Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  maggio 15 Mercoledì calendario

Il robot di Amazon inventato dagli italiani

dalla nostra inviata Città di Castello – Jeans da teenager sapientemente stracciati, aria cordiale, sigaretta tra le dita, Francesco Ponti, l’uomo che dall’Umbria sta lanciando nel mondo i robot per i magazzini Amazon, si affaccia al portone della sua azienda, nella quiete della campagna di Città di Castello. «Scusateci, abbiamo un patto con Seattle, siamo vincolati al silenzio. Però è vero, siamo noi che produciamo quelle macchine per imballaggi. Ha iniziato mio padre Giuseppe, trent’anni fa, in un garage. Oggi esportiamo in ogni parte del pianeta, Cina compresa». Un garage, appunto. Come in ogni storia di successo dei nostri giorni. Duecento dipendenti tra ingegneri, informatici e operai, un quartier generale con poco sfarzo, vetri azzurri e prati verdi, due grandi capannoni industriali. La “Cmc” della famiglia Ponti di Città di Castello fa parte di quel “made in Italy” appartato e saldo che produce alta tecnologia e buoni fatturati. Fino a due giorni fa però. Da quando, cioè, un lancio di agenzia della “Reuters” ha svelato che proprio da qui, da questo angolo di Umbria, partiranno decine di sofisticatissime macchine per imballaggio (chiamate Carton Wrap) che nei magazzini Amazon sostituiranno gli umani che oggi impacchettano i milioni di oggetti ordinati, ogni secondo, nell’impero di Jeff Bezos. Veri e propri robot italiani, anzi umbri, sotto forma di “sistemi” anche se non di androidi, ognuno dei quali potrà fare il lavoro di 24 addetti in ogni deposito. Provocando, è la lugubre previsione della “Reuters”, oltre 1.300 tagli di posti di lavoro in 55 centri americani. Qualcosa di molto simile a un incubo se si pensa ai posti di lavoro bruciati e ai magazzinieri disoccupati. Qualcosa, invece, di molto vicino a una sfida raggiunta se si immagina la conquista tecnologica. Ossia la fantascienza che prende forma e divora gli umani, grazie a un nastro trasportatore che pesa l’oggetto, lo avvolge, lo imballa e prepara addirittura la bolla d’accompagno. Alla velocità di 700 scatole all’ora, una irraggiungibile catena di montaggio. Uno scenario futuribile che s’incarna. Francesco Ponti allaga le braccia, mentre mostra la sfilza di brevetti e premi conquistati dalla “Cmc”, il cui motto aziendale è We inspire the future, noi ispiriamo (e respiriamo) il futuro, attraverso le grandi finestre azzurre che si affacciano, guarda caso, su via Carlo Marx. «Capitemi, sarei orgoglioso di spiegarvi come funzionano i nostri prototipi. Ma abbiamo un patto con Amazon. La nostra è un’azienda familiare, siamo da sempre specializzati nel packaging. Chi ha inventato il sistema “Carton Wrap”? Un team di ingegneri e informatici. Negli anni abbiamo avuto successo, non lo nego, grazie all’intuizione di mio padre Giuseppe, in quel garage, nel 1980». Ma non teme che i robot della “Cmc” portino a licenziamenti a catena nei depositi Amazon? Francesco Ponti glissa: «Quando le aziende diventano così grandi, si evolvono». È vero, è il futuro, ma fa paura. Perché i nuovi robot che sostituiranno gli umani, tolgono lavoro (24 dipendenti per ogni macchina) ma portano anche lavoro. Robot che “parlano” italiano, pensati e fabbricati nell’alta valle del Tevere, tra aziende di ceramiche in crisi dalla concorrenza cinese e capannoni tessili in disarmo. E forse la reticenza a commentare (anche da parte dei sindacati) nasce proprio da qui. Il timore che Amazon ci ripensi. O che l’evidente equazione robot-disoccupazione crei troppe voci attorno al programma di automazione italiano dei magazzini di Bezos. Facendo perdere l’appalto all’azienda di Giuseppe e Francesco Ponti di Città di Castello. Un “made in Italy” familiare che dà occupazione a oltre 200 operai e tecnici, alle spalle la crisi (superata) del 2009, grazie alle massicce esportazioni. I dipendenti passano, salutano gentilmente, ma rispettano la consegna del silenzio. Ieri il vicepresidente per le operazioni del colosso di Seattle, Dave Clark, ha provato a rassicurare gli addetti dei magazzini all over the world : «La nostra principale questione è quella di trovare personale in grado di svolgere il lavoro che abbiamo e che abbiamo creato». Ma è noto che Amazon ha annunciato l’esodo incentivato dei dipendenti della logistica, offrendo 10 mila dollari a chi vuole mettersi in proprio e investire sulle spedizioni. Tutto sembra già deciso dunque. I non più futuribili robot italiani di Città di Castello impacchetteranno le merci di Amazon. Gli addetti con la tuta blu e la maglietta gialla (spesso giovani) perderanno il lavoro e saranno sostituiti dalla tecnologia. Come il finale, amaro, di un romanzo di fantascienza che diventa realtà, di un film già visto dove gli androidi cacciano gli umani. Ponti, l’imprenditore umbro seduto su un pezzo di futuro che fa paura: “La nostra è un’azienda familiare, l’ha avviata mio padre trent’anni fa Oggi esportiamo in tutto il mondo, Cina compresa”