il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2019
Intervista a Pedro Almodóvar
Sui numeri Antonio Banderas e Pedro Almodóvar non vanno d’accordo. Per l’attore, il protagonista di Dolor y gloria “è al 90% Pedro”, mentre il regista offre due varianti: “Nella realtà, mi corrisponde al 40%; in una realtà più profonda, al 100%. Diciamo così, tutto quel che c’è nel film che non ho vissuto in prima persona potrei comunque averlo vissuto”. Le differenze però non tengono: all’ottavo film insieme, Pedro lo ribattezza il “mio Mastroianni”, Antonio – letterale – gli dà il proprio cuore.
In Concorso al 72° Festival di Cannes e da domani nelle nostre sale, Dolor y gloria inquadra un sessantenne regista, Salvador Mallo, che associa a un celebrato passato un presente inappetente: prostrato nel fisico, dipendente dai farmaci e poi dall’eroina, non riesce più a fare cinema e, dunque, a vivere.
Almodóvar, vi ha proiettato le sue paure?
Mancanza di ispirazione e incapacità fisica, da sempre convivo con questi due fantasmi: sono la più grande paura della mia vita. Ma Dolor y gloria è anche altro, è una dichiarazione d’amore per il cinema e per il grande schermo.
Banderas, il suo primo film è “Labirinto di passioni”. Trentasette anni dopo, come ha trovato Pedro?
Ha depurato il suo stile, non è più l’enfant terrible di Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio, ma non ha perso la sua personalità, e non parlo solo di colori, vestiti e modo di raccontare. Ha sempre tenuto fede a se stesso, non si è mai inchinato al denaro, nonostante dall’America gli piovessero offerte economicamente succulente.
A: Be’, veramente un’offerta che non potessi rifiutare non mi è mai arrivata, ma non ho rimpianti, sono affezionato al mio modello produttivo. Mi sarebbe piaciuto fare Brokeback Mountain, questo sì, ma nel racconto di Annie Proulx i due cowboy scopano come animali: c’è un elemento fisico che Hollywood non avrebbe tollerato, e infatti.
Come avete plasmato Salvador Mallo?A: La dipendenza di Salvador non è dall’eroina, ma dal cinema, è quello il suo primer deseo, primo desiderio, e lo confessa: “Il cinema mi ha salvato”. E così è per me, sin da quando avevo dieci anni: non so perché, non è genetico, ma misterioso, vidi un melodramma su delle orfanelle e mi innamorai.
B: Il suo dolore è anche il mio: ho avuto un infarto, potevo nasconderlo, Pedro mi ha esortato a mostrarlo, a non essere reticente. Salvador è bollito, drogato, ma Pedro mi ha detto: “Non voglio sentirlo”. E ha aggiunto: “Tu sei me, ma non voglio sentirlo”.
Facile trovare un’intesa?B: A 22 anni di distanza da Légami!, mi richiamò nel 2011 per La pelle che abito: buttai sul tavolo tutto quel che avevo fatto nel frattempo, le medaglie, gli onori. “È merda”, mi disse Pedro, “non mi interessa”, e fu come essere preso a schiaffi. Girammo l’intero film uno contro l’altro, muso a muso. Quando mi ha contattato per Dolor y gloria, me lo son detto subito: “Non farò lo stesso errore, sono qui per sapere cosa vuoi da me”. E me l’ha detto, sarebbe stato un ruolo doloroso, senza equilibrio, senza difese: “Sei nudo”, questo.
A: Non volevo la sua bravura, quell’intensità barocca che l’ha reso famoso. Credo che questo sia il lavoro di Antonio più squisito.
La querelle tra il Festival di Cannes e Netflix non s’è sopita.B: Il cinema oggi è più internazionale, le piattaforme streaming garantiscono una mole di lavoro a noi attori. Ma c’è grande confusione di contenuti, e sono d’accordo con il festival: un titolo proiettato qui deve finire sul grande schermo. Non ci sono mai stati tanti film come oggi, eppure le sale sono sempre più vuote: peccato, il cinema è un fatto sociale.
A: Senza Cannes la mia vita non sarebbe la stessa, qui c’è il pubblico più generoso, i film d’autore trovano l’aiuto e l’appoggio che meritano. Ultimamente non ho visto molti film che mi siano piaciuti, salvo Roma di Alfonso Cuarón: non l’ho visto su Netflix, ma in sala.
La Spagna ha votato, tra poco ci sono le Europee: che dobbiamo aspettarci?A: Il risultato delle elezioni è stato una sorpresa positiva: di fronte a un’opzione di estrema destra, e una campagna elettorale di menzogne, la Spagna è andata a sinistra, e i quattro anni che ci aspettano saranno meglio dei precedenti. Sulle Europee non si possono fare previsioni, speriamo.