La Stampa, 15 maggio 2019
Cinghiali raddoppiati in dieci anni
I contadini se le sono davvero inventate tutte. Superati, e da molto, gli spaventapasseri, anche i cannoncini che sparano a ripetizione non scoraggiano più né i cinghiali né le cornacchie. Qualcuno nel frattempo ha delimitato i suoi campi con le reti metalliche e qualcun altro ha addirittura creato vere e proprie colture alternative: spazi ricchi di cibo per attirare gli animali selvatici e allontanare i branchi dai campi appena seminati o da quelli già pronti per la raccolta. Trappole, ronde notturne e disturbatori a ultrasuoni non sembrano strumenti sufficienti e i contadini italiani si ritrovano ogni giorno a fare i conti con un vero e proprio assalto. Dal Piemonte all’Emilia Romagna, dal Veneto alla Sicilia, i nemici degli agricoltori appartengono a una sessantina di specie diverse: i cervi e i caprioli, ma anche le nutrie, i lupi, i corvi e gli scoiattoli. E da qualche parte persino i fenicotteri.
Gli unici che accomunano tutte le regioni sono i cinghiali, che – secondo uno studio della Confederazione italiana agricoltori – sono raddoppiati nel giro di dieci anni, passando dal rischio estinzione a una popolazione di 2 milioni di esemplari. Anche i cervi, secondo il dossier della Cia, crescono a dismisura e in 8 anni sono arrivati a oltre 200 mila capi. Molti di più sono i caprioli, che da 465 mila sono arrivati ora a 700 mila. I danni registrati dalle aziende agricole sfiorano ogni anno i 60 milioni di euro ma i risarcimenti arrivano col contagocce e la proposta di far scattare un piano di abbattimenti scatena puntuale la protesta degli ambientalisti.
La proposta alternativa è una nuova legge. La Confederazione italiana agricoltori ha già scritto il testo e lo presenta al Parlamento. «Pochi cambiamenti per una piccola rivoluzione: cioè passare dal concetto di tutela della fauna selvatica a quello di gestione – spiega il presidente dell’organizzazione, Dino Scanavino – La protezione aveva senso quando molte specie rischiavano davvero l’estinzione, ora la situazione è ribaltata ed è fuori controllo».
I punti del testo di legge elaborato dalla Cia sono sette e prevedono anche quella che viene definitiva l’autotutela degli agricoltori. Una specie di legittima difesa in chiave campagnola. «All’interno dei propri appezzamenti gli imprenditori agricoli devono essere liberi di proteggere le colture – sottolinea Pino Cornacchia, responsabile del Dipartimento economico della Confederazione agricoltori – I metodi devono essere principalmente quelli ecologici, a iniziare dalle trappole, ma deve essere concessa anche la possibilità di abbattere gli animali che devastano i campi». La black-list delle specie più aggressive già c’è, il prossimo passo – secondo gli agricoltori – dovrebbe essere quello delle quote dei piani di cattura in caso di superamento. «Non possiamo più affidare la prevenzione solo all’attività venatoria – aggiunge il presidente della Cia – In questi anni i danni insostenibili hanno convinto molti contadini ad abbandonare l’attività».