Libero, 15 maggio 2019
I metodi per diventare eterni
■ È il 1996 quando Alberto Giuliani, giornalista, fotografo e regista, si sente dire perla prima volta chemorirà prima di compiere quarantacinque anni: si trova in un caffè della città di Irkutsk,la “Parigi della Siberia”, sullago Bajkal, e c’è una vecchia che lo fissa. È una chiromante: gli prende le mani, guarda i palmi. Poi mette una mano in tasca, ne estrae delle pietre bianche, gli fa segno di gettarle a terra. Giuliani, all’epoca ventenne, fa spallucce: guarda le pietre, la ascolta pronunciare quella sua profezia nefasta, le volta le spalle. È il 1999 quando Alberto Giuliani si sente dire per la seconda volta che morirà in un giorno caldo dei suoi quarantatréanni. E questa voltaa parlare è un bramino, a Vridavan, sulle rive del fiume Yamuna, in India: «È il mio regalo», gli dice l’indiano dopo avergli “diagnosticato” la dipartita, «perché tu possa arrivare preparato. Un uomo del futuro ti saprà aiutare». Giuliani è un occidentale, a questa roba delle profezie non crede, e infatti si sforza di cacciar via i due stranieri che, comunque, in qualche modo gli hanno riempito la testa di dubbi, finché gli scattalamolla e decide dimettersia studiare tuttiimodi cheil genereumano staescogitando perannullare la morte, così da prepararsi una via di fuga. Da questo vagabondare alla ricerca di soluzioni, alcune geniali, la maggior parte folli, nasce il volume Gli immortali(il Saggiatore, 207 pp., 19 euro), una sorta di reportage arricchito conil progettofotograficoSurviving Humanity, realizzato durante il viaggio. Nel suo pellegrinaggio Giuliani avrà a che fare con gli scienziati della Nasa che hanno vissuto nel deserto delle Hawaii per simulare la vita su Marte; con la storia dell’Alcor, la clinica dove vengono criogenizzati corpi, e teste; con l’Eden Project, la serra-arca di Noè costruita in Cornovaglia che custodisce due milioni di piante; coni bunker ultralusso dove si nasconderanno i ricchi il giorno del giudizio. E infine con gli umanoidi giapponesi del professor Ishiguro e con i cani clonati dalla Sooam Biotech, in Corea del Sud. ETERNITÀ IN STAND-BY I risultati, in verità, non sono molto soddisfacenti. All’equipaggio messo insieme dalla Nasa per prepararli a colonizzare Marte, per esempio, non è andata benissimo: «Dopo un anno, l’odore stagnante della latrina si mescolava a quello del cibo e dei corpi (…). Sessanta secondi d’acquaalla settimana sarà il tempo concesso alla doccia», racconta l’autore, «il cibo sarà liofilizzato. La temperatura passerà da più 50 gradi a -140 ogni giorno». Se qualcuno riesce a illudersi che lassù possa esistere un futuro – ovviamente con una vita (senza aggiungerela dicitura “qualità della”) – il secondo capitolo è ancora peggio: si parla di crioconservazione, ovvero la pratica conservare i morti congelati a -196 gradi inenormi cilindri diacciaio («In ognuno ci stanno quattro corpi e quattro teste») per vederli resuscitare «certamente fra meno di cent’anni», assicura il proprietario dell’azienda Alcor, Max More, a Phoenix, negli Stati Uniti. All’Alcor, Giuliani, viene accolto da More con un: «Benvenuto nella sala d’aspetto dell’eternità», il quale ci tiene a specificare che i suoi pazienti «non sono morti, sono in stand-by». Pochi mesi fa, nel libro Essere una macchina,in cui si racconta delle tante versioni dei trasumanisti,il giornalista irlandese O’Connell riportava la sua visita al campus di Google: «Per favore, Google, risolvi il problema morte», diceva un cartello. UN’ILLUSIONE Giuliani prosegue sulla strada tracciata dal reportage dell’irlandesee, più si avvicina, più si accorge degli errori filosofici dei suoi ospiti: come lo scienziato giapponese Ishiguro, professore dell’università di Osaka, alla ricerca «dell’uomo perfetto», scrive l’autore, e che si accompagna con Erika, «l’umanoide più bello che sia mai stato creato». «Tra noi umani la conversazione è una specie diillusione», spiega Ishiguro, «Con un umanoide è diverso, sappiamo che non ci può mentire e raggiungiamo un grado di confidenza più profondo». E qui c’è un errore di rifrazione: come cercare di prendere un pesce, fiondare la mano nell’acqua dove vediamo la sua immagine e invece scoprire che non era lì, ma accanto. Per l’uomo, dice il giapponese, l’empatia è basata sul riconoscimento del simile, e non sul dettagliofisico, tant’è che «quando guardiamo una persona con un handicap, non pensiamo che sia umana al 70 per cento»; e quindi quando il nostro corpo cambierà perché saremo “completati” da pezzi robotici ciò non ci renderà “meno umani”. Il giapponese, però, non si chiede quale sia il limite entro cui formae sostanza comincianoa coincidere: un uomo senza gambe è un uomo ugualmente,ma un uomo col cervello positronico, di qualeempatia sarà capace, se, non potendo mentire, non potrà esercitarelibere scelte? Proprio dell’umano invece è scegliere di non mentire perché l’altro si fidi di te. Anche una lavatrice non mente mai sulla fine di un lavaggio: ciò la rende umana? Giuliani termina il suo viaggio tornando a Vrindavan, «per cercare quel bramino»: troverà il figlio, Gosawami. È un sacerdote 2.0, usa Whatsapp, senza che questo intacchi il suo spirito: «È con tuofiglio che devi stare. Forse lui sarà quell’uomo del futuro di cui parlava mio padre». C’è poi altro modo, per l’uomo, di risorgere? © RIPRODUZIONE RISERVATA