fiducia occidentale nella politica fu svantaggio per la Russia totalitaria, nella seconda Guerra Fredda la sfiducia dominante delle democrazie potrebbe rivelarsi arma vincente per la Cina.