Corriere della Sera, 14 maggio 2019
Cosa vedremo a Cannes
CANNES Misteri e delitti a Cannes, con una coda polemica su Alain Delon, non degno secondo le femministe di ricevere la Palma onoraria per il suo presunto sessismo.
La sottile linea rossa che unisce tanti lavori fra i 21 in concorso sembra un film preso in prestito da Woody Allen, habitué alla Croisette ma non quest’anno. A cominciare dall’apertura di oggi, I morti non muoiono di Jim Jarmusch, dove i morti affamati escono dalle tombe, e certo non per giocare a carte con gli abitanti di Centerville, pacifica cittadina dell’Ohio. Supercast corale, la solita compagnia di giro di Jarmusch: Tom Waits, Bill Murray, Iggy Pop, Adam Drive, Tilda Swinton che con lui in Solo gli amanti sopravvivono aveva già «ballato» in un set lo stesso tango rosso sangue. Prendendo alla lettera il titolo del film, gli attori-zombie del regista dal gusto e dal ciuffo ribelle non aprono bocca fino a domani.
Misteri e ossessioni si affacciano nel film forse più atteso, entrato all’ultimo nella griglia di partenza: Once Upon A Time...In Hollywood di Quentin Tarantino (il titolo è un omaggio a Sergio Leone). Quello che in un primo tempo sembrava il cuore del film, ovvero la strage di Sharon Tate e dei suoi quattro amici a Bel Air in California, anno 1969, compiuta dal simbolo del male assoluto, Charles Manson e dai seguaci della sua setta, è soltanto uno dei fili. Il demonio fatto uomo tra realtà e finzione si intreccia (nello stile tarantiniano più tipico) alle gesta di Brad Pitt, che nel sottobosco di Hollywood fa la controfigura e lo stuntman, e a quelle del suo amico Leonardo DiCaprio, attore di film western in tv che vuole sfondare alla mecca del cinema. Tarantino immagina il personaggio di DiCaprio vicino di casa di Sharon Tate. All’epoca lei era una promessa di Hollywood, la chiamavano «la diva di domani» ed è impersonata da una freschissima diva di oggi, la bellissima Margot Robbie.
In Dolor Y Gloria Pedro Almodóvar si getta nei segreti della sua vita: nel suo film più autobiografico, racconta di un regista un crisi, con un Antonio Banderas (perfino abiti e scarpe sono di Pedro) depresso, fino alla rinascita. Ma la Palma del pozzo nero dei misteri va a Marco Bellocchio, italiano in gara con Il Traditore, sul primo grande pentito della mafia, Tommaso Buscetta, con il grande Pierfrancesco Favino che confessa al giudice Falcone i segreti della Piramide di Cosa Nostra: ecco l’ex boss arrestato (a Rio de Janeiro, dove si faceva chiamare Roberto Felici), pestato, estradato. E poi la ricostruzione del maxiprocesso del 1984 a Palermo, che decretò 19 ergastoli per Totò Riina.
Entrando nei territori dei due volte Palma d’oro ecco Ken Loach e i fratelli Dardenne: il primo con Sorry We Missed Youracconta la storia di una famiglia inglese in lotta con i debiti dopo il crack economico del 2008; i fratelli belgi in Le Jeune Ahmed indagano su un adolescente che progetta di uccidere la sua insegnante dopo aver aderito al Corano nella sua interpretazione più estrema. Dunque, da una parte i misteri dell’opulento Occidente che non sa donare felicità, dall’altra il mistero della fede, non come dice il parroco la domenica, ma quella più radicale. L’ultimo mistero è il più grande, Diego Maradona, nell’omonimo film di Asif Kapadia. Un genio del calcio che non ha dribblato i pericoli, conoscendo miserie e nobiltà: in fondo ha recitato tanti ruoli e ha sempre interpretato se stesso.
Quanto a Delon, «nessuno è perfetto», dice il delegato del Festival Thierry Frémaux. L’icona del cinema francese non ha mai nascosto le sue simpatie destrorse, che qui sono una sorta di reato, e poi ogni tanto avrebbe alzato le mani sulle donne. Lui dice che le ama e deve tutto a loro. Aggiunge Frémaux: «Lui appartiene a un’altra generazione e bisogna contestualizzarlo. Il Fronte Le Pen rappresenta solo il 20% dei francesi. Qui premiamo l’artista che ha incantato Visconti e ci ha fatto sognare al cinema. Alain Delon non è perfetto. Nemmeno io lo sono».