il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2019
Intervista alla ballerina Virna Toppi
Mors tua, vita mea. La fortuna di Virna Toppi è poter approfittare della sfortuna di un’altra ballerina. E che ballerina: Lucia Lacarra, étoile spagnola che rimarrà nella storia della danza per le sue linee perfette (oltre l’umana elasticità), la sua determinazione e la sua sinuosità. Lacarra era attesa a Roma per la Cenerentola in programma da stasera a domenica al Brancaccio, ma si è fatta male: un infortunio piuttosto serio le impedirà di esserci e quindi, al suo posto, il coreografo Luciano Cannito ha chiamato proprio lei, Virna, da febbraio 2018 Principal Dancer del Teatro alla Scala. Nata a Lentate sul Seveso, nel milanese, 26 anni fa, Toppi è entrata nelle case degli italiani lo scorso Capodanno, quando si è esibita con Roberto Bolle e Cesare Cremonini nello show “Danza con me”.
Ha preso il posto di Lucia Lacarra. Dica la verità, se la sta godendo?
Mi dispiace tantissimo, Lucia è una strepitosa artista e una persona meravigliosa. Purtroppo, nel nostro lavoro, gli infortuni possono capitare. È successo anche a me, tre mesi fa mi sono rotta i legamenti di un piede. Per i danzatori non è sufficiente guarire, dobbiamo guarire bene, ricominciare a pompare con i muscoli. Detto questo, certo: nella sua sfortuna, mi sento fortunata.
Cos’ha pensato quando l’hanno chiamata?
Il maestro Cannito mi ha mandato il trailer di una Cenerentola che aveva realizzato in passato. Appena l’ho visto, me ne sono innamorata. È una delle fiabe per eccellenza, la protagonista fa tenerezza e simpatia. Matrigna e sorellastre immettono nella storia un che di divertente. E adoro le musiche di Prokoviev.
Nel mondo della danza c’è un grande dibattito sulla validità dei “classici”. In fondo, siamo nel 2019: perché dovremmo riproporre balletti del 1945?
Sono a favore dell’innovazione, del provare cose nuove: i tempi cambiano e anche noi danzatori dobbiamo cambiare. Oggi sono richiesti virtuosismi che in passato erano inimmaginabili. Però il passato non si rinnega né si dimentica. Le fiabe – Cenerentola, Giselle, La Bella Addormentata – fanno parte della nostra arte e i loro messaggi sono ancora attuali.
Anche la sua sembra una storia principesca: la bambina che ama la danza e che a 10 anni realizza il suo sogno, l’Accademia della Scala.
Ho avuto la fortuna di vivere vicino Milano, quindi ogni giorno facevo su e giù con il treno. Un sogno? Certo. Ma immagina cosa significhi, a quell’età, svegliarsi alle 5.40 ogni mattina, sabato compreso, per tornare a casa alle otto di sera? Rinunciare alla famiglia, agli amici, alla discoteca, alle uscite in motorino? Provare l’ansia da prestazione, ancora bambina? Eppure non le ho mai considerate rinunce, non mi sono mai pentita e, se tornassi indietro, rifarei esattamente tutto.
Dopo il diploma, ha lavorato per un anno a Dresda, per poi tornare a Milano. Perché?
Sono partita per imparare a vivere da sola, mettermi alla prova con una cultura e una lingua diverse. Ma l’Italia è l’Italia e la Scala è stato un punto d’arrivo, non di partenza. Ballare per il nostro pubblico è quello che ho voluto fin da piccola.
Il suo amico Roberto Bolle ha avuto il grande merito di rendere la danza classica un’arte pop. È d’accordo?
Non solo ha avvicinato le persone al teatro, ma ha fatto capire che il balletto non è noioso, tutt’altro, è un mondo da scoprire. Roberto è un artista immenso e una persona generosa: se vede che proviamo, si ferma a darci consigli.
Eppure in Italia la danza è considerata un’arte minore. Centinaia di scuole, e poi chiudono i corpi di ballo.
È scandaloso. Abbiamo la fortuna di avere un patrimonio della bellezza e lasciamo che chiuda. Mi auguro che qualcuno si ravveda.