Corriere della Sera, 14 maggio 2019
Barbara Palombelli si racconta
Barbara Palombelli, perché la sua biografia per Rizzoli, Mai fermarsi, si apre con questa confessione sull’ansia: ero una bimba molto preoccupata, sono una donna ancora preoccupata?
«Perché l’ansia è la mia maledizione e il mio motore. Ho sempre paura di star ferma o che le cose vadano male. Da ragazza, potevo restare alla radio, invece ho cercato i settimanali, i quotidiani, poi la tv. Voglio sempre di più e questo aiuta anche a tenere a bada una vena di depressione».
Lei sarebbe depressa?
«Ne ho un po’, di Dna. L’ho scoperto a 15 anni: fatti i compiti, mi pesavano le ore vuote. Dopo, ho ritrovato la depressione in tanti giornalisti. Indro Montanelli mi confidava la sua malinconia, Eugenio Scalfari si descriveva come il figlio unico che guarda il mare e ha paura per i genitori».
Aveva 15 anni nel ’68, come ha vissuto quella stagione?
«Sentivo che i ragazzi potevano avere voce e libertà, infatti, sono andata a lavorare: di pomeriggio, ero segretaria in una scuola di danza, ma già sognavo di diventare giornalista. L’Europeo era il mio sogno: quando ci entrai, mi sentii come a Disneyland. Mi ci sento ancora oggi, quando si accende la telecamera a Forum o a Stasera Italia. Rivedo la ragazzina che sognava una carriera, non il matrimonio».
E tuttavia si è poi sposata, con Francesco Rutelli, prima civilmente poi in chiesa.
«La prima volta è stata una formalità di cinque minuti dopo tre anni di convivenza. Ero incinta e Francesco diceva: non facciamo pensare a nostro figlio che non lo volevamo. In chiesa, siamo andati praticamente di nascosto. Per noi, sposarsi è un fatto burocratico. Invece, le nostre figlie sognano l’abito bianco e il brillante, come si vede in tv».
Come se lo spiega?
«La loro generazione è così. Le giovani stanno tornando indietro, non hanno coscienza della fatica fatta per avere diritti su divorzio, aborto, parità. Vogliono il marito capofamiglia quando noi volevamo il compagno complice».
E lei cosa dice alle figlie?
«Che le cose importanti sono altre. Ma loro sono ragazze che lavorano, si mantengono, sono brave, perciò quella cerimonia gliela comprerò».
Nel 1980, il Rutelli neosegretario dei Radicali le disse: non voglio legami. Come siete arrivati a quattro figli, due nipoti, sei cani?
«Sui figli, all’inizio, ho insistito io. Erano altri tempi, e a 29 anni, quando è nato Giorgio, mi sentivo già anziana».
Perché, dopo, avete voluto tre figli adottivi?
«Con Isabella Rossellini, che ha frequentato la mia stessa scuola di suore e anche lei ha adottato, ci siamo dette che forse ci hanno condizionato i discorsi delle suore sui bimbi meno fortunati di noi».
Si definisce domatrice di figli. Come li doma?
«Metto ordine nel caos, essendo severa mentre Francesco è più giocherellone. Ci sono stati momenti da panico e fasi dell’adolescenza in cui i figli ci si sono rivoltati contro. Scriva che rimpiango seriamente collegi e servizio militare e civile obbligatorio».
Perché mai?
«È da pazzi pensare che uma madre gestisca da sola un Ufo in casa. Nel mondo anglosassone c’è il college, noi avevamo il collegio e il militare. Ai tempi di mia madre, i figli partivano e tornavano che adoravano la mamma, mangiavano tutto, avevano un’identità sessuale definita e avevano imparato uno sport. Oggi, c’è solo la scuola italiana a cui consegni un angioletto e ti rende un diavolo».
Serena e Monica le ha avute prima in affido poi le ha adottate, com’è stato?
«Dura. Avevano 7 e 10 anni, e denti mancanti per le botte del padre. Per far loro superare i traumi, abbiamo fatto tutti terapia di gruppo, io Francesco, i fratelli. Una cosa che consiglio a ogni famiglia».
Come si cresce un figlio adottato?
«Lotti con il Dna, affinché non ne condizioni la vita, e conta l’esempio che dai. Le figlie, per dire, mi hanno visto lavorare tanto e lavorano tanto».
Un capitolo del libro è sulle calunnie contro di lei.
«Ne hanno dette e scritte d’incredibili. Anche che, da moglie del sindaco di Roma, gestivo parcometri con Maria De Filippi: una voce messa in giro dai tassisti. Ho mandato gli amici a registrarne alcuni, che ho denunciato, vincendo le cause. Con quelli e altri risarcimenti, ho comprato un “cubetto” alle Eolie».
Ammette anche di essere stata molestata.
«Sul lavoro, mi hanno messo le mani addosso più volte. Potrei fare nomi celebri, ma sarebbe ancora più umiliante: la mia parola contro la loro».
Perché un’autobiografia?
«Per dire grazie alle persone care che mi hanno aiutata a gestire il mio circo familiare, per spiegare ai figli da dove vengo, per dirmi che tutte le cose belle che ho sono vere, non ho sognato».
Che sogno le resta?
«Solcare l’Atlantico in nave: in mare, non conosco ansia».