La Stampa, 15 maggio 2019
Trump prepara 120mila soldati contro l’Iran
Un’armata composta da 120.000 uomini, simile nei numeri a quella che nel 2003 aveva invaso l’Iraq, per punire l’Iran se colpisse gli interessi americani o dei loro alleati. È il piano più aggressivo che il Pentagono ha presentato alla Casa Bianca, durante un vertice di guerra rivelato dal New York Times. Trump ha liquidato la notizia come «fake news», e l’ayatollah Khamenei ha detto che non ci sarà un conflitto con gli Usa, ma il timore di una escalation sta dominando il dibattito tra gli analisti.
Secondo il Times, tutto è cominciato quando il 3 maggio scorso l’intelligence americana e alleata ha rivelato movimenti degli apparati di sicurezza iraniani, che facevano supporre un cambio di strategia finalizzato a preparare attacchi. Forse una reazione alle pesantezza delle nuove sanzioni Usa, che stanno mettendo in ginocchio l’economia di Teheran, in particolare col tentativo di bloccare tutte le esportazioni di petrolio. Il 5 maggio il consigliere per la sicurezza nazionale Bolton ha pubblicato un comunicato, in cui annunciava lo schieramento nella regione del Golfo della portaerei Lincoln, più una task force di bombardieri B52 e una batteria di missili Patriot. Lo scopo era tenersi pronti a reagire con la massima forza a «ogni attacco contro interessi degli Stati Uniti, o dei nostri alleati». Giovedì scorso quindi Bolton ha convocato una riunione alla Casa Bianca, alla quale hanno partecipato il ministro della Difesa ad interim Shanahan, il capo degli Stati Maggiori Riuniti Dunford, la direttrice della Cia Haspel, e il direttore dell’intelligenc nazionale Coats. Shanahan ha introdotto i piani aggiornati per contrastare l’Iran, e Dunford è sceso nei dettagli, offrendo varie ipotesi. La più aggressiva prevedeva l’invio di 120.000 soldati nella regione, fra truppe di terra, marinai e piloti. Non considerava un’invasione di terra, ma le dimensioni dello spiegamento erano simili a quello usato nel 2003 per rovesciare Saddam. Il Pentagono ha sempre pronti i piani di intervento in ogni potenziale teatro di guerra, come il Venezuela, e quelli per l’Iran includono anche l’opzione “Nitro Zeus”, ossia un attacco cibernetico per paralizzare il paese senza bombardarlo. La riunione alla Casa Bianca però ha suscitato preoccupazione, anche perché è nota la propensione di Bolton per un intervento militare contro la Repubblica islamica, che aveva sollecitato anche all’epoca dell’amministrazione Bush.
I nemici smentiscono
Trump ieri ha smentito: «Penso sia fake news, ok? Lo farei? Assolutamente. Ma non abbiamo piani. E se li avessimo fatti, manderemmo molti più soldati». Khamenei ha risposto così in tv: «Non ci sarà alcuna guerra. La nazione iraniana ha scelto il sentiero della resistenza». Il ministro degli Esteri Zarif ha però accusato «individui radicali nell’amministrazione e nella regione che perseguono politiche pericolose», ad esempio attribuendo all’Iran i recenti attacchi contro due petroliere nel Golfo, mentre il portavoce all’Onu Alireza Miryousefi ha detto che «il B team», cioè Bolton, il premier israeliano Netanyahu, il principe saudita Mohammed bin Salman, e quello degli Emirati bin Zayed, sta attivamente cercando di provocare un conflitto.
Trump ha sempre detto che tutte le opzioni sono sul tavolo, ma quando aveva nominato Bolton come suo consigliere, lo aveva avvertito che non gli avrebbe consentito di trascinarlo in una guerra. In campagna elettorale il futuro presidente aveva definito l’invasione dell’Iraq come una delle decisioni più stupide mai prese da Washington, e ha poi premuto per il ritiro da Siria e Afghanistan. L’Iran però ha un peso geopolitico diverso, e contrastarlo è al centro della strategia mediorientale di Trump.
L’incidente è dietro l’angolo
Secondo un’analisi della Rand Corporation, l’obiettivo degli Usa è forzare la Repubblica islamica a siglare un nuovo accordo, mentre quello di Teheran è aspettare la fine di questa amministrazione. Il rischio di un errore però è grande, perché non ci sono più le comunicazioni dirette come nel 2016, quando alcuni marinai americani furono arrestati in acque iraniane. Oltre alla Lincoln, gli Usa hanno inviato uno squadrone di F35 nella base al Dhafra degli Emirati, ed operano in Afghanistan, Iraq e Siria, nella base al Tanf. Le unità di mobilitazione popolare create dall’Iran in Iraq in funzione anti Isis non lavorano più con gli americani, perché il Califfato è sconfitto, e l’incidente è dietro l’angolo. Bolton poi ha esteso la linea rossa alla protezione degli alleati, e quindi in teoria anche il lancio di un missile da parte degli Houthi verso Riad può provocare un conflitto.